Trump, le riforme e il lavoro: un remake americano de “Il Signore delle Mosche”

scritto da il 18 Marzo 2018

L’autrice del post è Alessandra Bufano, senior manager sustainable spending di Luxottica Nord America –

Dopo la Grande Recessione iniziata nei primi anni duemila e a partire dal momento in cui la crescita economica è rallentata come mai prima, le aziende americane hanno cominciato ad accumulare e a tenersi stretti grandi quantitativi di denaro sia nei propri confini che all’estero, denaro che non è stato speso a causa dell’incertezza dei tempi. I più recenti e radicali cambiamenti politici portati avanti dall’amministrazione Trump – come la riduzione delle tasse alle grandi imprese dal 35% al 21%, sempre che qualcuno abbia mai versato il 35% di tasse! – assieme ad una generale spinta antiregolatoria e ad una percentuale di fiducia sempre più alta da parte dei consumatori (quest’ultima sostenuta da indebitamenti da paura come conseguenza dei bassi tassi di credito) sembrano aver cambiato il contesto generale.

Considerando i già grossi cumuli di capitale aziendale, i bassi interessi e la disponibilità di ingenti crediti a basso tasso sia a livello aziendale che personale, ci si domanda – come già hanno fatto molti economisti e istituzioni – se queste politiche fossero effettivamente necessarie e se, peggio ancora, non finiranno invece per produrre un sovrastimolo economico caratterizzato da inflazione, svalutazione monetaria e pericoloso deficit pubblico. Il timore di tutto ciò ha già dato i suoi segnali in Borsa, come abbiamo potuto vedere con la recente correzione e nell’improvviso aumento dell’indice di volatilità/paura. Quello che è certo è che dobbiamo prepararci a un percorso molto accidentato.

L’inflazione, negli Stati Uniti, dà inquietanti segnali di ripresa. Inoltre la crescita vertiginosa del debito pubblico è causa di crescente preoccupazione riguardo la capacità presente e futura del governo federale di registrare abbastanza entrate da poter finanziare se stesso, specialmente se quel 4% di crescita economica annuale tanto promesso non si realizza. Finora non è stata data una risposta definitiva a questa domanda e gli analisti stanno ancora cercando di capire cosa succede, dal momento che i maggiori indicatori economici e i tassi di crescita per ciascun trimestre non si sono rivelati per niente costanti dopo le ultime elezioni.

Nonostante queste preoccupazioni siano più che giustificate, se ci asteniamo per un attimo dal dare un giudizio sulle politiche economiche e fiscali portate avanti di recente, e se allo stesso modo rinunciamo a chiederci se le leggi sopra citate, per esempio l’autoregolamentazione volontaria delle corporations (molti scandali finanziari passati ma anche recenti, come le recenti pratiche di vendita ingannevoli della Wells Fargo, lasciano spazio ai dubbi) abbiano sia dei fondamenti di realtà sia dei precedenti storici, e se siano effettivamente una buona cosa per la nazione in questo momento (il che è tutto da dimostrare), bisogna ammettere che l’attuale congiuntura economica sia estremamente favorevole al business.

signoremosche

 

Da qui, la domanda da un milione di dollari: tutto questo denaro produrrà occupazione? Non ci sono molti dubbi sul fatto che una parte del denaro a disposizione verrà assai probabilmente utilizzato per fusioni e acquisizioni, tendenza che si era manifestata ancora prima dell’adozione delle nuove politiche. Generalmente e storicamente, fusioni e acquisizioni – quando funzionano – tendono a ottimizzare e razionalizzare, riducendo inefficienze e duplicazioni: il lavoro, in casi del genere, tende più a essere perso che creato.

