categoria: Draghi e gnomi
L’Europa tra Brexit e rischi di allargamento ad Est: poche idee ma confuse
Con la recente adozione dell’Enlargement package, la Commissione Europea ha raccomandato al Consiglio di avviare i negoziati per l’adesione di due nuovi stati, Albania e Macedonia, lanciando un segnale di vitalità e riaffermazione del proprio appeal nell’epoca in cui uno stato membro come il Regno Unito esprime la volontà senza precedenti di lasciare l’Unione.
La politica di allargamento rappresenta una funzione storica della costruzione europea ed è tuttora uno dei più importanti obiettivi politici dell’UE, nell’ottica di garantire ai popoli europei un minimo comun denominatore in quanto a consolidamento delle istituzioni democratiche, sviluppo economico e coesione sociale. Sebbene l’ambizione di diventare una sorta di Stati Uniti d’Europa sia stata nel tempo accantonata, con l’uscita del Regno Unito che rappresenta lo smacco più grande in tal senso, è comunque verosimile che nei prossimi anni l’UE, dopo l’ingresso della Croazia nel 2013, continui ad allargarsi a est.
L’adesione all’Unione prevede il rispetto di una serie di condizioni come la tutela dello stato di diritto e delle libertà fondamentali, la cooperazione regionale e un’adeguata governance economico-finanziaria. A tal fine, l’UE ha stanziato per il periodo 2014-2020 oltre 11 miliardi di euro per supportare le riforme politico-economiche dei Paesi coinvolti nel processo di preadesione con appositi fondi UE (Instrument for Pre-accession Assistance, IPA). Ciò è necessario poiché i Paesi candidati, tra cui spiccano quelli balcanici, scontano ritardi istituzionali, nello sviluppo del mercato interno e delle tecnologie digitali, nella competitività delle imprese sui mercati internazionali, nei livelli occupazionali e di investimento pubblico in educazione, ricerca e sviluppo.
Attualmente sono cinque i Paesi candidati ufficiali ad entrare nell’Unione, escludendo dal computo l’Islanda che nel 2015 ha comunicato la decisione unilaterale di sospendere i negoziati per l’adesione. Il più importante di essi a livello economico e demografico è senz’altro la Turchia, con cui è in vigore un’Unione doganale ma il cui ingresso a medio termine appare difficile a causa della svolta antidemocratica che ha preso piede nel Paese. Sul punto, non aiuta nemmeno l’irrisolta questione dell’occupazione della parte settentrionale di Cipro e le considerazioni circa l’opportunità di definire europeo un Paese con peculiarità socio-culturali molto marcate. D’altro canto, la crescita economica degli ultimi anni e l’interscambio in costante aumento dimostrano la rilevanza della Turchia sullo scenario internazionale e l’esistenza di forti legami commerciali con l’UE (Tabella 1).
L’allargamento riguarderà quindi soprattutto i Paesi balcanici. Tra questi, Albania, Serbia, Macedonia e Montenegro hanno lo status di candidati ufficiali, con possibilità di aderire all’Unione a medio termine, mentre Bosnia-Erzegovina e Kosovo sono candidati potenziali e dovranno aspettare più a lungo.
L’Albania ha acquisito nel 2014 lo status di candidato ufficiale dopo aver presentato nel 2009 la domanda di ingresso. Sebbene in crescita, si tratta di un Paese con un’economia poco sviluppata, col minor reddito pro-capite tra i Paesi candidati ufficiali e con preoccupanti tassi di disoccupazione e abbandono scolastico. Inoltre, ulteriori avanzamenti appaiono necessari a livello di sviluppo delle istituzioni democratiche, del sistema amministrativo-giudiziario e nella tutela della libertà di espressione, dei diritti delle minoranze nonché nel contrasto al crimine organizzato e alla corruzione nella pubblica amministrazione.
È bene precisare che le problematiche delineate per l’Albania coinvolgono trasversalmente, seppure con sfumature diverse, tutti i Paesi candidati. Inclusa la Repubblica di Macedonia, candidato ufficiale fin dal 2005, che evidenzia il tasso di disoccupazione più elevato dell’area e una situazione interna piuttosto fragile testimoniata dalla grave crisi politica culminata lo scorso anno addirittura con un assalto al Parlamento da parte del partito conservatore contrario alla formazione di un governo pronto a dare più spazio alla minoranza albanese.
La Serbia, che tra i Paesi con status di candidato ufficiale è un’economia seconda solo alla Turchia e mostra un interscambio con l’UE in costante aumento, ha invece a lungo sperimentato difficoltà nel compiere passi avanti per l’adesione, causate dell’ostilità nei confronti del Kosovo e del Tribunale internazionale per i crimini nell’ex-Jugoslavia. Mentre in Montenegro, uno dei Paesi europei meno popolosi ed economicamente più arretrati che assieme al Kosovo ha peraltro adottato l’euro come moneta di fatto, si assiste dalle elezioni dell’ottobre 2016 al prolungato boicottaggio parlamentare delle opposizioni che tuttavia non ha impedito l’ingresso del Paese nella NATO lo scorso anno.
