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La politica monetaria, i tassi di interesse e i tassi di cambio. Che 2017 sarà
Pubblichiamo un post di Lorena Vincenzi, responsabile del modello per l’economia mondiale di Prometeia e Lorenzo Prosperi, economista della stessa organizzazione. L’articolo è stato pubblicato sul Rapporto di Previsione Prometeia di dicembre –
La Fed si muove. Come atteso la Fed nel meeting di dicembre ha rialzato il tasso sui Fed Funds di 25 punti base (pb) portandolo nell’intervallo 0.5%-0.75% e ha aumentato di 25pb anche il tasso di sconto ora all’1.25%. Le attese si erano consolidate negli ultimi mesi grazie al progresso delle condizioni del mercato del lavoro: i nuovi occupati continuano a crescere in modo stabile e il tasso di disoccupazione ha raggiunto il 4.6% a novembre, il valore più basso da agosto 2007. Le nuove previsioni macroeconomiche del FOMC ovviamente non includono le politiche di bilancio espansive che la nuova amministrazione potrebbe mettere in campo e quindi anticipano una crescita media annua del PIL attorno al 2%. Tuttavia, ora la maggioranza dei partecipanti al FOMC si attende 3 rialzi nel corso del 2017, quando se ne prevedevano 2 a settembre scorso.
Secondo le ultime proiezioni, il tasso sui Fed Funds dovrebbe raggiungere l’1,38% a fine 2017, oltre i tassi impliciti dal mercato dei futures nelle prime settimane di dicembre (1%). È stata tuttavia ribadita la cautela con cui verrà gestito il processo di normalizzazione della politica monetaria, richiamando ancora una volta la fragilità del contesto internazionale e sottolineando possibili nuovi rafforzamenti del dollaro. La vittoria di Trump è stata infatti seguita dal rafforzamento della valuta USA e dall’aumento dei rendimenti a lungo che hanno inasprito l’intonazione restrittiva della politica monetaria senza però tradursi in tensioni sui mercati finanziari. Il FOMC conferma anche le attese sul Fed Funds nel lungo termine al 3%, come nelle previsioni di giugno. I mercati, che negli ultimi anni hanno spesso incorporato una politica monetaria più accomodante rispetto alle proiezioni del FOMC, hanno rivisto al rialzo le attese sui tassi dopo l’elezione di Trump. Il tasso sui Fed Funds implicito dai futures per fine 2018 ha raggiunto l’1.5% a dicembre, era lo 0.97% il giorno precedente le elezioni statunitensi (Fig. 2.1). I mercati si attendono infatti che gli stimoli fiscali annunciati in campagna elettorale abbiano effetti espansivi sull’economia USA e accelerino il processo di normalizzazione della politica monetaria.
La BCE estende il QE, garantendo la propria presenza nei mercati ancora a lungo. L’inflazione dell’Eurozona è risalita negli ultimi mesi, grazie però soprattutto al contributo positivo dell’energia, mentre non si osservano marcati aumenti nell’inflazione di fondo. In un simile contesto, dove la crescita economica mantiene un ritmo modesto, la BCE ha annunciato un’estensione degli stimoli monetari oltre la scadenza fissata in precedenza a marzo 2017, anche se a ritmi inferiori: la BCE acquisterà 80 miliardi di titoli fino a marzo per poi ridurre gli acquisti a 60 miliardi fino a dicembre 2017. I mercati si attendevano un’estensione degli acquisti di soli sei mesi e una modifica dei parametri tecnici per far fronte al rischio di scarsità di bond acquistabili.
Anche su questo secondo fronte la BCE non ha deluso, allargando ai titoli con maturità compresa tra 1 e 2 anni. In caso di necessità, inoltre, la BCE potrà acquistare titoli che offrono un rendimento inferiore al tasso sui depositi, attualmente a -0.4%. Quest’ultima decisione consentirà a Francoforte di acquistare titoli di Stato anche dei paesi “core”, che secondo le vecchie regole non entravano nel programma (ad esempio la struttura a termine tedesca offre rendimenti inferiori al tasso sui depositi su tutte le maturità tra 0 e 4 anni). Queste modifiche potrebbero contribuire a rendere più ripida la curva dei tassi tedesca. Draghi ha anche lanciato un forte segnale sulla durata del programma, dichiarando che la decisione presa non equivale affatto a un tapering, inteso come graduale riduzione degli acquisti. La durata del programma e l’intensità degli acquisti mensili potrebbero aumentare qualora le condizioni finanziarie dovessero deteriorarsi e se l’inflazione faticasse a raggiungere il target.
In USA previste condizioni monetarie meno espansive, anche se nel 2019 i tassi di policy saranno al 2%, come nella previsione di settembre. I tempi istituzionali della politica di bilancio spostano naturalmente il focus sulla crescita dell’economia nella seconda parte del 2017 ma già nel primo semestre dell’anno, durante la fase di discussione e approvazione dei provvedimenti proposti dal neo presidente eletto, non sono da escludere tensioni. La volatilità sui mercati finanziari potrebbe rimanere elevata così come le aspettative di crescita, con il risultato di aumentare la ripidità della curva per scadenze e portare il differenziale tra i rendimenti a 10 anni e i titoli a tre mesi a 190pb, quasi il doppio della media 2016.
