Norme al crash test, il coniglio dal cilindro per governare senza sprechi

scritto da il 17 Ottobre 2017

Gli autori di questo post sono Guglielmo Briscese e Chiara Varazzani. Briscese è senior advisor al Behavioural Insights Team e ricercatore alla University of Sydney. Varazzani è executive advisor all’ufficio del Primo Ministro australiano – 

Sono le due di notte di martedì, vostra figlia ha la febbre molto alta e non avete medicine in casa. Siete preoccupati che la febbre possa peggiorare. Correte alla farmacia di turno e davanti allo scaffale delle medicine trovate un cartello che dice: “Nessuna delle medicine in questo scaffale è mai stata testata. La farmacia declina ogni responsabilità in caso di effetti collaterali”. Correreste il rischio di somministrare una di queste medicine a vostra figlia?

Per fortuna questo scenario è oggi lontano dalla realtà grazie a decenni di sperimentazione nel campo medico e farmacologico. In particolare, l’uso sistematico di test clinici controllati e randomizzati (nei quali i pazienti sono assegnati in modo casuale per ricevere una certa medicina) ha permesso di apportare evidenza scientifica per valutare l’efficacia (o meno) di ogni medicina prima che venga distribuita nelle farmacie.

Purtroppo non si può ancora dire lo stesso delle politiche pubbliche. Un governo che voglia impegnarsi in programmi e interventi per diminuire la disoccupazione, migliorare la salute dei cittadini, o ridurre il tasso di criminalità, si trova spesso davanti all’impossibile scelta di quali programmi finanziare non solo brancolando nel buio, ma addirittura con il rischio di fare ancora più danni. Esattamente come per le medicine, sarebbe utile testare l’efficacia di ogni provvedimento governativo prima di metterlo in pratica.

Questo è il caso di numerosi programmi governativi che sembravano molto promettenti in teoria, ma che in pratica si sono dimostrati disastrosi. Eclatante fu il caso del documentario “Scared Straight” (o “spaventati all’istante”), in cui si mostravano alcuni giovani criminali costretti a passare qualche ora nelle prigioni di massima sicurezza degli Stati Uniti faccia a faccia coi peggiori criminali, con l’obiettivo di spaventarli e metterli in guardia sulle conseguenze del loro comportamento.

Nel documentario, i ragazzi – intervistati dopo le visite in prigione – si promettevano di non lasciare più la retta via, per il terrore di passare anche solo qualche altra ora in prigione. Il documentario vinse il premio Oscar nel 1978 e i governi di tutto il mondo decisero di sussidiare programmi simili. Purtroppo nel 2002 una meta-analisi del programma condotta da alcuni accademici rivelò che Scared Straight fece purtroppo aumentare il tasso di criminalità giovanile invece di aiutare a diminuirlo (1).

Più di recente, nel 2003, in Australia hanno implementato un programma con l’obiettivo di ridurre il numero di gravidanze precoci. Il programma consisteva nel dare a delle adolescenti una bambola che avesse bisogno di cure continue come un vero neonato, dall’alimentazione al cambio del pannolino. L’idea era che, dopo aver visto quanta fatica richiedesse prendersi cura di un bambino, le adolescenti in questione sarebbero state più attente nell’evitare un’eventuale gravidanza. Il risultato di uno studio condotto nel 2016 ha rivelato come invece il programma abbia aumentato in maniera significativa le gravidanze precoci nonché il numero delle interruzioni volontarie di gravidanza (2).

Un altro esempio arriva dal campo ospedaliero, dove per decenni si sono somministrati steroidi a pazienti con trauma cranici ammessi al pronto soccorso. Gli steroidi sembravano una scelta intelligente: diminuiscono i gonfiori post-traumatici considerati la principale causa di morte in questi casi. Solo una decina di anni fa un test controllato dimostrò come gli steroidi in verità aumentino il rischio di decesso dei pazienti.

Questi tre esempi fanno capire quanto testare programmi e interventi governativi sia davvero importante. La brutta notizia è che questi sono alcuni dei pochissimi programmi governativi che siano mai stati valutati scientificamente e di cui conosciamo gli effetti. La buona notizia è che adesso questi programmi non vengono più finanziati in molti Paesi, e preziose risorse pubbliche possono essere riallocate altrove.

Il modo migliore per arrivare a questa conoscenza è sperimentare. Proprio come si fa in medicina da decenni, si possono effettuare dei test usando controlli randomizzati ed altri metodi di valutazione per ampliare la nostra conoscenza su cosa funziona (e soprattutto cosa non funziona) per migliorare il benessere dei cittadini.

La settimana scorsa, il premio Nobel per l’Economia è stato conferito a Richard Thaler della Università di Chicago, considerato uno dei padri fondatori dell’economia comportamentale. Thaler è diventato famoso anche grazie al suo libro “Nudge”, scritto insieme a Cass Sunstein, dove, riassumendo due decadi di studi di economia comportamentale, spiega che spesso basta molto poco per aiutare le persone a fare delle scelte migliori nel loro interesse e in quello degli altri.

Un altro contributo fondamentale di Thaler che gli ha permesso di vincere il Nobel è quello di aver promosso l’uso della cosiddetta “evidence-based policy”, ovvero politiche basate sull’evidenza e l’approccio sperimentale, in governi di tutto il mondo. Nei governi di Paesi come l’Inghilterra, Stati Uniti, Finlandia e Australia si sono fatte più valutazioni sperimentali negli ultimi cinque anni che nei cinque decenni precedenti. E il numero di tali valutazioni è destinato ad aumentare esponenzialmente in questi Paesi, permettendo di migliorare l’efficienza e l’efficacia dei loro programmi, riducendo gli sprechi, e migliorando il benessere dei cittadini.

In definitiva questi Paesi, e molti altri che stanno seguendo tale traiettoria, stanno modernizzando il modo di fare governo. Come? Attraverso numerosi piccoli progetti, anziché complessi disegni di legge, che – noi italiani ne sappiamo qualcosa – spesso richiedono tempi biblici per essere approvati.

Twitter @GBriscese @chiaravara

NOTE
1 http://journals.sagepub.com/doi/abs/10.1177/0002716203254693
2 http://www.thelancet.com/journals/lancet/article/PIIS0140-6736(16)30384-1/abstract