categoria: Draghi e gnomi
Il Pil va però la crisi ci è costata 280 miliardi (e non passerà tanto in fretta)
Pubblichiamo un post di Fedele De Novellis, partner ed economista senior di REF Ricerche –
Nel corso degli ultimi anni il peggioramento del quadro economico internazionale ha prodotto gravi conseguenze sociali alle quali possono essere ricondotte anche le tensioni del quadro politico. A ogni passaggio elettorale emergono nuove sorprese: dalla Brexit a Trump è stato un susseguirsi di cambiamenti, ultimi nell’area euro il risultato dei populisti di Alternative für Deutschland (AfD) alle elezioni tedesche e il referendum in Catalogna.
Si spiega quindi la particolare attenzione con la quale si guarda al miglioramento congiunturale in corso. Difatti, da alcuni trimestri la congiuntura dell’eurozona ha mostrato segnali di vivacità, condivisi al suo interno dalle maggiori economie, fra cui l’Italia. Anche i dati di contabilità nazionale più recenti hanno confermato il miglioramento. La crescita quest’anno ha accelerato e i dati del terzo trimestre indicano una variazione del Pil dello 0.6 per cento per il complesso dell’area euro, e dello 0.5 per cento per l’economia italiana. L’interno anno potrebbe registrare un incremento del Pil (calcolato sui dati corretti per gli effetti di calendario) dell’1.6 per cento in Italia, e del 2.3 per cento per il complesso dell’area euro. L’area euro al netto dell’Italia dovrebbe crescere del 2.5 per cento, e il nostro differenziale di crescita rispetto alla media dell’eurozona mantenersi vicino al punto percentuale.
Inoltre, sulla base dei principali indicatori congiunturali sembra probabile che la fase di ripresa possa protrarsi almeno per la parte finale del 2017 e nei primi mesi del 2018.
Nonostante la buona performance degli ultimi trimestri, le condizioni economiche delle parti più disagiate della popolazione restano difficili; allo stesso modo, anche il quadro politico si presenta particolarmente esposto alle tensioni che percorrono il tessuto sociale.
Solo se le ripresa si protrarrà per un periodo esteso potremo osservare miglioramenti apprezzabili delle condizioni delle fasce della popolazione in maggiore difficoltà.
Al momento non è però agevole stabilire se la recente accelerazione della congiuntura rappresenti un fatto transitorio, legato al contesto generale particolarmente favorevole, oppure se essa costituisca l’inizio di una fase di crescita a ritmi stabilmente più vivaci rispetto agli anni passati.
La tesi più prudente sottolinea la combinazione di fattori particolarmente favorevole che ha caratterizzato la prima parte del 2017 con la sovrapposizione di diverse elementi che hanno giocato tutti in una direzione positiva: rafforzamento della domanda internazionale, politica monetaria espansiva, cambio dell’euro debole, tassi d’interesse bassi, Borse in recupero, prezzo del petrolio basso, politiche di bilancio di segno neutrale.
Il contesto favorevole potrebbe quindi essere alla base di una accelerazione per sua natura di carattere puramente ciclico. Se si trattasse di un episodio legato a fattori peculiari della fase attuale, i ritmi di crescita raggiunti, vicini al 2.5 per cento, costituirebbero una sorta di punto di massimo della crescita e sarebbero ben poca cosa se confrontati con i punti di massimo, intorno al 3-4 per cento, toccati nel recente passato.
Secondo una lettura più ottimista la fase attuale invece potrebbe riportare l’economia lungo un trend di crescita più sostenuta. In particolare, diversi dei fattori positivi che abbiamo ricordato sono riconducibile direttamente o indirettamente all’azione delle politiche economiche. L’abbandono della fase restrittiva della politica di bilancio è difatti una importante discontinuità rispetto soprattutto all’impostazione prevalente sino al 2012-13. Inoltre, l’andamento dei tassi d’interesse, del cambio e delle Borse sono in buona misura legati all’azione della politica monetaria europea. Si potrebbe cioè essere nella situazione in cui finalmente politiche di sostegno della domanda consentono di riportare i livelli di attività in prossimità di un potenziale eventualmente più elevato rispetto ai livelli attuali del prodotto.
Naturalmente, è difficile stabilire ex-ante quale delle due chiavi di lettura sia corretta, anche perché le condizioni delle economie dell’area euro da questo punto di vista sono molto diverse; sia perché i paesi presentavano e presentano ancora trend di crescita differenti fra di loro, sia perché per alcuni i trend si sono modificati rispetto al periodo pre-2008, sia perché di diversa entità sono le perdite di prodotto subite nel periodo delle due recessioni, 2008-09 e 2012-13.
Nei grafici seguenti si illustrano gli andamenti delle tre maggiori economie dell’area euro mettendo in luce quale sarebbe stato il livello del Pil senza la crisi, ovvero se la crescita fosse proseguita lungo il trend degli anni precedenti il 2008. Va osservato che il trend pre-crisi è solo un valore di riferimento, non ha cioè un significato economico specifico (non rappresenta cioè il potenziale), ma può essere utile per avere una misura della dinamica del reddito in base alla quale si erano formate le aspettative che avevano ispirato i comportamenti del periodo pre-crisi (in termini di decisioni di consumo, investimenti, indebitamento pubblico e privato…).
Si può notare come i percorsi seguiti da ciascuno dei tre paesi siano diversi.
Il caso della Germania si distingue dagli altri in quanto il Pil tedesco si è di fatto riportato rapidamente sul trend pre-crisi grazie al rapido recupero delle perdite della recessione 2008-09 e alla tenuta dell’economia tedesca nel 2012-13. Nel complesso la crescita tedesca si mantiene negli ultimi anni su ritmi vicini al 2 per cento, poco superiori al tasso di crescita pre-crisi.
Francia e Italia hanno invece subito contrazioni dei livelli produttivi di tipo permanente e stanno adesso registrando tassi di crescita del Pil ancora inferiori a quelli osservati prima del 2008. La tendenza degli ultimi anni vede difatti tassi di crescita bassi, vicini all’1 per cento, dai quali ci si sta distanziando soltanto da alcuni trimestri.
Confrontando il livello attuale del Pil con quello che registreremmo oggi se la crescita si fosse protratta agli stessi ritmi del periodo pre-2008 si quantifica una perdita di circa il 10 per cento per la Francia, del 15 per cento per l’Italia.
In altre parole, da noi mancano all’appello qualcosa come 280 miliardi su base annua: per rendere l’idea a una somma di questo tipo corrispondono 29 volte gli 80 euro di Renzi, o settantasette volte l’esenzione della tassazione sulla prima casa.
Sempre per rendere l’idea, se non mancassero all’appello 280 miliardi saremmo in piena occupazione, e i nostri giovani non sarebbero costretti a fuggire all’estero. A parità di spesa pubblica il nostro saldo di bilancio potrebbe avere un avanzo di oltre il 5 per cento del Pil, o più probabilmente sarebbe in pareggio con una ottantina di miliardi distribuiti fra maggiori spese e minori tasse.
Ecco perché il mondo in cui viviamo è molto diverso da quello in cui avremmo vissuto se avessimo continuato a crescere ai ritmi (peraltro molto modesti in una prospettiva storica) degli anni duemila.
In conclusione, la ripresa attuale, benvenuta, è ancora poca cosa rispetto a quello che abbiamo perso nel decennio passato. La fase congiunturale favorevole dovrà durare ancora almeno per qualche anno prima che di considerare archiviata la crisi.
Twitter @fdenovellis1