categoria: Distruzione creativa
Che cosa è successo con i robot in Germania. Finora
Gli autori di questo post* sono Wolfgang Dauth, Sebastian Findeisen, Jens Südekum e Nicole Woessner –
Recenti ricerche hanno dimostrato che i robot industriali, negli Stati Uniti, hanno determinato perdite pesanti in termini di posti di lavoro e redditi. In questo articolo esploreremo l’impatto che hanno avuto sul mercato del lavoro in Germania, dove i robot sono molto più diffusi che negli Stati Uniti e il peso del settore manifatturiero sul totale degli occupati è molto maggiore. I robot non hanno avuto nessun effetto aggregato sull’occupazione in Germania, e la loro presenza, secondo i dati, in realtà accresce le probabilità che il lavoratore resti nell’azienda. Questo effetto sembra dovuto principalmente all’azione dei consigli di fabbrica e dei sindacati, ma è anche il risultato di un calo del numero di giovani che scelgono di lavorare nel settore manifatturiero.
La paura di un’imminente ondata di disoccupazione tecnologica è tornata a essere uno dei meme economici dominanti del nostro tempo. La storia, di regola, recita così: man mano che il software e l’intelligenza artificiale progrediscono, i processi di produzione (specialmente nell’industria manifatturiera) diventano sempre più automatizzati. Gli operai possono essere sostituiti da macchine nuove e più intelligenti – robot industriali, in particolare – che sono in grado di eseguire compiti che prima venivano svolti da esseri umani in modo più rapido ed efficiente. I robot renderanno quindi superflui milioni di lavoratori, in particolare quelli con basse e medie qualifiche, e rivoluzioneranno la società.
Sono state fatte delle stime drammatiche sul numero di posti di lavoro a rischio automazione, sulla base del tipo di mansioni svolte abitualmente (per esempio Frey e Osborne 2017). Fino a poco tempo fa, però, c’erano poche analisi sistematiche sull’impatto dei robot e di altre tecnologie nuove in termini di equilibrio generale. Acemoğlu e Restrepo (2016, 2017) dimostrano che questo impatto in realtà è ambiguamente teorico. I robot sostituiscono direttamente i lavoratori a parità di produzione e di prezzi, ma le riduzioni di costi che ne risultano incrementano anche la domanda di prodotti e di manodopera. Inoltre, i lavoratori possono essere assorbiti da altri settori e specializzarsi in mansioni nuove e complementari.
Partendo dalla loro teoria, Acemoğlu e Restrepo elaborano un metodo di stima e lo applicano a una serie di mercati del lavoro locali negli Stati Uniti (1993-2014). Il quadro empirico che emerge sembra confermare alcuni dei timori più importanti: nello specifico, i due autori osservano che l’aggiunta di un robot riduce l’occupazione totale di un numero di posti di lavoro compreso fra 3 e 6. Inoltre, riduce i salari di equilibrio medi per quasi tutti i gruppi nel mercato del lavoro. Insomma, gli effetti di sostituzione provocati dai robot negli Stati Uniti appaiono largamente predominanti.
Germania: la terra dei robot e degli operai manifatturieri
In un recente saggio, abbiamo considerato l’impatto dei robot sul mercato del lavoro tedesco (Dauth et al. 2017). I robot in Germania sono molto più diffusi che negli Stati Uniti o negli altri Paesi, fatta eccezione per quelli dell’Asia. Il grafico 1 mostra che nel 1994 in Germania c’erano quasi 2 robot industriali installati ogni 1.000 lavoratori, più del doppio della media europea e quattro volte di più che negli Stati Uniti. L’uso di robot è quasi quadruplicato e ora si assesta a 7,6 robot ogni 1.000 lavoratori, contro appena 2,7 e 1,6, rispettivamente, in Europa e negli Stati Uniti. Ma nonostante ci siano molti più robot in circolazione, la Germania è ancora fra le maggiori potenze industriali mondiali, con una quota di occupati nell’industria eccezionalmente consistente (intorno al 25 per cento nel 2014 contro meno del 9 per cento negli Usa), e che negli ultimi 25 anni è scesa in modo meno pronunciato (cfr. il secondo diagramma del grafico 1).
