categoria: Vicolo corto
Tutto quello che c’è da sapere sullo sgambetto a Flixbus e alla certezza del diritto
Solitamente, quando vi sono proteste contro piattaforme digitali come Uber o Airbnb, l’accusa più ricorrente riguarda l’assenza di una regolamentazione a monte che riesca ad evitare asseriti casi di concorrenza sleale nei confronti, ad esempio, di tassisti e albergatori.
Tutto ciò, al di là delle diverse posizioni in merito, nulla c’entra con la cosiddetta norma anti-Flixbus, inserita nella manovrina correttiva approvata il 15 giugno. Si tratta di un intervento contro un’azienda, in un mercato molto regolamentato, in palese violazione di qualsiasi principio di diritto! Nonostante l’apparente posizione negativa espressa dal Governo qualche mese fa, la legge di conversione del Decreto Legge n. 50/2017 ha inserito un nuovo comma 12 bis all’articolo 27, il quale prevede che, nell’ambito dei servizi di linea interregionali, chi opera tramite i raggruppamenti di imprese (“RTI”) di tipo verticale, debba avere come mandatario chi «(…) esegue le attività principali di trasporto di passeggeri su strada e i mandanti quelle indicate come secondarie (…)». E chi possiede l’autorizzazione ministeriale, dovrà adeguarsi entro ottobre, a pena di decadenza dell’autorizzazione stessa.
Naturalmente la norma colpisce Flixbus che, come noto, non esegue direttamente alcuna attività di trasporto e che, dunque, non potrebbe più essere mandataria. Un colpo basso, già tentato con il Milleproroghe di inizio anno. Il tutto perpetrato nonostante il parere nettamente contrario dell’Agcm la quale, in una segnalazione inviata a Parlamento e Governo, spiegava che un intervento normativo di tal genere «(…) appare in grado di determinare effetti fortemente anticoncorrenziali nel settore dei trasporti di passeggeri su strada con danni diretti e tangibili per i consumatori (…)» e, con riferimento al Regolamento UE n. 1071/2009, «(…) Non pare dunque conferente a questi principi una norma che impedisce in maniera esplicita a un operatore particolarmente dinamico e competitivo lo svolgimento della propria attività».
Ma come suggerisce il titolo di questo pezzo, il danno causato non attiene solo Flixbus stessa, che pur se costretta ad uscire dal mercato italiano non vedrebbe di certo finire la storia di successo iniziata a Monaco di Baviera qualche anno fa, ma riguarda la credibilità delle istituzioni italiane. Attualmente per ottenere l’autorizzazione ministeriale servono una serie di requisiti, indicati nel D.Lgs. n. 285/2005. Flixbus è entrata nel mercato italiano nel 2015, differenziandosi per un modello di business completamente diverso rispetto all’esistente, operando insieme a dei partner (ditte di trasporto) e costituendo con essi delle RTI, senza possedere alcun mezzo o avere alle dipendenze alcun autista. Con questo modello, Flixbus ha ottenuto le necessarie autorizzazioni ministeriali, ma rischia di finire fuori gioco a causa di un cambio di regole a partita in corso.
L’esclusione per legge di un concorrente è un fatto grave, che fa male al sistema Paese, alla sua credibilità ed alla certezza del diritto. Chiunque voglia investire dall’estero in Italia sa che dovrà fare i conti con il fatto che il quadro normativo preesistente all’investimento potrebbe mutare proprio per escludere dalla competizione l’investitore stesso. Uno Stato serio non si comporta in questo modo, con un comma inserito furbescamente, avulso da qualsiasi logica benevola per il settore e sul quale pendono molti dubbi di conflitto di interesse. Pare che il Governo sia intenzionato a superare la novità anti-Flixbus, vedremo.
Fermo restando che nessuna argomentazione di carattere economico possa in qualche modo giustificare l’attacco alla rule of law, proviamo anche ad entrare nel merito del dibattito. Chi sta beneficiando della liberalizzazione? Il settore sicuramente. Secondo una recente indagine conoscitiva dell’Autorità di Regolazione dei Trasporti (“ART”), la torta si è allargata, dai 130 milioni del 2012 ai circa 200 del 2016. Inoltre, grazie all’arrivo di Flixbus e Megabus (poi acquisita dalla prima), si è «(…) puntato su reti estese, offrendo molte corse per ciascun collegamento (…)». Offrire più corse significa aumentare le possibilità che un consumatore scelga il bus anziché il treno o Blablacar. Secondo il rapporto Traspol inoltre (2016) «(…) il mercato mostra segni di grande vitalità con l’apertura di nuove rotte, l’entrata di altri operatori, gli investimenti sulle flotte di veicoli e l’affermarsi di nuove logiche commerciali e di marketing. Tutto ciò per i passeggeri si è tradotto in tariffe più basse, una rete di collegamenti più estesa ed un migliorato livello di servizi anche in termini di comfort».
