Altro che tagli alla spesa, urge più sviluppo. Ecco i numeri che spiegano perché

scritto da il 26 Febbraio 2018

Pubblichiamo un post di Fedele De Novellis, partner ed economista senior di REF Ricerche –

Nel corso delle ultime settimane la campagna elettorale ha riportato l’attenzione sul tema della spesa pubblica. Diverse proposte hanno sottolineato l’esigenza di adottare politiche di stretto controllo della spesa pubblica nel corso della prossima legislatura. Molte di queste sono partite dall’assunto dell’insufficienza delle misure di riduzione della spesa adottate durante gli anni scorsi.

Questo tipo di affermazioni desta qualche perplessità, ricordando le diverse misure che hanno caratterizzato durante gli anni passati la politica economica italiana: interventi drastici sulle pensioni, blocco salariale e blocco alle assunzioni dei dipendenti pubblici, crollo degli investimenti pubblici, tanto per rammentare alcune delle linee-guida delle diverse fasi della nostra politica di bilancio.

Senza entrare nel merito della ratio del dibattito della campagna elettorale, un punto che non è stato approfondito nel corso del dibattito è rappresentato dalla dimensione quantitativa delle politiche già adottate in Italia negli ultimi anni. In altri termini, è vero che sulla spesa pubblica è stato fatto poco?

Per misurare la politica sulla spesa realizzata in Italia negli ultimi anni, e disporre di una quantificazione dello sforzo che ciò ha comportato per i cittadini, può essere utile innanzitutto guardare all’andamento della spesa primaria, al netto cioè della spesa per interessi, e valutarne l’andamento nel confronto con quanto accaduto in altri paesi.

Nei grafici seguenti la variabile utilizzata è la spesa primaria espressa in termini reali, pro-capite. Il confronto internazionale è effettuato con le altre economie dell’area euro oltre alle altre maggiori economie europee non euro (Svezia, Regno Unito e Svizzera) e non europee (Usa e Giappone).

Il grafico seguente presenta la variazione cumulata della spesa nell’intero periodo 2007-2017, sostanzialmente a partire dall’inizio della crisi, e la ripartizione secondo due sottoperiodi di pari durata. Il primo quinquennio, 2007-2012, descrive la reazione delle politiche fiscali alla recessione, ed è quasi sempre caratterizzato da variazioni di segno positivo della spesa, in alcuni casi di una certa ampiezza. Il secondo periodo, dal 2012 al 2017 è per lo più caratterizzato da variazioni modeste o di segno negativo, adottate nell’ambito delle strategie di rientro dai deficit cumulati nella prima fase.

Innanzitutto, è impressionante l’ampiezza delle differenze fra i diversi paesi nel corso dell’ultimo decennio. Fra i paesi dell’area euro ai due estremi si posizionano la Grecia e la Germania, con una contrazione del 15 e un incremento del 17 per cento rispettivamente. Seguono, nell’ordine, le politiche di austerità adottate da Irlanda, Italia e Portogallo (1). Per il complesso dell’area euro la variazione nel decennio è stata pari a circa il 9 per cento.

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Un aspetto da considerare è che le differenze nelle politiche sulla spesa pubblica dell’ultimo decennio sono in parte il riflesso di politiche adottate nel periodo precedente. Se si guarda alla dinamica della stessa variabile nel precedente decennio 1997-2007 l’incremento medio per l’intera area euro è più elevato, del 17 per cento, ma con aumenti di entità eccezionale nel caso di Irlanda e Grecia. Nello stesso periodo l’economia che aveva registrato la minore crescita della spesa era quella tedesca, con un incremento cumulato nel periodo pari appena al 6 per cento. Anche nel decennio 1997-2007 l’Italia è uno dei paesi dove la spesa pubblica è cresciuta meno.

Peraltro, considerando l’intero ventennio 1997-2007 l’Italia è il paese che registra l’incremento minore fra tutti i paesi considerati.

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Un aspetto importante è che tali andamenti non vengono colti nelle statistiche che guardano all’andamento della spesa in rapporto al Pil, in quanto questa variabile risente della diversa evoluzione del Pil reale nei vari paesi. Utile al proposito puntualizzare come l’andamento dell’incidenza della spesa sul Pil sia la statistica più rilevante ai fini della valutazione della sostenibilità della spesa, ma non sia un indicatore del livello delle risorse finanziarie dedicate all’erogazione di servizi e trasferimenti ai cittadini di un paese rispetto a un altro.

Questo aspetto diviene importante nei casi in cui le politiche di riduzione della spesa vengono attuate in una fase di crisi economica: in tali circostanze può addirittura accadere che, nonostante politiche di freno all’andamento della spesa, l’incidenza della spesa sul Pil descriva un incremento per effetto della discesa del denominatore. Sebbene questo sia un caso apparentemente estremo, è in realtà esattamente quanto si è osservato nel corso degli ultimi dieci anni in Italia, e soprattutto in Grecia, dove l’incidenza della spesa sul Pil è aumentata a fronte di una spesa pro-capite che si è ridotta.

Questo tipo di evidenza è illustrata nel terzo grafico, nel quale si rappresenta sull’asse orizzontale la crescita della spesa primaria pro-capite e sull’asse verticale la variazione dell’incidenza di tale variabile sul Pil.

Nonostante le politiche in genere relativamente attente al controllo della spesa, l’incidenza della spesa primaria sul Pil nel 2017 risultava superiore rispetto a dieci anni prima praticamente in tutte le economie considerate, fatta eccezione per il Portogallo e il Regno Unito.

La posizione della Grecia, e in parte dell’Italia, è del tutto peculiare così come, all’opposto, quella della Germania che, pur essendo l’economia che ha registrato la maggiore crescita della spesa, ha registrato una variazione modesta dell’incidenza di questa variabile sul Pil.

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Infine, questa rappresentazione appare utile per rendere conto di come le politiche di spesa abbiano inciso sul grado di difficoltà delle scelte operate dal policy maker. È molto difficile governare un paese quando le risorse finanziare a disposizione languono e sei costretto a selezionarne la destinazione sui diversi capitoli di spesa!

Non a caso, le quantificazioni proposte possono fornire spunti di interesse anche per una lettura dei cambiamenti negli scenari politici avvenuti nel corso degli ultimi anni.

Dalle tendenze descritte, appare anche evidente come politiche di controllo della spesa pubblica siano destinate a sortire effetti molto limitati nei paesi afflitti da un problema cronico di bassa crescita. Politiche finalizzate a ridimensionare l’incidenza della spesa sul Pil devono accompagnarsi a misure altrettanto efficaci di rilancio della crescita. L’insuccesso delle seconde, come l’esperienza italiana suggerisce, rischia di vanificare gli sforzi sul versante delle prime obbligando allora a aumentare ulteriormente i tagli alla spesa.

È quello che accadrà ancora nei prossimi anni: se non ritroviamo la strada della crescita saremo costretti ancora a tagliare la spesa pubblica.

A ben vedere più che di rigorosi e inutili programmi di contenimento della spesa pubblica, di cui abbiamo già potuto sperimentare ampiamente gli effetti per molti anni, avremmo bisogno di credibili politiche per lo sviluppo del paese.

Twitter @fdenovellis1

NOTA

1. Il dato dell’Italia è stato corretto per gli effetti del “bonus” degli 80 euro, che la contabilità classifica come trasferimenti, e quindi maggiori spese, piuttosto che come diminuzione delle entrate.