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Il dott. Saputelli, il business plan e i numeri che danno speranza agli imprenditori
Pubblichiamo un post di Fabio Bolognini, cofondatore di WorkInvoice (quarto di una serie di post; i precedenti sono usciti il 31 marzo, il 13 aprile e il 4 maggio) –
Flashback. Il luogo: una delle sale riunioni di una grande associazione degli imprenditori. Dieci anni fa, poco prima dello scoppio della crisi finanziaria. Sul palco dei relatori un distintissimo dott. Saputelli spiega eruditamente alla platea (tante sedie vuote) l’importanza del business plan e tutti i suoi possibili utilizzi. Parla in scioltezza di “ebiddà” (EBITDA) e di ROE.
L’immancabile rappresentante delle banche che siede al suo fianco annuisce senza troppa convinzione, forse pensando alla sua Direzione Crediti che deride tutto ciò che non sta nel bilancio depositato. Il vostro Virgilio seduto in fondo alla sala annota sul suo taccuino [business plan = fantascienza per i piccoli imprenditori]. Qualche brusio si alza dalla platea e, poco dopo, nello spazio concesso alle domande del pubblico un sig. Gianni con i capelli grigi e senza cravatta affronta a muso duro il Saputelli e lo apostrofa così: “Non abbiamo mica tempo da perdere dietro a queste cose in azienda, con tutto quello che c’è da fare e che ci chiede lo Stato ‘sto business plan è l’ultimo dei nostri pensieri”. Il dott. Saputelli resta a bocca aperta mentre altri imprenditori commentano a favore del loro collega.
Più di dieci anni sono passati e la storia ha fatto giustizia di tutti gli scetticismi del piccolo o medio imprenditore sull’uso e sulla convenienza pratica dei business plan non più come distintivo da mostra canina, bensì come strumento di sopravvivenza. Il numero degli imprenditori scettici e convinti che fare lavorare le macchine utensili e aspettare che gli ordini spuntino dagli apparecchi fax sia ben più importante di mettersi a scrivere e ripensare a un piano pieno di numeri in colonna è ancora molto elevato. Parecchi, però, hanno pagato caro il loro scetticismo, hanno distrutto o danneggiato le loro imprese e compromesso la finanza in tempo di crisi e di carestia del credito.
Sono qui con voi nel quarto girone che stiamo per visitare. Farete fatica a vederli, i dannati, perché il girone è immerso nel buio e loro possono muoversi solo alla fioca luce di candele che si spengono in continuazione. Il contrappasso per non avere compreso l’importanza di guidare un’impresa con una rotta precisa, con un piano basato su certezze (i costi) e su speranze (le vendite), su basi fragili (troppo poco capitale) e ipotesi pericolose (la disponibilità illimitata di banche e di credito). Molti imprenditori hanno rinunciato a farsi domande importanti e tradurre le risposte in numeri e scelte, alcune delle quali andavano fatte prima che fosse troppo tardi.
Cosa succede se le vendite calano del 20%? Che devo fare se uno dei miei principali clienti dovesse ritardare i pagamenti o peggio? E se una banca dovesse revocarmi improvvisamente i fidi? Come posso finanziare le nuove attrezzature che mi servono per stare al passo con i concorrenti? Domande e risposte che avrebbero trovato spazio ordinato in un piano economico e finanziario (ma sì, chiamiamolo pure business plan, anche se poi non è un vero business plan, tanto in banca lo chiamano tutti così). Le risposte avrebbero mostrato con largo anticipo i rischi che si sono verificati durante gli anni della lunga crisi: discese del fatturato, mancati e ritardati pagamenti, stretta del credito. Eventi tutto sommati prevedibili su cui preparare contromisure. Tutto lo scetticismo dei Gianni con i loro fax muti ha prodotto macerie di piccole imprese naufragate, di piccole imprese rese boccheggianti a causa di rimedi presi con colpevole ritardo, di posti di lavoro sacrificati sulle colpe di un inutile pressappochismo.
Nel frattempo, la consegna di un business plan è diventato uno dei requisiti essenziali per tentare di ottenere un po’ di credito, insieme ai soliti bilanci e alle solite garanzie che le banche non hanno mai smesso di cercare, anzi negli ultimi anni con insistenza sempre maggiore.
Alcuni imprenditori, invece, hanno capito e si sono attrezzati, chi con le proprie conoscenze, chi facendosi aiutare e hanno preparato diligentemente pezzi di carta da portare alle rispettive banche per spiegare molte cose che non trovano spazio negli stringati bilanci preparati da commercialisti diligenti, ma sempre votati a raccontare il minimo previsto dalla legge e dai principi di redazione del bilancio semplificato.
Qualche sig. Gianni ha scoperto con sorpresa che raccontare con maggiore dettaglio i propri prodotti, spiegare bene il valore del portafoglio clienti e dei propri progetti di crescita -anche modesta- apriva qualche porta. Il potere straordinario di fornire semplici informazioni per facilitare il lavoro delle banche riusciva ad abbattere quel muro di diffidenza alzato dai direttori ogni volta che si faceva una nuova richiesta.
Qualcuno ha capito che per chiedere soldi (finanziamenti) la regola numero uno è costruita sulla dimostrazione, almeno teorica, di poterli rimborsare in un ragionevole arco di tempo. Se poi i conti a casa non tornano, allora meglio aspettare a fare altri debiti in banca. Altri hanno compreso che, quando il direttore della banca deve ridurre gli impieghi della filiale per rispettare gli ordini che arrivano dall’alto, essere tra i più trasparenti e fornire ragioni valide per mantenere gli affidamenti può essere una vera e propria salvezza dalla decimazione.
Guardo negli occhi il mio amico Gianni, che mi ha dato ascolto e si è presentato all’appuntamento annuale con l’esame-rinnovo dei fidi dopo essersi fatto preparare il suo bel dossier. Lui si ricorda il giorno in cui si era seduto nella filiale con la prospettiva annunciata di una bella riduzione dei fidi ed era uscito trionfante con la promessa di un aumento basato sui nuovi contratti. Sono soddisfazioni. Sorride accendendo lo schermo del suo smartphone per tagliare il buio e pensa “Ostrega, non era nemmeno così difficile”.
Lui ed io siamo totalmente d’accordo che senza buoni prodotti, valide reti commerciali, senza ricerca e senza le buone idee d’investimento i business plan sono carta di giornale che diventa vecchia in un giorno. Siamo anche d’accordo che mentire costruendo grafici sempre e solo con inclinazione da teleferica è la peggiore sciocchezza che un imprenditore può fare. Senza dovercelo dire, sappiamo anche che quando i numeri non tornano le idee, i progetti si devono cambiare. E in fretta.
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