Meglio spendere in uno smartphone nuovo o in competenze digitali? Gli italiani al bivio

scritto da il 06 Aprile 2018

L’innovazione fa paura, si sa, soprattutto a chi non è pronto al cambiamento. Questo non succede solo nella gestione imprenditoriale ma anche nella vita reale. Io faccio parte di quella parte della popolazione che ama sperimentare, “innovare”. Ma su certe cose però non transigo! Non ci riesco! Una tra queste per esempio, è quella di cambiare pizzeria il sabato sera: vivo sempre nella paura, quando si decide di provare una nuova pizza, di trovarmi di fronte a delle brutte sorprese. Provare una nuova pizza al sabato sera è praticamente come presentarsi dal medico senza appuntamento. Non sai mai se riuscirà a visitarti e quanto cara ti costerà la visita all’ultimo minuto.

Per vocazione, gli esseri umani ricercano la stabilità, e ogni mutamento provoca paura. Questo perché ogni trasformazione organizzativa determina una serie di vantaggi e svantaggi a persone o imprese, che si trasformano in situazioni di crollo e fatica e che richiedono nuove energie per affrontarle.

Innovare significa fare un salto nel vuoto, nell’incertezza. Alcuni tra i più rilevanti autori scientifici in tema di innovazione, sottolineano come gli innovatori si trovano spesso nella condizione di dover uscire dalla loro comfort zone per imbattersi in conoscenze ed esperienze totalmente nuove. Altri autori invece concordano sulla difficoltà e la paura di fare innovazione quando vi è mancanza di competenze. Una tra tutte, le competenze digitali. Le competenze digitali fanno parte delle otto competenze chiave definite dalla Comunità Europea, di cui tutti gli individui necessitano per la realizzazione e lo sviluppo personale, la cittadinanza attiva, l’inclusione sociale e l’occupazione. La capacità di leggere e scrivere nella società di oggi include la decodifica e codifica di testi digitali.

Solitamente quando si parla di competenze digitali si identificano quelle competenze utili all’utilizzo dell’intera gamma di tecnologie digitali per l’informazione, la comunicazione e la risoluzione dei problemi di base in tutti gli aspetti della vita. In un libro che ho letto qualche tempo fa intitolato “Digital literacy” e pubblicato nel 1997, l’autore Paul Glister, evidenzia come l’alfabetizzazione digitale rappresenti un’abilità di base necessaria per agire nella società. Il Report 2017 della Commissione Europea sull’analisi dei progressi digitali rileva che il 19% della popolazione dell’UE non ha nessun tipo di competenza digitale, tanto da non saper utilizzare internet. Negli ultimi 10 anni, oltre 100 milioni di cittadini europei hanno imparato ad usare internet e le tecnologie digitali.

Il grafico in basso dimostra le grandi disparità esistenti tra i Paesi membri. Se il Lussemburgo si segnala come il migliore paese per competenze digitali, con la più bassa percentuale di analfabetismo digitale (3%), paesi come Bulgaria e Romania registrano il 41% della popolazione senza competenze digitali. In paesi come Portogallo, Polonia, Slovenia, Croazia, Lituania, Italia, Grecia, Cipro, Bulgaria e Romania, almeno un quarto della popolazione non ha competenze digitali o non utilizza internet.

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Secondo la definizione della Commissione Europea, le competenze digitali implicano l’impiego di tecnologie digitali per l’apprendimento, il lavoro e la partecipazione alla società.  L’ultimo report di Excelsior (Unioncamere in collaborazione col Ministero del Lavoro) registra come negli ultimi anni vi sia una propensione ad assumere superiore alla media (+34%) per le imprese che realizzano innovazioni. Le stime del Cedefop (Agenzia di ricerca sull’istruzione e la formazione tecnica e professionale nell’Unione Europea) prevedono per l’Italia, tra il 2015 e il 2025, la creazione di nuove opportunità occupazionali (dipendenti e autonomi) per oltre 2 milioni di profili tecnici con competenze digitali.

