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L’Italia e gli investitori esteri: venduto il 4% del Pil in obbligazioni. Ecco i dati Bce
L’ultimo bollettino economico della Bce contiene un’interessante ricognizione sullo stato dei conti esteri dell’eurozona e soprattutto sulla loro evoluzione, la più sorprendente delle quali è senza dubbio quella che ha condotto questo pezzo d’Europa a essere uno dei principali creditori internazionali, in ragione del fatto che ogni anno produce un sostanzioso surplus delle partite correnti. In sostanza, incassa più risorse dall’estero di quante ne spenda. E poiché questa eccedenza non viene impiegata interamente all’interno dell’area – e questo malgrado ci sia ancora un notevole gap di investimenti – ciò ha come conseguenza che ogni anno dall’eurozona si originino flussi finanziari che si sostanziano in investimenti di portafoglio o investimenti diretti.
I primi, in particolare gli acquisti di obbligazioni non euro, sono quelli più sostanziosi. Ritoccando lievemente al ribasso il record storico di 382 miliardi raggiunto del 2015, questi acquisti da parte dei residenti dell’eurozona hanno generato nel 2016 deflussi netti per investimenti di portafoglio per 364 miliardi. Questa notizia ne nasconde un’altra, ossia la circostanza che nell’ultimo trimestre del 2016 gli investitori europei abbiano venduto obbligazioni non euro, mentre l’acquisto di azioni extra euro si è fermato a 12 miliardi. L’insieme dei flussi è visibile in questo grafico.
L’analisi della Bce contiene ancora un’altra informazione a suo modo storica: per la prima volta dall’introduzione dell’euro, gli investitori extra EZ sono stati venditori netti di obbligazioni denominate in euro per una cifra totale che ha raggiunto i 192 miliardi nel 2016, confrontandosi con gli acquisti netti per 30 miliardi dell’anno precedente. La Bce spiega che queste vendite sono “il risultato di vendite nette di obbligazioni governative”, per 116 miliardi, “in misura significativa, un riflesso delle vendite collegate al public sector purchase programme” (PSPP) della Bce (il QE, per capirci) e per altri 63 miliardi da “vendita di obbligazioni emesse dalle istituzioni monetarie e finanziarie”.
La banca svolge un’analisi per mostrare quali siano stati i motivi che hanno spinto gli investitori esteri a disfarsi di asset denominati in euro. Forse una crisi di fiducia? I risultati, che questo grafico sintetizza, mostrano che buona parte del fenomeno viene spiegato con i differenziali di rendimento. Gli asset denominati in euro rendono meno di altri, e quindi l’investitore li vende. Ma, come si può osservare, nella parte finale dell’anno l’avversione al rischio ha avuto un impatto preponderante, forse in conseguenza – ipotizza la Bce – del referendum sulla Brexit.
Qualunque sia la ragione, la Bce osserva che l’Italia è stato il paese europeo che ha subito la vendita più massiccia di obbligazioni da parte di investitori non domestici, per un importo pari al 4,1% del Pil, quindi parliamo di oltre 60 miliardi di euro, seguita dalla Germania, col 3,1% e dalla Spagna, con l’1,8%. Al contrario gli investitori esteri hanno comprato debito francese per un importo pari all’1,2%.
Un’altra informazione utile e molto interessante è che in larga parte questi acquisti di asset esteri avviene tramite entità non bancarie, per lo più fondi pensione o fondi di investimento, e che questi enormi flussi di denaro si indirizzano in prevalentemente verso le economie avanzate, come si può osservare su quest’altro grafico.
A fine 2016 risultava che il 46% si era diretto verso gli Stati Uniti, in cima alla classifica, seguiti dal Regno Unito col 17%, da altri stati dell’Ue per il 13% e poi dal Canada col 4%. I cosiddetti Brics non arrivano all’1% dello stock e questo meglio di ogni altro argomento dà la misura della fiducia che riscuotono.
Notate che l’esposizione verso Usa e Uk, e in particolare verso quest’ultima, è cresciuta dal momento del referendum sulla Brexit. Evidentemente molti residenti dell’eurozona vedono meglio l’UK fuori dall’Ue. Ma tutti questi investitori preferiscono portare i soldi fuori piuttosto che investirli nell’eurozona. E questa forse è l’osservazione più interessante.
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