Grafico 1. Robot installati e quota di occupati nell’industria, 1994-2010
a. Robot industriali (Robot per 1.000 lavoratori per anno)
b. Occupati nell’industria (Quota degli occupati nell’industria in % per anno)
La Germania, inoltre, non è soltanto un forte utilizzatore, ma anche un importante produttore di robot industriali. Le classifiche mondiali della robotica elencano otto società giapponesi fra i primi dieci produttori del mondo: le due restanti (Kuka e Abb) hanno origini tedesche e una produzione concentrata principalmente in Germania. Tra le venti più grandi, cinque sono in origine tedesche e solo una (la Omron) è americana. La nostra analisi relativa alla Germania, quindi, ricava gli effetti causali dei robot sul mercato del lavoro in un contesto dove il numero di posti di lavoro industriali pro capite a rischio di sostituzione è molto maggiore, ma è molto più alto anche il numero di robot installati nelle fabbriche e il numero di aziende produttrici di robot.
Effetti aggregati dei robot sull’occupazione
Per la nostra analisi, sfruttiamo lo stesso insieme di dati della Federazione internazionale della robotica utilizzato da Acemoğlu e Restrepo (2016, 2017) e dallo studio pionieristico condotto da Graetz and Michaels (2017). Questo insieme di dati riporta il numero di robot installati in 25 settori e 50 Paesi nel periodo che va dal 1994 al 2014. Per la Germania, la copertura è esauriente e scopriamo che l’incremento più significativo del numero di robot installati è di gran lunga quello avvenuto nelle varie branche del comparto automobilistico. Qui, nel 2014, ogni 1.000 lavoratori c’erano fra i 60 e i 100 robot in più installati rispetto al 1994. Fra gli altri settori che sono diventati ad alta intensità robotica segnaliamo la produzione di mobili, gli elettrodomestici e la pelletteria. All’altro estremo troviamo casi in cui l’uso di robot è rimasto quasi invariato, per esempio nei servizi.
Da questi dati a livello di settore costruiamo una misura della presenza locale di robot, che riflette il mix settoriale delle varie regioni tedesche. È illustrato nel grafico 2. La mappa indica che nella Germania orientale la presenza di robot è più bassa, per via del minor peso complessivo dell’industria. All’interno della Germania occidentale, i valori variano da poco più di 0 fino a 78,1 robot in più ogni 1.000 lavoratori, una variazione molto più accentuata che negli Stati Uniti.
Eseguendo una regressione della crescita complessiva dell’occupazione locale sulla base di questa misura della presenza di robot, non troviamo nessuna evidenza di effetti negativi comparabili a quelli degli Stati Uniti. La correlazione grezza tra robot e crescita dell’occupazione è addirittura positiva, ma è un dato fortemente influenzato dall’andamento dall’industria dell’auto. Se si tiene conto delle strutture settoriali e demografiche, troviamo effetti quasi nulli, sia nelle semplici regressioni ordinarie dei minimi quadrati sia in stime più sofisticate effettuate con il metodo delle variabili strumentali.
Grafico 2. Presenza di robot nei vari mercati del lavoro locali in Germania, 1994-2014
Anche se non influiscono sull’occupazione totale, i robot hanno effetti fortemente negativi sull’occupazione industriale in Germania. Secondo i nostri calcoli, un robot in più sostituisce mediamente due posti di lavoro industriali. Ciò implica che tra il 1994 e il 2014 sono stati distrutti più o meno 275mila posti di lavoro a tempo pieno nel settore manifatturiero. Ma queste perdite considerevoli sono pienamente compensate dai guadagni occupazionali negli altri settori. In altre parole, i robot hanno fortemente modificato la composizione della forza lavoro, accelerando il declino dell’occupazione nell’industria illustrato nel grafico 1: quasi il 23 per cento di questo declino è da attribuirsi ai robot. Ma se si va a guardare il numero totale dei posti di lavoro nell’economia tedesca, i danni fatti non sono così pesanti.
