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Breve storia triste della moneta fiscale: gli assegnati della Rivoluzione Francese
La moneta fiscale recentemente ha avuto una notevole esposizione mediatica grazie sia all’endorsement ricevuto da alcune forze politiche, sia all’aria di novità che la circonda come rimedio ai guai dell’economia italiana. Ma è davvero un’idea così nuova? Vediamo insieme come invece nella storia ci siano stati diversi tentativi di mettere in atto sistemi molto simili a quelli proposti oggi ripercorrendo le vicende di uno di questi: gli “assegnati” della Rivoluzione Francese.
Già prima della Rivoluzione le casse dello stato francese erano esauste e il debito assommava ad una somma compresa fra i 4 ed i 5 miliardi di lire francesi, causato per circa la metà dai costi della guerra contro l’Inghilterra in appoggio alla rivoluzione americana.
Per cercare di arginare la situazione l’Assemblea nazionale Costituente, dietro proposta dell’allora deputato Talleyrand, il 2 novembre 1789 decise che i beni del clero, valutati sui 2 miliardi di lire francesi, fossero messi a disposizione della nazione e con i decreti del 19 e 21 dicembre ne affidò la vendita alla “Caisse de l’Extraordinaire”.
Il problema fu che l’alienazione di una massa così cospicua di beni immobiliari abbisognava di tempi lunghi mentre le esigenze finanziarie dello stato si facevano sempre più drammatiche. Si trovò quindi la soluzione nell’emissione di biglietti, chiamati “assignat” (assegnati), rappresentanti una parte dei beni messi in vendita e che dovevano essere obbligatoriamente usati per pagare i beni stessi una volta messi all’incanto. In tal modo lo stato avrebbe incassato subito moneta corrente con cui pagare i debiti che andavano in scadenza per poi incamerare nuovamente i biglietti emessi al momento della vendita dei beni confiscati al clero. Nel mentre i possessori di quei biglietti erano garantiti dai beni stessi e ricevevano inoltre un interesse del 5%.
La prima emissione, nel dicembre 1789, fu di 140 milioni di lire francesi. Gli assegnati emessi erano di 1000 lire cadauno, destinati quindi non ad un vasto pubblico ma, per così dire, a “investitori istituzionali”, intesi come persone facoltose desiderose di partecipare alla compravendita dei beni immobiliari confiscati o interessati al rendimento dei biglietti stessi, considerata la garanzia che ne copriva il rimborso.
Nell’aprile 1790 una nuova emissione per 400 milioni di lire fu accompagnata dalla diminuzione del tasso interesse dal 5% al 3% ma soprattutto dall’autorizzazione al Tesoro di usare gli assegnati per pagare le spese correnti.
L’operazione, che prima aveva caratteristiche che la facevano assomigliare ad una moderna cartolarizzazione, diventò quindi molto simile alle attuali proposte di moneta fiscale, in quanto emissione di “moneta” a copertura di spese pubbliche, garantita da future entrate dello stato, ma con in più addirittura la garanzia reale su beni immobiliari e pure la corresponsione di un interesse sulle somme versate. Ebbene, che cosa andò storto e perché?
Jacques Necker, l’allora ministro delle finanze, contrario alla trasformazione degli assegnati in vera e propria moneta, si dimise a settembre del 1790, nel mentre ad ottobre vennero emessi nuovi assegnati per altri 800 milioni di lire francesi, seguiti nei mesi seguenti da emissioni più o meno grandi volte a coprire le spese statali e con tagli sempre più piccoli per favorirne la diffusione presso tutta la popolazione.
La continua emissione di biglietti e lo scarso ritiro degli stessi da parte dello stato, per la lentezza della vendita del patrimonio immobiliare confiscato, portò ben presto alla sfiducia del pubblico, già segnato dal fallimento del “sistema di Law”, nella nuova moneta cartacea. Gli assegnati persero valore in maniera sempre più veloce: dal 1790 al 1793 si svalutarono del 60% mentre le emissioni raggiunsero i 2,7 miliardi di lire a settembre 1792, 5 miliardi nell’agosto 1793 e 8 miliardi all’inizio del 1794.
Nel mentre leggi su leggi si affastellavano nell’illusione di sostenere a qualunque costo il valore degli assegnati: l’8 aprile 1793 un decreto stabilì che tutti gli acquisti e contratti dello stato fossero regolati solo in assegnati, l’11 aprile venne esteso l’uso obbligatorio degli assegnati al settore privato, il 21 aprile si previde la condanna a morte per chi stampava assegnati falsi, il 27 giugno un altro decreto chiuse provvisoriamente la Borsa di Parigi, stabilì la sospensione dei tassi di cambio e comminò sanzioni severe a chi effettuava transazioni in oro, argento con parità diverse dal cambio fisso ufficiale, l’8 settembre chi non accettava in pagamento assegnati divenne punibile con la morte, il 13 novembre fu vietato il commercio con l’uso di metalli preziosi come contropartita, nel mentre fu destinata al rimborso degli assegnati la vendita di altri beni demaniali ed il contributo straordinario di un quarto sulle rendite annue di ogni cittadino.
Quando il 19 febbraio 1796 il Direttorio della repubblica francese decise di terminare il sistema degli assegnati e di bruciare pubblicamente in place Vendôme le tavole di stampa, i punzoni, i timbri e tutto il materiale usato per fabbricarli, le emissioni erano arrivate ad un totale di 45 miliardi contro i 2 miliardi previsti inizialmente.
Nel mentre i beni demaniali posti all’incanto, che erano la base di tutta l’operazione, furono venduti in moneta svalutata favorendo le persone facoltose che potevano fare incetta di assegnati dalla povera gente.
Il fallimento degli assegnati e del precedente sistema di Law provocò un ricordo così indelebile nei francesi che la sfiducia verso i moderni mezzi di pagamento di cartamoneta si rivelò una delle cause del ritardo della finanza del paese rispetto alla Gran Bretagna, ritardo che consentì a Londra di diventare, nel XIX secolo, la principale piazza finanziaria mondiale.
Twitter @AleGuerani