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L’ora della Brexit è scoccata. Ma non parlate a Theresa May dell’export
Mi capita fra le mani una pregevole ricognizione prodotta dall’Ons, l’istituto di statistica britannico, in occasione dell’attivazione da parte del governo inglese della procedura di uscita dall’Ue, la famosa Brexit. Scelta ovviamente non occasionale, nel momento in cui bisognerà reinventare in chiave bilaterale una mole di relazioni che prima andavano di pari passo con quelle tessute all’interno delle regole Ue e che adesso dovranno essere concordate e riscritte. Ci vorrà tempo. Intanto è utile sapere alcune cose “very interesting” sull’economia britannica e su quanto per essa sia importante quella dell’Unione europea.
Il grafico qui sotto sintetizza bene la situazione. L’Ue è la destinazione del 47% dell’export britannico, mentre l’Uk assorbe solo il 7% dell’export Ue. Per apprezzare meglio i dati, tuttavia, è utile ricordare, come fa l’Ons, che “l’economia del Regno Unito può anche essere dominata dai servizi, al giorno d’oggi, ma la produzione manifatturiera rimane una parte fondamentale del dibattito politico intorno a Brexit e al commercio”. Infatti, malgrado “costituisca una percentuale molto più piccola del Pil, il commercio di beni continua a superare quello dei servizi”. Nel dettaglio, le merci hanno rappresentato il 55% delle esportazioni del Regno Unito e il 75% delle importazioni nel 2016, con la precisazione che “il commercio di beni con l’Ue è significativo sia per le imprese che vendono manifatture UK che per la supply chain”.
Il problema è che con la Brexit le regole che si andranno a concordare varranno per tutti e 27 i paesi dell’Unione – il famoso 47% dell’export UK – e quindi il governo guidato da Theresa May dovrà prestare una grande attenzione ai dettagli per non rischiare di compromettere questo patrimonio di esportazioni, letteralmente vitale per l’economia nazionale. A meno di non pensare che il resto del mondo, quello che adesso assorbe il 53% dell’export britannico, abbia la possibilità e la volontà di comprare più made in UK.
Gli Stati Uniti, ad esempio, assorbono oltre il 16% dell’export UK e vi esportano appena il 3% delle loro merci. Sembra difficile immaginare che possano comprare più prodotti britannici, specie adesso che il commercio estero è diventato uno dei chiodi fissi della nuova amministrazione Trump. Il nuovo POTUS non dimostra affatto di gradire i suoi partner eccedentari. La Cina invece riceve il 4,42% dell’export britannico e vi esporta il 2,61% dei suoi beni. Forse c’è spazio di crescita, ma è difficile valutarlo.
Se torniamo in Europa osserviamo che la Germania da sola riceve il 10,6% dell’export britannico ed esporta circa il 7% dei suoi beni in UK, quindi la voce del governo di Berlino è destinata naturalmente ad avere un peso specifico importante rispetto a quella di Parigi, che ha visto declinare dal 2006 le esportazioni britanniche nel suo territorio dal 12 al 6%, a fronte di un 7% di merci esportate in UK. L’Italia sta in posizione più marginale: riceve il 2,95% dell’export britannico e vi esporta il 5,42 per cento.
Per farsi un’idea ancora più chiara dello scenario nel quale si agita il post Brexit è interessante osservare quest’altro grafico, che classifica i paesi esportatori in relazione al valore delle loro esportazioni.
Come si può osservare, l’UK è fanalino di coda dopo l’Italia, ma comunque il suo commercio vale sempre circa 300 miliardi di dollari, 288 per la precisione (dato globale 2015): non certo una cifra che si può prendere sotto gamba. Ma probabilmente la sorpresa maggiore si ha osservando che il commercio dell’Ue a 27, quindi senza l’UK , sfiora i cinque trilioni (con l’UK li supera di parecchio), e in pratica vale il doppio di quello cinese e quasi il triplo di quello Usa. L’Ue a 27 vale complessivamente il 30% dell’export globale. Sono gli europei i veri cinesi del mondo, se con quest’aggettivo si intendono i grandi esportatori, e se gli Stati Uniti hanno come dicono un problema con chi esporta troppo ce l’hanno con l’Europa assai prima che con la Cina. Anche se magari questo non lo dicono.
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