categoria: Res Publica
Sanità, le dieci scelte necessarie perché il sistema non vada a sbattere
L’Istat dichiara una spesa sanitaria complessiva di 149,5 miliardi di euro, pari all’8,9% del Pil. Il 75%, pari a 112 miliardi, nel sistema sanitario nazionale (SSN da ora in avanti) e il 25%, pari a 37,3 miliardi, come spesa privata. Circa il 10% di quella spesa privata è intermediata dalle assicurazioni, mentre il 90% è a carico delle famiglie. La spesa pubblica dal 2008 è piatta in valore assoluto.
Il diritto alla salute dichiarato in costituzione all’art.32:
“La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti.Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.”
viene poi tradotto in LEA (Livelli essenziali di assistenza), ovvero una lista di prestazioni sanitarie, che il ministero dichiara e obbliga le regioni a coprire in un qualche modo. Le regioni hanno la delega sulla sanità e la finanziano.
I nuovi LEA (Livelli essenziali di assistenza) appena introdotti rappresentano un aggravio di spesa ancora da quantificare in modo preciso ma la forchetta indicata dal Ministero della Salute è tra gli 800 milioni ai 3 miliardi (800 milioni se ottengono forti sconti da case farmaceutiche ed erogatori, tutto da vedere).
Sul lato della classe medica, nel 2014 erano operativi in Italia 235mila medici specializzati:
Con una distribuzione di età drammaticamente spostata in avanti:
Se consideriamo 64 anni l’anno della pensione questi numeri ci dicono che nei successivi 10 anni andranno in pensione circa 120mila dei medici specializzati oggi, cioè circa 12mila all’anno.
I numeri di nuovi specialisti (considero anche i medici di base in questo gruppo) che entrano invece nel sistema sono circa 7mila all’anno:
Questo dato è previsto piatto per i prossimi anni. Ovvero c’è e ci sarà una diminuzione di circa 5mila specialisti ogni anno, su 7mila che entrano. Per intenderci in 10 anni dal 2014, ovvero nel 2024, avremo 50mila specialisti in meno, ovvero ne rimarranno 185mila.
Nel frattempo la popolazione sta invecchiando. La spesa sanitaria media per un cittadino dipende dall’età e quindi tanto più la distribuzione di età si sposta in alto e tanto più la spesa dovrebbe aumentare. Di quanto? Nel migliore dei casi di 2,5 miliardi per anno, più probabilmente verso i 5 miliardi per anno. Ovvero, se il modello di erogazione dei servizi sanitari non cambia (protocolli, chi fa cosa, quanto spendiamo per ciascuna area ecc.) l’unica possibilità concreta per reggere è allungare le liste di attesa pubbliche fino a che le persone non decidano di andare nel privato a pagamento. A meno che non ci siano sacche di inefficienza eclatanti e che il sistema sanitario sia in grado di tagliare quelle senza toccare le aree che funzionano bene. Ritengo altamente improbabile questa possibilità sia per la delicatezza politica della Sanità, con tutto il suo portato di personale dipendente pubblico e quindi di voti, sia perché siamo già uno dei paesi al mondo che rispetto al PIL spende di meno.
Tutti questi numeri per dire cosa? Che stiamo collettivamente mettendo la testa sotto il tappeto rispetto ad evoluzioni del tutto prevedibili e che mettono in pericolo la nostra salute, come comunità. Ovviamente ci sono molti altri temi che non posso affrontare in questo articolo ma che sono rilevanti, il più importante dei quali un gap di qualità ed efficacia del sistema tra nord e sud Italia, ampiamente testimoniato dai dati di “migrazione sanitaria” tra le regioni del sud e quelle del nord, in particolare Lombardia ed Emilia Romagna.
Data la estrema delicatezza nell’affrontare i problemi della Sanità e l’articolazione del sistema (Stato, Regioni, ASL, Comuni, Ospedali, altri erogatori) e la debolezza politica e di consenso dei governi, l’Italia sta vivacchiando, cercando di mettere pezze al sistema e senza decidere veramente che strada intraprendere per i prossimi 20 anni. Uno stato di salute medio ottimo, comparato con gli altri paesi, principalmente dovuto ad abitudini di vita migliori (cibo, relazioni, fumo, alcool, attività fisica) ha reso il problema meno grave e in un qualche senso meno misurabile in termini di risultato. In fondo abbiamo la vita media tra le più lunghe del pianeta. Ma se andiamo a guardare il dettaglio di quello che sta succedendo ci rendiamo conto delle crepe del sistema.
La qualità della vita negli ultimi anni di vita sta peggiorando. Lo Stato aiuta in modo molto limitato le famiglie per quanto riguarda la presa in carico degli anziani, quasi tutti con patologie croniche.
Siamo di fronte a scelte che con coraggio si pongano l’obbiettivo di chiarire cosa è il Sistema Sanitario Nazionale. Innanzitutto bisogna dire la verità agli Italiani e smetterla di nascondere i fatti. Molto probabilmente va cambiato il modello. Qui elenco una serie di azioni, largamente note e condivise dai tecnici, ma che ovviamente impattano con molti interessi e quindi non vengono portate avanti con la necessaria determinazione:
- Empowerment degli infermieri per suddividere maggiormente il lavoro con i medici rispetto a quanto viene fatto oggi
- Moderazione nella spesa sul fine-vita lavorando invece sulla qualità di vita di quel momento
- De-medicalizzazione di molti aspetti della vita che sono considerate oggi patologie da dover essere trattate in modo aggressivo
- Spostamento massiccio dagli ospedali e RSA al domicilio delle persone dei servizi
- Aumento della spesa e dell’attenzione verso “l’allenamento a stare in salute” prendendo risorse dalla cura delle patologie (Dobbiamo non fare ammalare le persone e non semplicemente curarle quando si ammalano)
- Da una medicina reattiva (ci sono quando ti ammali e mi chiami) ad una medicina proattiva (ti chiamo per costruire con te le condizioni che non ti faranno ammalare). I Dati oggi a nostra disposizione permetterebbero un lavoro fantastico in tal senso
- Un taglio pesante ai medicinali di marca andando verso i generici
- Una razionalizzazione dei medicinali coperti dal SSN in modo da lasciare quelli che sappiamo sono i migliori rispetto ai problemi che trattano
- Un sistema di pagamento degli erogatori che allinei gli interessi economici e di salute dei pazienti. Ovvero all’erogatore deve interessare essere il meno interventista possibile e prevenire la malattia. Questo significa una remunerazione per-capita e non a prestazione
- Una concentrazione delle risorse in centri di eccellenza che facciano grandi volumi e abbiano i migliori professionisti rispetto ad una distribuzione di ospedali che non hanno nessun senso clinico come quella di oggi (su questo tema si è già fatto tanto comunque, ma non siamo ancora arrivati dove si potrebbe)
In una frase: dipende tutto dalla volontà politica di mettere mano al sistema.
Twitter @lforesti