È evidente, quindi, che al di là dei fattori economici ciò che preoccupa dei paesi candidati a entrare nell’Unione sono le criticità istituzionali che non permettono ancora di considerare i loro sistemi politici, amministrativi e giudiziari comparabili a quelli dell’Unione Europea.
Posto che l’allargamento avrà conseguenze finanziarie nel budget UE, ad esempio nella distribuzione dei fondi europei per la coesione destinati alle regioni meno sviluppate e che, tra l’altro, è da mettere in preventivo una riallocazione degli stanziamenti in favore proprio di queste economie e a svantaggio delle regioni del Mezzogiorno, ciò che qui rileva sono le considerazioni politiche da trarre in base al recente susseguirsi di eventi importanti per la vita dell’Unione quali, in ordine cronologico, l’ingresso della Croazia, la Brexit e l’avvio dei negoziati di adesione per Albania e Macedonia.
Alla luce di tali avvenimenti risulta infatti chiaro che l’UE oggi attrae i Paesi europei meno sviluppati e con problematiche politico-economiche e sociali non trascurabili, sebbene gli stessi Paesi evidenzino un rapporto debito/Pil invidiabile per un Paese fondatore come l’Italia e una crescita a tassi generalmente superiori a quelli della media UE (Tabella 2), ma con disuguaglianze nella distribuzione del reddito più accentuate.
In linea di principio, l’allargamento risponde all’obiettivo di promuovere la coesione sociale in Europa e favorire l’integrazione economica tra vecchi e nuovi stati membri. È inevitabile però l’insorgenza di perplessità quando, contestualmente all’entrata nell’UE dei Paesi europei più poveri, si registra la volontà di non aderire da parte di stati europei avanzati come Norvegia e Svizzera, quella di abbandonare l’UE nel caso del Regno Unito nonché la ritrosia di economie sviluppate come Danimarca e Svezia a entrare nell’eurozona[1].
Peraltro, l’allargamento può confliggere con l’obiettivo della coesione interna se si pensa a un’Unione Europea composta da una moltitudine di stati con fondamentali politici, economici e sociali molto eterogenei. Giova inoltre ricordare che l’allargamento a est aumenterà il peso politico dei Paesi dell’area e ciò dovrebbe indurre a una riflessione a maggior ragione in una fase di conflittualità politica endogena tra istituzioni europee e stati membri dell’Europa orientale, come è il caso dell’Ungheria.
Di conseguenza avere un’idea chiara su fin dove inoltrarsi nei futuri allargamenti e a quali condizioni, per evitare di imbarcare stati membri difficili in un’Unione Europea allargata, nonché su come conciliare allargamento e integrazione per evitare spinte centrifughe, appena sperimentate con la Brexit, appare decisivo per il futuro dell’Europa.
Twitter @andreafesta_af
*Le opinioni espresse in questo articolo sono quelle dell’autore e non impegnano l’Amministrazione di appartenenza.
[1] Anche Bulgaria, Croazia, Polonia, Repubblica Ceca, Romania e Ungheria non adottano l’Euro.
Tabella 1. Interscambio commerciale* dei Paesi candidati ufficiali e potenziali con l’EU-28.
2013 | 2014 | 2015 | 2016 | 2017 | |
Montenegro | 940 | 936 | 873 | 1.055 | 1.220 |
Macedonia | 5.475 | 6.357 | 6.749 | 7.339 | 8.353 |
Serbia | 14.082 | 14.655 | 15.936 | 17.548 | 20.062 |
Turchia | 117.305 | 118.410 | 128.530 | 131.757 | 140.866 |
Albania | 3.731 | 3.820 | 3.701 | 4.011 | 4.430 |
Bosnia Erzegovina | 7.807 | 8.078 | 8.221 | 8.547 | 9.670 |
Kosovo | 1.201 | 1.179 | 1.219 | 1.272 | 1.406 |
Fonte: Eurostat. Dati in milioni di euro. *Calcolato come somma di Import e Export da e verso l’UE-28.
Tabella 2. Tasso di crescita reale del PIL.
2012 | 2013 | 2014 | 2015 | 2016 | |
Montenegro | -2.7 | 3.5 | 1.8 | 3.4 | 2.9 |
Macedonia | -0.5 | 2.9 | 3.6 | 3.9 | 2.9p |
Serbia | -1.0 | 2.6 | -1.8 | 0.8 | 2.8 |
Turchia | 4.8 | 8.5 | 5.2 | 6.1 | 3.2 |
Albania | 1.4 | 1.0 | 1.8 | 2.2 | 3.4p |
Bosnia Erzegovina | -0.8 | 2.2 | 1.3 | 3.1 | 3.3 |
Kosovo | 2.8 | 3.4 | 1.2 | 4.1 | 3.4p |
EU-28 | -0.4 | 0.3 | 1.8 | 2.3 | 2.0 |
Italia | -2.8 | -1.7 | 0.1 | 1.0 | 0.9 |
Fonte: Eurostat.