L’effetto dei robot sui singoli lavoratori
Questi dati empirici aggregati sollevano interrogativi su come si producono, e attraverso quali canali, gli effetti negativi dei robot per i singoli lavoratori. Per fare luce su questa questione finora trascurata usiamo dati collegati datore di lavoro-dipendente, che tracciano la biografia lavorativa e i profili reddituali di circa 1 milione di lavoratori dell’industria, con esposizione variabile ai robot (e ad altri shock tecnologici e commerciali) nel tempo. Questa analisi, per quanto ne sappiamo, è la prima in letteratura ad affrontare in modo esaustivo il tema delle modalità con cui si producono gli effetti negativi dell’ascesa dei robot per i singoli lavoratori, e le modalità di reazione di questi ultimi.
Questa analisi a livello dei lavoratori fornisce un’indicazione sorprendente: scopriamo che i lavoratori dei settori con maggior presenza di robot in realtà hanno probabilità notevolmente più alte di conservare il posto di lavoro nella loro azienda originaria. In altre parole, la presenza di robot per questi lavoratori ha incrementato la stabilità occupazionale, anche se alcuni di loro finiscono per svolgere mansioni differenti da quelle che svolgevano prima dell’arrivo dei robot.
L’effetto di equilibrio negativo dei robot sull’occupazione aggregata nel settore manifatturiero non è quindi determinato dalle sostituzioni dirette di lavoratori esistenti, ma dai minori flussi di nuovi ingressi nel mercato del lavoro nelle industrie con maggior presenza di robot. In altre parole, i robot non distruggono i posti di lavoro manifatturieri esistenti, ma inducono le aziende a creare un minor numero di nuovi posti di lavoro per i giovani.
Quando si parla degli effetti dei robot su salari e redditi, troviamo una considerevole eterogeneità a livello individuale. Questi risultati, illustrati nel grafico 3, forniscono un’evidenza, a livello micro, del fatto che il robot sono una forma di progresso tecnologico che favorisce le alte qualifiche.
Grafico 3. Effetto della presenza di robot sui redditi individuali cumulati
a. Per livello di istruzione, periodi brevi cumulati (Effetto di un robot per 1.000 lavoratori sul reddito normalizzato per reddito dell’anno di riferimento x 100)
b. Per occupazione, periodi brevi cumulati (Effetto di un robot per 1.000 lavoratori sul reddito normalizzato per reddito dell’anno di riferimento x 100)
La presenza di robot provoca considerevoli guadagni di reddito per i lavoratori altamente qualificati, specie nelle posizioni scientifiche e manageriali. I robot possono rappresentare un vantaggio per questi lavoratori, perché possiedono competenze complementari a questa tecnologia ed eseguono compiti che non sono facilmente sostituibili. Ma per i lavoratori a bassa qualifica, e in particolare per i lavoratori industriali a media qualifica, osserviamo degli impatti negativi considerevoli.
Il tirocinio completato è il tipico profilo dei lavoratori industriali in Germania, e questo gruppo di lavoratori a media qualifica rappresenta quasi il 75 per cento di tutti gli individui del nostro campione. Sono sovrarappresentati nelle occupazioni manuali e a forte ripetitività, come gli operatori di macchine, che potrebbero diventare obsolete perché i robot – per definizione – non hanno più bisogno di un operatore umano, ma sono in grado di condurre autonomamente molti passaggi della produzione. Questi lavoratori subiscono riduzioni del salario e perdite reddituali cumulative a causa dei robot, ma anche per loro non riscontriamo un maggior rischio di sostituzione, ma piuttosto effetti occupazionali positivi.
Effetti aggregati dei robot sulla produttività e sulla quota del lavoro
Siamo convinti che queste scoperte empiriche riflettono un aspetto fondamentale delle relazioni industriali nel mercato del lavoro tedesco: il settore manifatturiero è ancora fortemente sindacalizzato e i salari degli operai (in particolare) di regola vengono determinati attraverso un processo collettivo, con un forte coinvolgimento dei consigli di fabbrica. È stato sostenuto più volte che i sindacati tedeschi hanno una forte preferenza per il mantenimento di livelli occupazionali elevati, e sono disposti ad accettare intese salariali flessibili, come le «clausole di apertura», in presenza di shock negativi per salvaguardare i posti di lavoro.
