categoria: Vendere e comprare
Il senso delle banche per il prestito facile agli amici e ai palazzinari
Marco Onado – Tre banche un soldo – ha efficacemente descritto quanto il sistema bancario italiano sia stato prodigo di risorse verso il settore immobiliare: “Un dato per tutti: dei 174 miliardi di sofferenze lorde al settembre 2016 (dall’ultimo Bollettino statistico della Banca d’Italia), quasi la metà (il 41,7 per cento) sono di competenza del settore delle costruzioni e delle attività immobiliari che invece pesano per poco più di un quarto (26,3 per cento) sui crediti “vivi”. La rischiosità delle attività immobiliari è cioè doppia della media”.
Nel più bel capitolo di Gomorra, “Cemento armato”, Roberto Saviano scrive: “Gli imprenditori italiani provengono dal cemento. Loro stessi sono parte del ciclo del cemento. Io so che prima di trasformarsi in uomini di fotomodelle, in manager da barca, in assalitori di gruppi finanziari, in acquirenti di quotidiani, prima di tutto questo e dietro tutto questo c’è il cemento…Lo spessore delle pareti è ciò su cui poggiano i trascinatori dell’economia italiana. La Costituzione italiana dovrebbe mutare. Scrivere che si fonda sul cemento e sui costruttori. Sono loro i padri. Non Ferruccio Parri, non Luigi Einaudi, non Pietro Nenni, non il comandante Valerio”.
Le leggi Tremonti gonfiano la bolla immobiliare
Quando un Paese ha investito tre quarti della propria ricchezza in immobili (vedasi l’analisi di Bankitalia La ricchezza delle famiglie italiane), la politica economica dovrebbe essere prudente a cavalcare il settore immobiliare. Così non è stato negli ultimi venti anni. La Legge Tremonti del 1994 – seguita dalla Tremonti-bis del 2001 – ha viceversa soffiato sul fuoco, detassando gli utili delle imprese, investiti.
Cosa successe? Lo descrive molto bene Vitaliano Trevisan (Works, Einaudi Torino 2016, p. 424): “D’improvviso sembrò che si costruissero (in Veneto, ndr) solo capannoni, al punto che le nostre giornate di lavoro si allungarono fino alle undici-dodici ore di cui si è detto, più il sabato mattina fisso, più il pomeriggio quando serviva… Nelle mai così affollate trattorie a prezzo fisso, si percepiva una sorta di euforia da lavoro che sembrava aver contagiato l’intero ambiente, come se tutti fossero, anzi fossimo impegnati in uno sforzo comune volto a chissà quale nobile causa, mentre si trattava se costruire capannoni su capannoni il più velocemente possibile… Ai tavoli molti discorsi erano centrati sull’idea che tutto quel costruire avesse un che di insensato, di folle, perché, come oramai era chiaro anche all’ultimo degli operai, molti di quei capannoni che ci affannavamo a costruire, non rispondevano affatto a reali necessità produttive…, ma solo per finalità speculative”. Quando leggiamo che il presidente del Palermo Maurizio Zamparini, attraverso una delle sue numerose società immobiliari, ha lasciato una bella sofferenza di 57 milioni di euro alla Banca Popolare di Vicenza non ci meravigliamo di certo.
Pochi investimenti industriali, ma “capannoni su capannoni”
Diversi imprenditori, quindi, foraggiati senza sosta dal sistema bancario (come scrive Onado, “gli impieghi bancari sono cresciuti a un ritmo molto più alto del Pil nominale a partire dal 1999”), colpevolmente, non hanno investito nel miglioramento dei processi industriali della gestione caratteristica, né nell’introduzione del digitale (oggi si direbbe Industry 4.0), ma solo al fine di realizzare una plusvalenza prossima ventura, quando il prezzo del capannone sarebbe cresciuto (in un paese che ha visto l’inflazione galoppante degli anni Settanta, si pensa erroneamente che il prezzo degli immobili non possa mai scendere).
Il sistema bancario – che si dimentica di gestire i soldi dei depositanti, (Other people’s money, scriveva Louis Brandeis) – fa ricadere la mole delle sofferenze alla “crisi economica dei sette anni”, dal 2008 al 2015. Per evitare in futuro che il contribuente debba intervenire per salvare diversi istituti mal gestiti (eludendo le regole del bail in), devono emergere le determinanti che hanno portato, per esempio, il Credem ad avere un rapporto sofferenze/impieghi dell’1,63% e il MPS del 34%. È evidente come i responsabili dei fidi di MPS, di Banca Popolare di Vicenza, di Veneto Banca, etc. non hanno assolutamente mai letto, né applicato le indicazioni per la valutazione del merito di credito scritte da Mattioli e Malagodi nel modulo 253 della Banca Commerciale italiana. Spesso ci si focalizza sui dati di bilancio passati e non si concentra l’attenzione sulle prospettive future, che sono quelle che contano.
Alcune domande meriterebbero una risposta. Quale spazio hanno oggi i progetti seri delle imprese, non assistiti da garanzie? Perché i banchieri danno così forte peso alle garanzie reali che poi si rilevano di difficile escutibilità? Perché i progetti di sviluppo immobiliare – che partono da un campo verde alias green field – vengono viste così con favore quando il track record è disastroso?
Twitter @beniapiccone