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Archiviato il renzismo rileggiamo a mente fredda pro e contro degli 80 euro
L’autore del post è Filippo Palomba, studente di economia, attualmente al secondo anno del MSc in Economic and Social Sciences presso l’Università Bocconi di Milano, dopo aver completato i primi tre anni di formazione all’Università degli Studi di Padova. È anche visiting student all’Innocenzo Gasparini Institute for Economic Research –
Politica valutata: Politica fiscale anticiclica consistente nell’introduzione di un credito Irpef di 80€ con il D.L. 66/2014.
Obiettivo: Riduzione del cuneo fiscale per stimolare la domanda aggregata, principalmente attraverso i consumi di beni non-durevoli e l’alleviamento dei vincoli di liquidità per i nuclei familiari a basso reddito.
Effetto: Positivo (per definizione). Gli 80€ sono stati spesi, in media, per il 50-60% in consumi. Per le famiglie con vincoli di liquidità l’effetto raggiunge l’80%. La manovra è stata responsabile di un incremento dei consumi aggregati nel 2014 di €3.5 miliardi (40% dell’incremento totale nei consumi).
Lo scenario macroeconomico. Negli anni tra il 2008 e il 2013 i consumi interni in Italia hanno subito un calo del 6,7%. Dato ancora più allarmante se si considerano esclusivamente i beni non durevoli (alimentari, bevande, vestiti, tabacco ecc.), diminuiti del 9,1%, a testimonianza che, come in ogni periodo di crisi, sono le famiglie con redditi più bassi ad affrontare le avversità maggiori. L’anno 2014, di contro, segna un punto di svolta, con l’economia italiana che ha dato segnali di ripresa, con il Pil in leggero rialzo grazie all’impennata nei consumi e la disoccupazione che ha invertito il trend negativo degli ultimi anni. A corroborare questi successi, ne sono seguiti altri più impalpabili, ma altrettanto significativi, con l’indice di fiducia dei consumatori ai massimi dal febbraio 2002 e la fiducia delle imprese che è tornata ai livelli del 2007.
La manovra. In questo scenario di aspettative favorevoli da parte dei due principali agenti economici, il Governo Renzi ha approvato, con il D.L. 66/2014, una riduzione del cuneo fiscale, consegnato dalla stampa alla cronaca come “bonus Renzi” o “bonus 80 euro”. L’intervento è ascrivibile nella categoria delle politiche anticicliche, essendo espressamente mirato a rilanciare i consumi interni, ormai in calo costante nell’ultimo quinquennio. La manovra consiste nell’introduzione di un credito Irpef per i lavoratori dipendenti beneficiari che si traduce in una diminuzione pari ad €80 della differenza tra costo del lavoratore e compenso del lavoratore, il cosiddetto cuneo fiscale appunto. Visto da una prospettiva più pragmatica, il decreto legge richiede che il datore di lavoro riduca le trattenute sul salario del lavoratore in modo che l’ammontare ricevuto mensilmente sia incrementato per €80.
L’eleggibilità per il bonus è basata sul reddito individuale (quindi si possono avere più beneficiari all’interno dello stesso nucleo familiare – ndr) e l’assegnazione è automatica una volta rispettati i requisiti. In particolare il beneficio fiscale si rivolge esclusivamente ai lavoratori dipendenti con redditi tra €8.145 e €26.000 (con la Legge di Bilancio del 2018 gli estremi della forchetta sono stati ricalibrati e fissati a €8.174 e €26.600 – ndr) a condizione che la tassazione lorda sia maggiore della detrazione da lavoro dipendente.
Va precisato che i lavoratori beneficiari con reddito superiore a €24.600 ricevono un bonus a scalare fino ad annularsi al crescere del reddito. Secondo le stime del Governo, nel 2014 sono stati stanziati €5.9 miliardi per coprire la manovra, pari allo 0.4% del Pil italiano, mentre 10 milioni sono i lavoratori che hanno ricevuto il credito d’imposta. Ma quanto ha contribuito il “bonus 80 euro” alla ripresa dei consumi?