Persone e imprese senza competenze digitali non possono innovare. L’Unione Europea ha fatto dei grandissimi passi avanti in questo campo, ed ha istituito il Quadro europeo delle competenze digitali per i cittadini, noto anche come DigComp, che offre uno strumento per migliorare le competenze digitali.

infographic

(Fonte: ec.europe.eu)

In questa infografica la Commissione Europea spiega quali sono gli 8 livelli di competenza digitale ed utilizza una metafora per la comprensione che è: “Imparare a nuotare nell’oceano digitale”. Con una comunicazione semplice ed efficace la Commissione Europea chiarisce la competenza e i livelli di proficiency. Una dimostrazione chiara della sensibilizzazione a livello europeo sui temi delle competenze digitali utili a cittadini e imprese per capire i livelli di competenza e comprendere le capacità di ogni individuo.

L’Italia è al di della sotto la media europea in tema di competenze digitali e questo limita certamente lo sviluppo di nuovi asset economici nel nostro Paese. Poco ha fatto il Governo Italiano per diffondere la cultura digitale sui territori. L’ultima in termini di tempo, tra le azioni in programma, è il “voucher digitalizzazione”, la misura agevolativa per le micro, piccole e medie imprese che prevede un contributo, tramite concessione di un “voucher”, di importo non superiore a 10 mila euro, finalizzato all’adozione di interventi di digitalizzazione dei processi aziendali e di ammodernamento tecnologico. In verità non è proprio da considerare una misura recente, visto che la disciplina attuativa della misura è stata adottata con il decreto interministeriale del 23 settembre 2014 e resa attiva soltanto nel 2018.

Oltre 90 mila Pmi risultano ammissibili al voucher digitalizzazione e dovranno ripartirsi un plafond messo a disposizione di 100 milioni di euro. Un importo decisamente esiguo rispetto al volume di domande presentate, che secondo le prime stime, permetterebbero di aggiudicarsi un contributo pari al 16% e non del 50%, ma soprattutto rispetto all’universo delle Pmi italiane, che sono circa 5 milioni.  Il maggiore punto di criticità non riguarda però i mezzi finanziari disponibili o i tempi di istruttoria della misura, quanto la poca attinenza da parte dei cittadini e quindi delle imprese all’utilizzo di tali risorse.

Sempre secondo le prime stime, le Pmi hanno concentrato maggiormente i loro investimenti digitali in miglioramento e modernizzazione dell’organizzazione del lavoro mediante l’utilizzo di strumenti tecnologici e risorse finanziarie minori per la realizzazione di interventi di formazione qualificata del personale nel campo ICT. Questo spiega come gli italiani abbiano preferito spendere soldi più in computer e dispositivi nuovi che in competenze digitali. In un momento storico in cui le “digital skill” o “soft skill” sembrano essere richieste più di ogni altra cosa per immaginare nuovi mercati che si possono aprire con la tecnologia e il digitale, le nostre Pmi non colgono l’importanza di tali strumenti. Colpa delle imprese o delle istituzioni che non incentivano abbastanza la cultura digitale?

L’innovazione digitale ha contribuito a creare negli ultimi anni molti posti di lavoro ed è prevedibile che il trend continui anche nel futuro. Secondo il World Economic Forum il 65% della popolazione tra 5 e i 15 anni, svolgerà lavori che ad oggi ancora non esistono, proprio in ragione dei processi di digitalizzazione. Sempre secondo il Wef, nei prossimi 5 anni fattori tecnologici e demografici influenzeranno profondamente l’evoluzione del lavoro e dei mercati globali e porteranno alla creazione di circa 3 milioni di nuovi posti di lavoro, ma contemporaneamente ne scompariranno 7 milioni.

Migliorare ed estendere le competenze digitali è fondamentale per il futuro degli individui e delle imprese. Le competenze digitali sono utili per migliorarsi e offrire abilità che nessun altro può dare e rappresentano per le imprese gli strumenti per innovare e per raggiungere il successo a lungo termine. Il Governo dovrebbe implementare azioni mirate volte a migliorare e sensibilizzare cittadini e aziende alla cultura digitale. Parlare di competenze digitali nelle scuole non è abbastanza. Senza interventi mirati non è possibile realizzare un percorso di miglioramento che riporti il livello delle competenze digitali della popolazione ad un rapporto adeguato. La mancanza di attenzione del Paese e della politica rispetto a questi temi è altissima. Prima ancora di avere paura di innovare, dovremmo iniziare a temere la paura di rimanere fermi di fronte al futuro.

Twitter @lospaziodimauri