categoria: Res Publica
Con il G7 torna l’aria dei grandi eventi. Ed è subito deroga
Lo scorso 8 febbraio la Camera ha approvato il decreto legge n. 243/2016, che dovrà ora essere approvato dal Senato per la sua conversione in legge. Si tratta del cosiddetto “Decreto Sud”, recante “Interventi urgenti per la coesione sociale e territoriale, con particolare riferimento a situazioni critiche in alcune aree del Mezzogiorno”. Tra le varie misure vi è l’articolo 7, rubricato “Interventi funzionali alla presidenza italiana del G7 nel 2017”, che si svolgerà a Taormina nel mese di maggio (e i cui cantieri, fino a pochi giorni fa, erano ancora una grande incognita).
In pratica, si prescrive per legge che «Per gli appalti pubblici di lavori, forniture e servizi da aggiudicare da parte del Capo della struttura di missione «Delegazione per la Presidenza Italiana del Gruppo dei Paesi più industrializzati» per il 2017 (…) si applica la procedura prevista dai commi 1 e 6 dell’articolo 63 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, sulla base di motivazione che dia conto, per i singoli interventi, delle ragioni di urgenza e della necessità di derogare all’ordinaria procedura di gara, per motivi strettamente correlati ai tempi di realizzazione degli stessi nei termini necessari a garantire l’operatività delle strutture a supporto della medesima presidenza italiana del G7.».
È una storia già vista: si accumulano ritardi nell’esecuzione di lavori per eventi improrogabili e si decide ex lege di bypassare le procedure sugli appalti previste dal codice.
In un’audizione alla Camera sul provvedimento, il presidente dell’ANAC Raffaele Cantone aveva evidenziato che «Ancora una volta si deve osservare che – pur comprendendo la finalità della norma che è in parte dettata dall’urgenza di procedere con la realizzazione delle opere e, quindi, snellire le procedure di gara (…) si introduce, con la norma de qua, una deroga ampia e generalizzata alle norme del Codice dei contratti pubblici. (…) Sarebbe opportuno valutare la possibilità che nella norma siano previste particolari cautele, sia sul piano della motivazione sia sul piano della individuazione dei presupposti legittimanti, che rendano comunque eccezionale il ricorso a tale procedura negoziata».
E Cantone giustamente ricordava la Legge delega (n. 11/2016) che ha portato poi al nuovo codice, che prescriveva lo scopo dichiarato di «(…) predisporre procedure non derogabili riguardanti gli appalti pubblici e i contratti di concessione e di conseguire una significativa riduzione e certezza dei tempi relativi alle procedure di gara e alla realizzazione delle opere pubbliche».
Il monito di Cantone ha prodotto a Montecitorio delle modifiche al testo partorito dall’esecutivo, ma l’episodio merita comunque la dovuta attenzione. Infatti, uno degli obiettivi dichiarati e più volte sbandierati del nuovo codice dei contratti pubblici entrato in vigore quasi un anno fa era quello di eliminare dal sistema le procedure di affidamento in deroga all’ordinario, per raggiungere un duplice obiettivo:
1) alleggerire l’onere burocratico delle procedure ordinarie in modo da non dover causare il ricorso alle deroghe;
2) ridurre gli spazi per la discrezionalità politico-amministrativa e, di conseguenza, il rischio illecito.
Ambedue gli obiettivi sono estremamente importanti e necessariamente interdipendenti.
Con riferimento al primo, è evidente che la complessità delle procedure, la mole imperiosa di documentazione sottostante ogni gara di appalto, i lunghi tempi che caratterizzano le varie fasi, comportino l’inevitabile conseguenza di dover ridurre ex lege gli oneri e i tempi ordinari nel caso di scadenze non differibili (come nel caso del G7). In pratica, oltre alle situazioni emergenziali (ad es. calamità naturali), anche tutti i cosiddetti grandi eventi rischiano di continuare ad essere gestiti in deroga al codice e, visti gli importi in ballo e le casistiche del passato di certo non edificanti (si vedano ex multis le inchieste su Expo e Mose), non si può riposare sugli allori.
Ma oltre ai profili di legalità (meglio affrontati nel prosieguo), preoccupa anche la consapevolezza che quell’obiettivo di semplificazione debba essere già accantonato. Forse il giudizio è prematuro, trattandosi ancora di un cantiere aperto, ma la sensazione non è positiva. Adesso vedremo cosa fuoriuscirà dal cosiddetto decreto correttivo, ma la sola circostanza che la bozza miri ad apportare 245 modifiche su un codice di 220 articoli – a mio avviso – la dice lunga sul quanto siamo distanti da una situazione efficiente ed efficace per la gestione del settore. Vedremo.
In merito al secondo punto, le procedure in deroga preoccupano molto, in una situazione già molto delicata. Come ha ricordato il Procuratore Generale della Corte dei Conti in occasione della recente inaugurazione dell’anno giudiziario, «Ulteriore importante settore di indagine, anche questo tradizionale, in cui si avvertono le maggiori sollecitazioni ad un uso spregiudicato delle risorse pubbliche, è quello degli appalti dove, pur in presenza di regole apparentemente stringenti, si assiste ad un loro frequente aggiramento che, talvolta, pare assurgere ad una vera e propria manifestazione di iattanza, fino a configurare le più svariate tipologie di responsabilità amministrativa, cui si aggiungono spesso ipotesi di responsabilità penale per commissione di reati contro la P.A.».
Sono soprattutto le circostanze emergenziali (quelle che ottengono le deroghe più facilmente) ad essere caratterizzate da un rischio più elevato, dove si possono annidare le maggiori insidie. E di certo il fenomeno non è recente. Scriveva Carlo Maria Cipolla [1] che nel 1630, a causa dell’arrivo della peste a Firenze, il governo decise di ispezionare le case del popolo per verificarne le condizioni igieniche. Accertata una situazione disastrosa, si decise di ordinare l’abbruciamento di tutti i materassi e pagliericci della massa e di sostituirli con nuovi materassi, a spese del Granducato. L’incaricato a gestire la produzione ed alla distribuzione dei materassi, tal Giovanni de’ Nobili, delegò tutto al Piero Parisi che, in cambio di tangenti e di altri “regali”, organizzò con le imprese produttrici una grossa truffa che causò l’acquisto di materassi di bassissima qualità a prezzi elevati. Ci vollero molte denunce di alcuni funzionari diligenti per far scattare lo scandalo, che portò – oltre alle sanzioni pecuniarie per gli imprenditori – alla condanna del de’ Nobili ad una reprimenda e a una penale di 300 scudi (ma poi fu graziato dal Granduca) e del Parisi a due anni di carcere (poi convertita in pena pecuniaria di 50 scudi, successivamente rateizzata di un due anni, sempre per la magnanimità del Granduca).
Pensate al corpus normativo e al rudimentale sistema giudiziario-investigativo della Firenze del ‘600, poi a quello attuale dell’Italia e dell’Unione Europea. I progressi non si ottengono cercando di normare ogni minimo particolare, appesantendo oltremodo gli adempimenti burocratici e complicando i processi di tutti gli operatori coinvolti, per poi dover abdicare ad una forzata deregolamentazione in nome dell’urgenza di turno e spalancare le porte a potenziali illeciti.
Twitter @frabruno88
[1] Cipolla C.M., “Piccole cronache”, il Mulino.