Effetti sull’economia. Una semplice comparazione tra lo stato dell’economia prima del bonus e lo stato attuale (con la riforma) non è sufficiente a catturare gli effetti della manovra e a rispondere alla domanda. Nel nostro caso particolare, l’evidenza di trend rialzisti, sia nei principali indicatori economici che nelle aspettative degli agenti, potrebbe portare, verosimilmente, a sovrastimare l’impatto avuto sull’economia. Questo accadrebbe perché si andrebbero ad attribuire degli effetti alla riforma che in realtà sono derivanti dal contesto macroeconomico, ergo non specifici dell’intervento operato. Un’ottima analisi d’impatto può essere condotta andando a comparare due categorie di individui, simili in svariate caratteristiche, ma dove una è costituita esclusivamente da lavoratori beneficiari del bonus e l’altra da lavoratori non beneficiari. Essendo l’eleggibilità per il bonus l’unico elemento di eterogeneità tra i due gruppi, ogni differenza nelle abitudini di spesa potrà essere imputata al bonus stesso. Questa tecnica è quella utilizzata da Andrea Neri, Concetta Rondinelli e Filippo Scoccianti nel paper per Banca d’Italia “Household spending out of a tax rebate: Italian “€80 tax bonus” (Le conseguenze di una riduzione delle tasse sulla spesa delle famiglie: il bonus €80 italiano)(1).
Risultati simili sono stati ottenuti dagli economisti Stefano Gagliarducci e Luigi Guiso, utilizzando però una regressione discontinua, che si focalizza esclusivamente sui beneficiari più svantaggiati (quelli vicini alla soglia minima di eleggibilità) e non può essere generalizzata all’interno gruppo dei riceventi il bonus.
L’analisi dei tre ricercatori di Banca d’Italia porta alla conclusione che i beneficiari hanno speso il 90% del bonus ricevuto e, in particolare, hanno aumentato la loro spesa mensile di circa €22 per i generi alimentari (beni non durevoli) e di €33 per i mezzi di trasporto (beni durevoli). Inoltre, la propensione al consumo dei beneficiari è aumentata da 0.5 a 0.6 (da intendersi come la quota di reddito addizionale di un individuo che viene destinata al consumo).
Gli effetti sono ancora più positivi per coloro che, usando il gergale, non arrivano a fine mese a causa della mancanza di liquidità. Per questa categoria il bonus ha prodotto un incremento di €50 della spesa in generi alimentari e di €20 per quanto concerne i beni durevoli, mentre la propensione al consumo è aumentata fino a 0.8. A conclusione dunque, gli autori stimano che circa il 50-60% del bonus sia stato speso in consumi, mentre, restringendo l’analisi agli individui con bassa liquidità, la percentuale raggiunge l’80%. Per quanto riguarda l’impatto aggregato sui consumi, questi ultimi sono aumentati di €3.5 miliardi, corrispondenti al 40% dell’incremento della spesa delle famiglie nel 2014. Con le stime sopra riportate della propensione al consumo, considerando inoltre che la manovra ammonta allo 0.4% del Pil, l’aumento della domanda aggregata dovuto al bonus si colloca tra lo 0,2% e lo 0,32%.
La ricerca condotta, offre un ulteriore spunto di riflessione per analizzare la manovra. Il campione di dati utilizzato contiene informazioni sulla longevità attesa della riforma da parte dei beneficiari, cioè per quanti anni ancora questi ultimi si aspettano che il bonus venga erogato. Questi si ripartiscono equamente tra chi la ritiene permanente e chi la ritiene temporanea (in durata per meno di tre anni – ndr). Ma perché questo dovrebbe essere di interesse? Stando alla teoria del consumo intertemporale, facente capo agli economisti Modigliani e Friedman, un taglio permanente delle tasse ha un impatto maggiore sui consumi rispetto ad uno temporaneo.
Questo accade, in quanto i consumatori tendono a percepire un taglio permanente delle tasse come un aumento non solo del reddito presente, ma anche di quelli futuri, andando ad aggiustare le proprie abitudini di spesa in modo più significativo. Proprio in questa direzione, nel dicembre 2014, il “bonus 80 euro” è stato reso strutturale con la Legge di stabilità. Fondandosi esclusivamente su questa teoria, in futuro, quando i dati ISTAT relativi agli anni 2015-2016 verranno studiati, ci si potrà aspettare una risposta dei consumi ancora più accentuata. Anche l’impatto sulla domanda aggregata dovrebbe aumentare, se si tiene in considerazione la magnitudine del moltiplicatore fiscale, maggiore dell’unità secondo gli studi più recenti.