In questo contesto riteniamo che la Fed alzerà una sola volta il tasso obiettivo sui Fed Funds di 25pb nel terzo trimestre 2017, una volta approvati i provvedimenti espansivi, probabilmente di entità minore di quanto prospettato in campagna elettorale. Riteniamo invece che i rialzi accelereranno nel corso del 2018, quando gli effetti espansivi della politica di bilancio e di alcuni provvedimenti protezionistici inizieranno a manifestarsi a pieno sulla crescita del PIL e sui prezzi interni. I tassi di riferimento del mercato monetario potrebbero aumentare di 100pb, bloccando le spinte al rialzo sui rendimenti a medio termine e stabilizzando la curva per scadenze (Fig. 2.2).
Si rafforza il dollaro. La divaricazione tra le politiche monetarie USA e UEM e l’ampliamento del loro gap di crescita nel 2017 e 2018 rafforzeranno il dollaro, che potrebbe arrivare alla parità con l’euro, aumentando così l’intonazione restrittiva della politica monetaria USA. Tutto ciò contrasterebbe l’intensità dell’espansione economica contribuendo all’inversione delle aspettative di crescita, stabilizzando i rendimenti sui titoli governativi a 10 anni e nel 2019 indebolendo il dollaro. La Fed potrebbe quindi aumentare di 25pb i tassi di policy a inizio 2019 come segnale di vigilanza sull’inflazione, che misure protezionistiche di tipo tariffario potrebbero spingere al rialzo.
Aumento del tasso refi nel 2019. Includendo un periodo di riduzione degli acquisti mensili di titoli dalla fine del QE, l’attivo della BCE potrebbe arrivare a metà del 2018 attorno al 40% del PIL UEM. Nel 2009 era il 20%. Riteniamo dunque che nei prossimi diciotto mesi i tassi di politica monetaria rimarranno sugli attuali livelli, a esclusione del tasso sulla remunerazione dei depositi che, a partire dal secondo semestre 2018, potrebbe progressivamente essere avvicinato allo zero, a segnalare l’avvio della normalizzazione di politica monetaria. Ci attendiamo, infatti, che solo a inizio del 2019 il tasso di rifinanziamento principale venga aumentato di 25pb, più a sancire l’inizio del nuovo corso che in risposta a spinte inflazionistiche, che il previsto apprezzamento dell’euro tenderà a tenere sotto controllo. Il tasso euribor a 3 mesi, dunque, rimarrà in territorio negativo per tutto il 2018, per arrivare a 30pb a fine 2019, con uno spread positivo sul tasso refi (Fig. 2.3).
Rendimenti a lungo termine in aumento dopo Trump. I rendimenti governativi a lungo termine hanno subito un generalizzato aumento nell’ultimo periodo. In particolare il Treasury a 10 anni ha raggiunto nella prima decade di dicembre il 2.5%, un aumento di 64pb rispetto ai valori precedenti le elezioni presidenziali (Fig. 2.4). Il Treasury ha trascinato il rialzo dei rendimenti degli altri paesi “core”, incluso il Bund, aumentato di 19pb nonostante le attese per un’estensione del QE della BCE. Dalla scomposizione dei rendimenti a lungo termine USA emerge che nel mese di novembre il contributo del premio al rischio e del tasso atteso è stato positivo, riportando il Treasury vicino al valori medi di dicembre 2015 (Fig. 2.5).
L’elezione del nuovo presidente USA non ha quindi solo contribuito a rafforzare le attese di una politica monetaria più restrittiva, ma ha anche aumentato l’incertezza sul livello futuro del tasso nominale. L’inasprimento delle barriere al commercio e il controllo dei flussi migratori potrebbe avere infatti effetti restrittivi sulla crescita USA, così come gli stimoli fiscali potrebbero portare il debito pubblico su valori che potrebbero iniziare a preoccupare i mercati, inducendoli a chiedere un maggior premio sui titoli USA.
I timori sull’evoluzione della politica italiana pesano sullo spread. L’incertezza associata alla formazione di un nuovo governo dopo le prossime elezioni continuerà a pesare sui differenziali di rendimento tra BTP e Bund decennale lungo tutto l’orizzonte di previsione. Nel breve termine gli investitori si attendono che il governo da poco in carica garantisca l’attuazione dei principali decreti legislativi richiesti dall’attuazione della Legge di Bilancio, porti al varo di una nuova legge elettorale e garantisca il supporto al sistema bancario in caso di fallimento dei piani di ricapitalizzazione privata. Ci attendiamo che lo spread BTP-Bund non scenda al di sotto dei 160pb nel corso del 2017 e che raggiunga i 140pb a fine 2019 (Fig. 2.6).
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