categoria: Vicolo corto
Il car sharing è la prova che i veri prepotenti non sono i tassisti
Pubblichiamo un post di Claudio Giudici, presidente di Uritaxi Toscana –
A differenza di quello che si può pensare, il settore taxi italiano è dominato da grande razionalità, sia nella normativa che nell’azione rivendicativa. Non può essere un caso che, diversamente dai propri cugini nel resto del mondo, i tassisti italiani siano coloro che meglio sono riusciti nel tempo a ottenere il rispetto dei propri diritti. Diritti, regole, non privilegi come alcuni raccontano! Regole del gioco, fra l’altro, che possono ovviamente essere cambiate, ma senza mai introdurre meccanismi discriminatori a favore di alcuni – solitamente un paio di grosse multinazionali -, ed in sfavore di altri – solitamente una moltitudine di portatori di piccoli interessi -.
Certe ricostruzioni, quanto meno ardite, finiscono per far passare come un privilegio l’acquisto di una onerosa licenza – finanche arrivando a raccontarlo come illecito, nonostante l’imposizione fiscale a cui è sottoposto l’atto di trasferimento della licenza… – con tutte le diseconomie (relative agli obblighi a tutela dell’utenza) che si porta dietro, e come le vittime, coloro che, da un giorno all’altro, o con titoli autorizzativi presi a titolo gratuito presso qualche comune sconosciuto, o addirittura senza alcun titolo autorizzativo, entrerebbero nel medesimo mercato, ma senza il gravame di tutti quegli obblighi diseconomici gravanti sui tassisti. Roba, da far tornare alla mente, un celebre aforisma di Malcolm X…
Quello dei taxi, infatti, è un settore gravato da tutta una serie di diseconomie, dalle condizioni di ingaggio (titoli professionali, licenza, controlli annuali, ecc.), a quelle funzionali (tariffa amministrata, obbligo prestazionale, obbligo di copertura di servizio), che il legislatore pretende, al fine di garantire il diritto alla mobilità dell’utente (come asset complementare ed integrativo al trasporto pubblico di linea), e che trovano come loro controbilanciamento economico nel numero chiuso delle licenze.
Alla luce di tutto questo, non è un caso che i tassisti italiani non abbiano mai protestato contro l’esplodere del car sharing, semplicemente perché non c’è quella violazione delle regole del gioco in cui essi sono obbligati ad operare. Per sintesi, il car sharing è altra cosa! Ciò non vuol dire che i tassisti non sappiano quale appesantimento della propria sostenibilità economica derivi dal car sharing. Sicuramente, il car sharing, nell’immediato crea un fattore di concorrenzialità al settore taxi, ma in prospettiva? Il possesso dell’auto è uno dei più costosi che ci si possa permettere, in quanto l’utilizzo effettivo del mezzo è del 3% sul ciclo di vita complessivo del mezzo.
Durante il secondo Master in Eco-mobility management della Luiss Business School, furono presentate da Car2Go le prospettive e le dinamiche del car sharing in Italia. Nel corso della presentazione fu sottolineato quello che poteva essere l’impatto sul settore taxi. Si ipotizzò una riduzione del lavoro per i tassisti dell’1% nel breve periodo, ma un aumento dell’8% nel medio periodo.
Ammettiamo pure che i dati fossero edulcorati per troncare sul nascere eventuali resistenze che i tassisti italiani avrebbero potuto opporre all’ingresso del brand di Daimler AG, ma in generale ciò che si può fare col car sharing non è ciò che si può fare col taxi. Quest’ultimo, ti offre una serie di plus che il primo non ti dà. Per comprensione immediata: il car sharing sta alla locazione turistica come il taxi sta all’hotel. E se gli albergatori hanno provato a stoppare il mercato della locazione turistica – sopratutto dalla nascita di Airbnb – i tassisti non hanno mai provato a stoppare il car sharing. Perché?
Semplicemente perché non ve ne sono argomentazioni di senso, se non di natura smaccatamente economica. Ma questo sì che sarebbe luddismo, e non la legittima resistenza a chi come Uber pretende di operare con regole di favore nello stesso mercato! E alla lunga, appare più che verosimile il fatto che per effetto “sgocciolamento” – una sorta di trickle-down orizzontale, invece che verticale -, in un contesto di sempre minori possibilità di possesso dell’auto da parte della cittadinanza, proprio grazie al car sharing, i tassisti stessi possano lavorare di più.
E così, strano ma vero, i tassisti italiani non sono mai stati contro l’innovazione tecnologica, anzi, vi hanno sempre fatto ricorso dotandosi delle più moderne tecnologie in merito ai sistemi di chiamata, e l’hanno sempre richiesta al gestore pubblico in materia di innovazione tecnologica delle infrastrutture stradali. A Firenze, per esempio, i tassisti sostenevano la ben più tecnologicamente avanzata metropolitana, rispetto a quel sottoprodotto-ossimoro che è la metropolitana di superficie (la tanto discussa tramvia).
Perciò il dissenso nei confronti di Uber non è affatto ripugnanza verso l’innovazione tecnologica – anche perché è una piattaforma tecnologica che si sostanzia in una semplice app, cosa di cui i tassisti erano già in possesso prima dello sbarco della multinazionale americana in Italia, con la fondamentale differenza però di non aggirare attraverso le proprie app la normativa di settore – ma verso l’oggi incredibilmente dimenticato principio base delle “stesse regole in stesso mercato”.
I tassisti, increduli riguardo alle analisi da parte dei più svariati opinion maker, stanno semplicemente chiedendo da anni, sia verso il mondo del noleggio con conducente, di Uber o MyTaxi, quello che la Danimarca, dando prova di una sovranità nazionale come oramai è raro vedere, ha sancito una volta per tutte: per fare il taxi si devono seguire certe regole; seguite queste, tutti possono fare i tassisti; al di là di queste, nessuno può fare il tassista.
Ed ecco che Uber ha deciso di chiudere la propria attività a partire dal prossimo 18 aprile. Al di là delle ricostruzioni strumentali contro i tassisti, e patinate a favore della multinazionale americana, è l’ennesima prova – almeno per chi conosce il settore – che i veri prepotenti, contro un mercato con parità di regole, sono quelle multinazionali che vorrebbero poter fare mobilità con le regole che esse vogliono, al di là di quelle previste dal legislatore a tutela dell’utenza, del mercato, degli operatori.
L’alternativa a tutto ciò, che osservatori e sopratutto la politica, devono avere il coraggio di sposare – senza prova di favore alcuna, ed anzi con moltissime prove di sfavore soprattutto per quanto concerne questo settore – è dire chiaramente che pur di consegnare alla deregulation questo mercato, sono disposti a far saltare il servizio pubblico e dunque le correlate tutele a favore dell’utente (tariffa amministrata, obblighi prestazionali, ecc.).
E, attenzione, richiedere che queste tutele gravino sui soli tassisti ma non sui vettori che userebbero le multinazionali, rappresenterebbe semplicemente un’istituzionalizzazione per legge della concorrenza sleale. Lo spieghiamo ai nostri figli fin da piccoli, che le regole devono essere uguali per tutti.
Twitter @claudiogiudici