Ma vediamo anche l’altra faccia della medaglia: chi sarebbero i danneggiati? Alcuni sostengono che Flixbus sfrutti le ditte di trasporto associate. Pare un’argomentazione tanto sterile quanto infondata. Sicuramente le ditte associate sostengono un importante rischio di impresa (acquisto e manutenzione dei mezzi, gestione dipendenti etc.) senza poter scegliere le politiche di prezzo, ma nessuno si pone mai il problema se queste piccole ditte sarebbero riuscite a mantenersi vive se Flixbus non fosse mai entrata nel mercato e non gli avesse offerto un’opportunità di crescita dei passeggeri, né si considera che la scelta delle ditte stesse sia del tutto libera e diretta al perseguimento di utili, non di certo a favorire la compagnia tedesca. Altri sostengono che gli sfruttati siano gli autisti dipendenti, ma la concessione dell’autorizzazione ministeriale è subordinata all’applicazione del contratto collettivo nazionale di riferimento. Sfido chiunque a dimostrare che le imprese tradizionali paghino stipendi superiori rispetto ai minimi dettati dal CCNL. Queste critiche, sul modello di business, ricordano per alcuni versi quelle mosse da alcune associazioni italiane dei consumatori contro Mc Donald’s, affrontate in un focus di un anno fa per l’Istituto Bruno Leoni.
Altri sostengono che sarebbero danneggiati gli stessi utenti, perché i prezzi bassi sarebbero finalizzati solo ad eliminare la concorrenza, per poi rialzarsi una volta raggiunta la posizione dominante. A tal proposito il Ministero dei Trasporti ha chiesto all’AGCM un parere con riferimento alla “legittimità delle metodologie di determinazione dei prezzi”, e l’autorità ha risposto facendo presente che «(…) nell’autorizzazione “sono indicati i prezzi massimi nonché lo sconto massimo applicabile” (…) Di più, trattandosi di un mercato liberalizzato, ogni eventuale vincolo normativo o regolamentare alla libertà tariffaria delle imprese sarebbe in aperto contrasto con i principi e le norme a tutela della concorrenza».
Ovviamente si potrebbe obiettare che Flixbus applichi prezzi predatori, ma l’AGCM ha spiegato che «Simili politiche tariffarie potrebbero essere potenzialmente suscettibili di ledere la concorrenza solo nell’ipotesi in cui fossero praticate da un operatore in posizione dominante e risultassero talmente aggressive da non essere replicabili da un concorrente altrettanto efficiente (…)». Sebbene la concentrazione del mercato sia aumentata secondo l’ART (passando dal 30 al 53 %), Flixbus non è in una posizione dominante e, come evidenzia il report Traspol, «Nonostante il massiccio ingresso di due grandi operatori internazionali come Megabus.com e Flixbus, il segmento delle rotte domestiche risulta ancora ben presidiato dalle aziende nazionali (…)».
Quindi, in definitiva, gli unici veri danneggiati potrebbero essere le ditte tradizionali, fuori dal circuito Flixbus, che vedrebbero un calo importante di fatturati e utili. In primo luogo va sottolineato che il report Traspol evidenzia come le ditte tradizionali «(…) oltre ad aver incrementato le frequenze sulle relazioni storiche, hanno introdotto numerose rotte e sviluppato i loro servizi di vendita». Tuttavia, non si può certo negare che molti operatori stiano soffrendo la concorrenza aggressiva di imprese come Flixbus. I soggetti più deboli sono a rischio fallimento, mentre quelli più forti stanno provando ad agire politicamente, nel più classico dei rent-seeking. Non biasimo di certo il loro comportamento da un punto di vista etico, sono abbastanza sicuro che Flixbus al loro posto farebbe lo stesso. Infatti accade molto spesso che un nuovo operatore entri nel mercato con una vocazione pro-concorrenza, ma poi – acquisita una posizione dominante o comunque rilevante – cerchi di cristallizzare la situazione, ostacolando a sua volta nuovi concorrenti.
E chi potrebbero essere i nuovi concorrenti di Flixbus? Nell’indagine dell’ART si legge che il modello di business di Flixbus potrebbe soffrire la concorrenza di altri modelli. Viene menzionato il servizio di bus sharing o bus pooling (GoGobus), o i servizi di chi incrocia domanda e offerta delle cosiddette “tratte a vuoto” (Trivabus). Senza contare che sul mercato puntano molto anche Trenitalia e Italo, pronti ad offrire sempre più servizi interconnessi Treno+Bus e che hanno elevate capacità di investimento.
Si chiama “distruzione creativa” e la storia insegna i danni prodotti da chi tenti (invano) di frenarla. Per fare l’interesse dei settori nel loro complesso, del lavoro nel medio-lungo termine e dei consumatori, sarebbe auspicabile avere legislatori pro-concorrenza, non pro (o anti) singole imprese.
Twitter @frabruno88