Molti sottolineano come, seppure le fusioni e le acquisizioni portino alla perdita di posti di lavoro, allo stesso tempo infondano nuova vita all’economia, beneficino nuovi settori e nuove aree e in definitiva siano la premessa per la creazione di nuova occupazione. In ogni caso, con l’aumentare dello sviluppo tecnologico e dell’intelligenza artificiale, è stato abbondantemente argomentato che la creazione di lavoro tenderà alla decrescita. La realtà è che non ci troviamo più nell’era dell’industrializzazione. Anche se le compagnie aprono nuove “fabbriche”, non si parla certo di assunzioni di massa.

Questo tipo di dinamica è osservabile soprattutto in quei paesi in via di sviluppo che, essendo più popolosi, posseggono grandi quantità di forza lavoro potenziale. Se questi paesi adotteranno e importeranno la tecnologia proveniente dai paesi più sviluppati, non riusciranno mai a risolvere i loro problemi di disoccupazione. Pur assicurando formazione professionale ai lavoratori, le nuove “fabbriche” non saranno mai labor intensive. Le fabbriche e il lavoro del futuro verranno gestiti sempre più da “macchine”, “robot” e “sistemi” piuttosto che da persone. Questo vale per qualunque tipo di industria, inclusa quella del carbone.

Nessun imprenditore con un po’ di buon senso e che abbia i capitali necessari rinuncerebbe a utilizzare queste tecnologie di ottimizzazione del lavoro, a meno che il suo obiettivo non differisca dal far crescere il profitto, come ad esempio in casi di organizzazioni con intenti umanitari.

Detto questo, anche con più ampi investimenti di capitale, la maggior disponibilità, accessibilità e il rapido progredire dell’automazione e di altre tecnologie di miglioramento del lavoro potrebbero non garantire la creazione dei posti di lavoro auspicati. Si tratta semplicemente della natura di questo nuovo tipo di economia; il futuro è questo, e anche se si cerca di salvare posti di lavoro e proteggere l’industria con delle politiche protezionistiche, alla fine arriverà comunque, sfondando con la forza qualunque muro.

Già oggi, nelle economie più sviluppate, mentre l’e-commerce prende piede, la maggior parte dei nuovi lavori sembra concentrarsi di più in alcune aree, quali i centri di smistamento e i magazzini, l’IT (programmazione, content management, digitalizzazione, ottimizzazione dei siti web), l’analisi dei dati, dal momento che il profitto dipende sempre di più dall’automazione e dall’esperienza del consumatore. Il ragionamento ci porta a individuare il secondo più probabile investimento che le aziende faranno con tutti questi soldi: avranno tanto denaro da spendere nel miglioramento dei loro sistemi informatici e nell’automatizzazione delle operazioni. L’intelligenza artificiale svolgerà un ruolo ancora più importante, dal momento che come soluzione sta diventando sempre più accessibile. Di nuovo, questa direzione di marcia sembra andare incontro più a una perdita che a un aumento dell’occupazione.

Infine, molte aziende stanno considerando di usare il loro denaro per remunerare gli azionisti attraverso buy back e dividendi più ricchi. Si tratta di misure destinate a creare nuovi posti di lavoro? Opinabile. Mentre Trump ha sottolineato nei suoi discorsi l’importanza della Borsa per i piani pensionistici, in realtà il beneficio riguarderebbe solo la metà degli americani, sempre che gli indici continuino a salire indefinitamente. Oltretutto, paradossalmente – e sembra che persino il presidente se ne sia reso conto – la crescita dei salari può deprimere i corsi azionari in quanto spia di un maggiore rischio inflazionistico che può indurre la Federal Reserve ad accelerare il programma di rialzo dei tassi. Come ben sappiamo ciò che è buono per Wall Street non è affatto detto che lo sia anche per Main Street.

Cosa succederà dunque? Seguiteci nei prossimi episodi per capirlo.

Linkedin: Alessandra B., Ph.D.

(traduzione di Jacopo Paoloni)

Tutte le affermazioni e opinioni espresse in questo post sono attribuibili esclusivamente all’autrice e non all’azienda per cui lavora.