categoria: Res Publica
I braccialetti della discordia, i luddisti e le vere sfide del rapporto tra tecnologia e lavoro
La notizia sul brevetto depositato da Amazon non poteva passare inosservata. Prevedibile anche il suo ingresso nella campagna elettorale. Comprensibile anche un po’ di confusione sul tema.
La polemica ha investito anche il Jobs Act, ad esempio, in modo abbastanza strumentale. Quest’ultimo ha meglio adattato lo Statuto dei lavoratori all’epoca della rivoluzione digitale. Distinguere tra strumenti di controllo a distanza e strumenti necessari a rendere la prestazione lavorativa è una misura di buon senso. Pc, smartphone, tablet, non vengono forniti ai dipendenti per effettuare controlli a distanza, ma rappresentano effettivamente strumenti essenziali per portare avanti qualsiasi organizzazione aziendale nella nostra epoca. Inoltre, è stato inserito un riferimento esplicito al rispetto di quanto previsto dal Codice privacy, legando ancor di più gli aspetti laburistici con quelli di data protection. Il limite della riforma è stato quello semmai di non definire chiaramente la nozione di «strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa», ma l’interpretazione data dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro, restrittiva (e condivisa dal Garante Privacy), ha fatto maggior chiarezza, confinando l’esenzione dal dover ottenere l’accordo con le rappresentanze sindacali o l’autorizzazione della Direzione Territoriale del Lavoro all’ipotesi di strumenti utilizzati in “via primaria ed essenziale per l’esecuzione dell’attività lavorativa”.
È un po’ prematuro fare il processo alle intenzioni di Amazon, ma – per come descritto – il braccialetto brevettato non sembra uno strumento primario ed essenziale all’esecuzione della prestazione. Dovrebbe dunque passare dal vaglio dei sindacati o della DTL. Utilizzare i dati per fini disciplinari sarebbe ancor più difficile.
Tralasciando gli aspetti giuridici, non devono essere evitate o stigmatizzate le dovute riflessioni sul tema, perché sono in molti a sostenere che si stia rischiando di oltrepassare i limiti. Un impulso al corpo in caso di errori evoca infatti scenari funesti nell’immaginario collettivo, ma di certo centinaia di videocamere puntate verso gli scaffali non dovrebbero porre minori interrogativi. La verità è che i modelli produttivi e organizzativi sono in continua evoluzione, anche in Italia (per fortuna). L’intelligenza artificiale penetra nei processi aziendali, mutando giorno per giorno i nostri lavori. Tutto ciò implica l’adozione di nuovi strumenti, sempre più sofisticati, che – inevitabilmente – consentirebbero in via astratta un controllo da remoto. Se il controllo è tecnicamente possibile, sorge la preoccupazione che i datori possano cadere in tentazione, usando gli strumenti per finalità diverse da quelle dichiarate. Preoccupazioni comprensibili e da non biasimare.
Il rapporto tecnologia/lavoro non riguarda infatti solo i noti timori occupazionali, ma anche la qualità del lavoro. Se da un lato il progresso tecnologico è in grado di eliminare o ridurre lo sforzo fisico dei lavoratori, nonché di migliorare come mai in passato la sicurezza sul lavoro, dall’altro pone questioni di rispetto delle libertà e della dignità degli stessi lavoratori. Il legislatore deve essere abile e competente, respingendo tentazioni luddiste (inutili e controproducenti) e provando a mutare paradigma. Il progresso tecnologico va “accompagnato”, affinché non deragli dai principi fondamentali di una società liberal-democratica, ma non ostacolato.
È quanto tenta di fare il Regolamento Europeo sulla Protezione dei Dati Personali (“GDPR”), che entrerà in vigore – anche in Italia ovviamente – il prossimo 25 maggio e che mira a rafforzare la responsabilizzazione delle aziende, spingendole a migliorare in termini di autovalutazione e compliance (ricorda la ratio del D.lgs. n. 231/2001 sulla responsabilità amministrativa degli enti). Il baratto avviene tra minori oneri burocratici e maggiori sanzioni, che possono arrivare fino al 4% del fatturato mondiale.
Nonostante il GDPR lasci in prevalenza alle legislazioni nazionali le rispettive competenze in materia laburistica, fissa alcuni principi fondamentali in materia di rapporto di lavoro che tutti gli stati membri dovranno rispettare. Per ripercorrerli brevemente, è utile la lettura del documento predisposto dal Gruppo “Articolo 29” (gruppo dei garanti europei della privacy) recentemente pubblicato e riassunto in questo pezzo di Diritto 24. Le esigenze datoriali dovranno essere essere sempre improntate al rispetto della dignità e delle libertà dei dipendenti. Privacy by design (privacy fin dalla progettazione) e privacy by default (privacy per impostazione predefinita) dovranno essere dei concetti tenuti a mente dalle aziende in caso di implementazione di nuove tecnologie, con riferimento soprattutto agli strumenti in grado di mettere a rischio il rispetto della dignità e delle libertà dei dipendenti.
Il progresso non è incompatibile con il rispetto delle regole. Chi lo crede ignora il fatto innegabile di come tante grandi aziende e multinazionali di successo siano arrivate spontaneamente ad organizzare presidi interni di compliance, senza alcun obbligo normativo. Ma non tutte hanno la stessa sensibilità. Chi sceglie una strada lontana dai principi etici, non è capace di calcolare il rischio reputazionale e, come ricordava Pasquale Merella su questi pixel, commette un grave errore di valutazione.
La classe politica, invece, farebbe bene a reagire in maniera più razionale. Da un lato si indigna, ma forse dovrebbe approfondire maggiormente i temi in discussione (assenti nella campagna elettorale), in quanto sembrerebbe avere alcune lacune sul rapporto tra tecnologie e data protection, come dimostra un recente provvedimento del Garante Privacy che, seppur riguardante un singolo partito nella fattispecie, di certo non esime gli altri dalla dovuta attenzione. Dall’altro lato c’è chi invece pensa di usare il brevetto per monitorare i forestali siciliani e calabresi, aprendo una nuova frontiera di lotta ai fannulloni. A ruota qualcun altro potrebbe proporre un braccialetto per controllare gli acquisti degli evasori e un altro per prevenire fake news.
Maggior buon senso non guasterebbe.
Twitter @frabruno88