Conclusioni e scenari futuri. Gli effetti diretti del D.L. 66/2014 sono decisamente positivi. La manovra può difatti dirsi responsabile dell’aumento dei consumi dei beneficiari e di essere stata efficiente nella sua realizzazione, in quanto il bonus si sarebbe tradotto, approssimativamente, in un aumento uno ad uno della spesa privata. Quello che va precisato, tuttavia, è che poco si può dire, consultando gli studi attuali, sugli effetti indiretti. Lo studio presentato, difatti, non è un’analisi costi-benefici, pertanto sarebbe opportuno andare ad analizzare i canali attraverso i quali la manovra è stata finanziata per poter trarre un giudizio sia generale che definitivo.
La tecnica utilizzata nello studio è difatti incapace di catturare l’effetto dell’aumento di un’altra tassa che abbia colpito indistintamente tutti i contribuenti italiani (come ad esempio l’aumento dell’aliquota sulle rendite finanziarie dal 20% al 26% avvenuto nel 2014). D’altronde, un taglio delle tasse vede, per sua definizione, sia vincitori che vinti e, per dare una valutazione lapidaria che metta il punto finale sulla questione, si dovrebbe andare ad identificare questi ultimi e stimare i costi da loro sostenuti. Essendo l’impatto sugli aggregati del bonus positivo, quello che viene da chiedersi non è tanto quali siano le fonti di finanziamento, quanto dalle tasche di quali cittadini siano stati prelevati tali fondi. Solo in questo modo sarà possibile compiere il passo finale nella valutazione complessiva della manovra, avendo chiari sia la direzione dei flussi redistributivi tra classi di reddito che l’impatto sui consumi.
Se l’obiettivo del Governo Renzi era quello di stimolare i consumi, si può affermare la riuscita dell’intervento. Se invece l’obiettivo fosse stato puramente redistributivo, come alcuni oppositori sostengono, si potrebbe dire ben poco. Certamente, in quest’ultima ottica, si rivela poco felice la scelta di attribuire il bonus a livello individuale senza tenere in considerazione l’appartenenza ad un nucleo familiare. Così facendo si finisce inevitabilmente per favorire quelle famiglie con un maggior numero di lavoratori dipendenti al loro interno, aumentando la disuguaglianza nei confronti di quelle composte in maggioranza da disoccupati. In merito, il segretario del PD si è più volte espresso sottolineando come esistano già altri strumenti previdenziali a favore di chi ha un reddito inferiore alla soglia minima e di come gli 80 euro abbiano finalità anticiclica e non redistributiva.
Per quanto concerne il futuro del bonus, sempre Renzi, durante la presentazione del programma elettorale a Bologna, aveva annunciato che, in caso di elezione, avrebbe lavorato sull’ampliamento del bacino dei beneficiari, allargandolo anche alle partite Iva (scenario alquanto improbabile dopo il 4 Marzo – ndr). L’estensione graverebbe per €1,1 miliardi sulle casse del governo. Gli effetti dovrebbero essere simili a quelli sopra descritti, con la differenza che un lavoratore autonomo può percepire il credito d’imposta in maniera più diretta rispetto ad un dipendente ed avere quindi una risposta più immediata e robusta allo stimolo fiscale. D’altro canto si potrebbe presentare un incentivo all’evasione per tutti gli individui con un reddito leggermente superiore a quello massimo per l’eleggibilità (quest’ultimo, si sa, è mal comune di ogni soglia massima). L’idea è sicuramente ottima dal punto di vista dell’equiparazione delle classi sociali in quanto pone sullo stesso livello lavoro dipendente e liberi professionisti.
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Riferimenti Bibliografici:
– https://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/qef/2017-0379/QEF_379_17.pdf;
– http://www.lavoce.info/archives/37111/ma-leffetto-sui-consumi-del-bonus-ce-stato/;
– http://www.lavoce.info/archives/36685/gli-80-euro-spesi-al-supermercato/.
(1) Va precisato che i tre autori si spingono oltre il canonico propensity score matching e giustificano le proprie stime attraverso un modello strutturale a generazioni sovrapposte.