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Ogm, il grande paradosso delle politiche agricole europee
Secondo Marco Perduca, ex senatore radicale, si dovrebbe parlare di “vittoria storica”. Perduca ha ragione da vendere. Il 13 settembre, dopo oltre tre anni di vicissitudini legali, i signori Giorgio Fidenato, Leandro Taboga e Luciano Taboga hanno vinto la personale battaglia contro la decisione del governo italiano di vietare loro la coltura di mais geneticamente modificato.
Per chi non si ricordasse tutta la vicenda, le peripezie giudiziarie di Giorgio Fidenato e dei fratelli Taboga ebbero, di fatto, inizio il 12 luglio 2013 quando, attraverso l’imposizione di un ingiusto decreto interministeriale, il governo italiano decise di non rispettare le precedenti disposizioni della Commissione Europea. Nonostante le precise indicazioni provenienti da Bruxelles, il governo italiano stabilì il divieto di coltivazione dell’unico mais OGM autorizzato dall’Unione Europea, il mais MON 810.
Fu così che il 2 settembre 2014 le Procure di Udine e Pordenone posero sotto sequestro gli appezzamenti in cui Giorgio Fidenato aveva piantato mais OGM autorizzato. A ciò seguirono due distinti procedimenti penali che si conclusero nel nulla. I dubbi sollevati dalla difesa, sulla legittimità del decreto, erano praticamente inattaccabili. Da qui la decisione da parte del Tribunale di Udine di richiedere l’intervento della Corte di Giustizia Europea. In particolare, il Tribunale domandava se fosse possibile adottare misure di emergenza basate sul cosiddetto “principio di precauzione”. Questo principio rappresenta una parte molto importante dei trattati sul funzionamento dell’Unione Europea ed il suo scopo primario è quello di garantire un alto livello di protezione dell’ambiente. Nella pratica, poi, il “principio di precauzione” si estende anche alla politica dei consumatori, alla legislazione europea sugli alimenti e alla salute umana, animale e vegetale.
La decisione della Corte di Giustizia Europea mette in evidenza tutta l’ipocrisia del governo italiano e delle istituzioni europee. A partire dall’adozione della direttiva 90/220/CEE del 1990, l’Unione Europea ha istituito una moratoria sulla coltivazione degli OGM. Ad oggi la coltivazione di organismi geneticamente modificati è estremamente ridotta all’interno di tutta l’Unione. Nonostante che il 70% del cotone prodotto nel mondo sia geneticamente modificato, e che l’87% dei mangimi composti italiani per animali sia GM e che il 92% della soia usata come mangime a livello europeo sia GM, ad oggi solo 4 stati membri (Portogallo, Repubblica Ceca, Slovacchia e Spagna) permettono una limitata coltivazione di mais MON 810.
La legislazione dell’Unione Europea sul controllo degli organismi geneticamente modificati sta diventando sempre più complessa ed astrusa. Ciò è dovuto in primis alle pressioni di molte associazioni e organizzazioni anti-OGM (basti pensare a Greenpeace o a Friends of the Earth). Queste efficaci azioni lobbistiche hanno portato il Parlamento Europeo ed il Consiglio ad approvare la direttiva 2015/412 (entrata in vigore nella primavera del 2015). Grazie a questa nuova regolamentazione, i 28 stati membri possono oggi limitare o vietare in toto la coltivazione di organismi geneticamente modificati nel loro territorio facendo riferimento a motivazioni non scientifiche. In un ambito in cui il dibattito politico dovrebbe basarsi principalmente su studi, ricerche e test scientifici, la decisione di limitare al massimo la coltura GM attraverso il “principio di precauzione” rischia di avere effetti negativi di lungo termine sia sull’avanzamento tecnologico del settore agricolo europeo, sia sull’efficienza operativa di milioni di aziende agricole.
Se da un lato, infatti, l’Unione Europea possiede probabilmente le regole più restrittive al mondo in termini di coltivazione di prodotti GM, dall’altro gli agricoltori europei continuano ad importare milioni di tonnellate di mangime GM per poter sfamare il loro bestiame. Per esempio, dati pubblicati dalla Commissione Europea indicano che gli agricoltori dell’Unione hanno bisogno di più di 36 milioni di tonnellate di soia all’anno per alimentare il bestiame. Questa necessità deriva dal fatto che in Europa vengono prodotti ogni anni solo 1,4 milioni di tonnellate di soia (principalmente non geneticamente modificata, in quanto la coltivazione di soia GM non è autorizzata dall’Unione Europea).
La recente sentenza delle Corte di Giustizia Europea dovrebbe quindi farci riflettere. Siamo sicuri che limitare le capacità di coltivazione sia la giusta risposta ai bisogni del nostro settore agricolo? Crediamo davvero che i nostri agricoltori siano tutelati dalle attuali, restrittive, regole comunitarie? Siamo certi che importare dall’estero, mettendo un palo all’innovazione agricola europea e sprecando inutili risorse, sia la soluzione desiderata? Pensiamo veramente di combattere problemi come il cambiamento climatico e la crescita della popolazione mondiale con politiche anti OGM che fondano le loro radici su pregiudizi, anziché sul progresso scientifico?