Questa flessibilità dei sindacati, e la conseguente moderazione salariale, è considerata una delle spiegazioni più probabili della solida performance complessiva del mercato del lavoro tedesco (il «miracolo occupazionale») dalla metà degli anni 2000 in poi (p.e. Dustmann et al. 2014).
La nostra analisi suggerisce che l’ascesa dei robot potrebbe aver innescato una reazione simile, cioè la disponibilità dei lavoratori esistenti a ingoiare riduzioni del salario per stabilizzare i livelli occupazionali di fronte alla minaccia rappresentata dai robot. Questo canale ha meno importanza per i manager altamente qualificati e i dipendenti di livello comparabile, con contratti flessibili. Ma sembra molto rilevante per i lavoratori a media qualifica.
Infine, nell’aggregato scopriamo che i robot aumentano la produttività media e la produzione totale al netto dei salari, ma non i salari medi. In altre parole, la nostra analisi indica che i robot hanno contribuito al declino della quota del lavoro (Autor et al. 2017, Kehrig e Vincent 2017).
La maggior parte delle rendite di questa nuova tecnologia apparentemente va a beneficio dei detentori dei capitali e di chi incassa i profitti. Per loro, come anche per i lavoratori qualificati con livelli elevati di capitale umano, i robot sono di aiuto nel mercato del lavoro. Ma per il grosso dei lavoratori a bassa e media qualifica, il rapporto con l’automazione è più difficile.
Complessivamente, la nostra conclusione è che i robot fino a questo momento non hanno fatto strage di posti di lavoro in Germania, in contrasto con l’opinione diffusa in una parte del dibattito contemporaneo. Tuttavia, inducono cambiamenti rilevanti nella distribuzione del reddito. Rispetto agli Stati Uniti, sembra che la reazione del mercato del lavoro tedesco sia stata più favorevole, non solo verso lo «shock cinese» (Dauth et al. 2014, Marin 2017), ma anche verso l’ascesa dei robot.
*Pubblicato su su VoxEU.org
(Traduzione di Fabio Galimberti)
Bibliografia
Acemoğlu, Daron e Pascual Restrepo (2016), «The race between machine and man: Implications of technology for growth, factor shares and employment», Nber Working paper n. 22252.
Acemoğlu, Daron e Pascual Restrepo (2017), «Robots and jobs: Evidence from US labor markets», Nber Working paper n. 23285.
Autor, David H., David Dorn, Lawrence F. Katz, Christina Patterson e John Van Reenen (2017), «The fall of the labor share and the rise of superstar firms», Nber Working paper n. 23396.
Dauth, Wolfgang, Sebastian Findeisen, Jens Südekum e Nicole Woessner (2017), «German robots – The impact of industrial robots on workers», Cepr Discussion Paper 12306.
Dauth, Wolfgang, Sebastian Findeisen e Jens Südekum (2014), «The rise of the east and the far east: German labor markets and trade integration», Journal of the European Economic Association, 12 (6), pp. 1643-1675.
Dustmann, Christian, Bernd Fitzenberger, Uta Schönberg e Alexandra Spitz-Oener (2014), «From sick man of Europe to economic superstar: Germany’s resurgent economy», Journal of Economic Perspectives, 28 (1), pp. 167-188.
Frey, Carl Benedikt e Michael A. Osborne (2017), «The future of employment: How susceptible are jobs to computerisation?», Technological Forecasting and Social Change, 114, pp. 254-280.
Graetz, Georg e Guy Michaels (2017), «Robots at work», Cep Discussion Paper 1335.
Kehrig, Matthias e Nicolas Vincent (2017), «Growing productivity without growing wages: The micro-level anatomy of the aggregate labor share decline», CESifo Working paper series n. 6454.
Marin, Dalia (2017), «The China Shock: Why Germany is different», VoxEU.org, 7 settembre.