In uno studio pubblicato ad inizio 2017, Graham Brookes e Peter Barfoot, direttori di un’ azienda di consulenza Britannica specializzata nei servizi agricoli, spiegano come la commercializzazione degli organismi geneticamente modificati abbia portato a notevoli vantaggi economici. Questi benefici vengono stimati in 15,4 miliardi di dollari per il solo 2015 ed in 167,8 miliardi di dollari (in termini nominali) per il periodo 1996-2015. Circa il 72% di questi guadagni deriva dall’aumento della resa dei terreni e della produzione mentre il rimanente 28% dei guadagni proviene dal risparmio sui costi aziendali. Nel corso di questi ultimi due decenni la commercializzazione di OGM ha inoltre contribuito in modo significativo all’aumento del livello di produzione globale delle quattro principali colture sviluppate. Con la popolazione mondiale destinata a raggiungere gli 8,6 miliardi nel 2030 ed i 9,8 miliardi nel 2050, la produzione e la coltivazione di colture GM diventeranno presto una necessità. Ad oggi solo 26 paesi al mondo coltivano OGM.
Come il recente passato ci ricorda molto bene, l’isteria anti-OGM rischia di trasformarsi in tragedia. Come riportarono tutte le notizie dell’epoca, nel 2002 l’Africa meridionale fu colpita da una gravissima siccità. Oltre 14 milioni di persone rimasero senza cibo. Di queste, 3 milioni erano zambiane. Gli Stati Uniti risposero immediatamente alla domanda di aiuto proveniente dallo Zambia mettendo a disposizione 35mila tonnellate di cibo geneticamente modificato. Nonostante la sicurezza certificata di questo cibo, il Presidente dello Zambia, Levy Mwanawasa, decise subito di bloccare questi aiuti. La spiegazione? Il cibo offerto non poteva essere accettato poiché “avvelenato”.
In realtà, come ci ricorda in un recente articolo Marian L. Tupy, redattore di HumanProgress.org, la decisione di Levy Mwanawasa fu principalmente legata alle relazioni commerciali tra lo Zambia e l’Unione Europea. Da oltre due decenni a questa parte, gli agricoltori zambiani sono perfettamente a conoscenza delle regolamentazioni europee in ambito OGM. Ad esempio, il sistema di etichettatura alimentare dell’UE impone alle aziende di indicare se gli alimenti o i mangimi che producono contengono OGM, quando la presenza è al di sopra di 0,9% del prodotto. Di conseguenza, esportando molti prodotti primari verso l’Unione Europea (nel 2016 oltre il 20% degli export zambiani verso l’Unione Europea riguardano il cibo), il governo zambiano è sempre stato particolarmente attento a rispettare i nostri “gusti” e la nostra “salute”. Se il settore agricolo zambiano fosse stato inondato da organismi geneticamente modificati, la Zambia avrebbe rischiato di perdere importanti quote di mercato a livello europeo. Come riporta anche un famoso articolo dell’Economist intitolato “Better dead or GM-fed?”, Levy Mwanawasa si trovò davanti ad un scelta tremenda: meglio lasciar morire di fame alcuni concittadini piuttosto che accettare cibo geneticamente modificato mettendo però a rischio una parte significativa del commercio con l’Unione Europea?
L’introduzione della direttiva 2015/412 di cui abbiamo parlato in precedenza avrebbe potuto armonizzare il potere degli stati membri e vietare (o ridurre) l’importazione, l’uso e la coltivazione di mangimi e di alimenti OGM. Subito dopo l’approvazione di queste regole, la Commissione Europea propose ulteriori norme. Queste nuove regolamentazioni avrebbero effettivamente eliminato il paradosso delle attuali leggi (no a coltivazione, si ad importazione). Tuttavia, nell’ottobre del 2015, il Parlamento Europeo respinse quest’ultima proposta. Il rischio principale, secondo gli eurodeputati, sarebbe stato quello di frammentare il mercato unico agricolo e di incidere negativamente sull’intero settore che, per l’appunto, dipendente fortemente dagli OGM importati. Per il momento, la Commissione Europea non sembra aver voglia di promuovere alcun “piano B”. In altre parole, meglio mantenere il paradosso dello status quo piuttosto che scontentare parte dell’opinione pubblica europea.
Come hanno scritto Dennis Eriksson della Swedish University of Agricultural Studies e Roberto Defez del CNR, in un articolo apparso una decina di giorni fa su EurActiv, la sentenza della Corte di Giustizia Europea presenta una grandissima opportunità per tornare a discutere in modo razionale e scientifico. Il fatto che nel 2016 oltre 100 premi Nobel si siano espressi a favore di questi ultimi lascia pensare che qualcosa sia andato storto nel dibattito politico europeo. Come nel caso dei vaccini, paure ingiustificate e studi non scientifici lasciano spesso spazio a superstizioni, a storie fantasiose e a politiche sbagliate. Con una comunità scientifica tra le migliori al mondo, l’Unione Europea ha la possibilità di guidarci verso una nuova era agricola. Le colture GM sono ormai relativamente vecchie ma, nel corso di questi ultimi decenni, la sperimentazione e la scienza hanno fatto passi da gigante. Non è un caso che già nel 2010, in un lungo studio pubblicato dalla Direzione Generale per la ricerca e l’innovazione della Commissione Europea veniva spiegato che (testuali parole) “la biotecnologia e in particolare gli OGM non sono di per sé più rischiosi di tecnologie di allevamento convenzionali”.
Prima o poi la Commissione Europea, gli eurodeputati e i vari governi europei dovranno capire che le attuali politiche comunitarie in ambito OGM risultano essere inefficaci e danneggiano non solo i consumatori, gli agricoltori ed i paesi più poveri, ma rischiano di rovinare anche le future generazioni, scoraggiando l’innovazione e lo sviluppo di nuove tecnologie alternative. Se vogliamo veramente affrontare le grandi sfide del 21esimo secolo allora è arrivato il momento di abbracciare la scienza.
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