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Ma chi sono i lavoratori scoraggiati?
Mi capita fra le mani l’ultimo rapporto ESDE preparato dalla Commissione Europea, ossia l’indagine sull’occupazione e gli sviluppi sociali in Europa che a un certo punto esibisce un grafico assai eloquente sulla situazione del nostro mercato del lavoro. In particolare, si analizzano le varie componenti della disoccupazione nei vari paesi dividendole fra lavoratori scoraggiati, sotto-occupati, e non disponibili. Sulla base della composizione dei dati i paesi europei vengono suddivisi in due grandi aree, quella in cui vengono iscritti i paesi dove prevalgono le persone che potrebbero lavorare ma non cercano lavoro e quella dove prevalgono i sotto-occupati.
L’osservazione più interessante riguarda il nostro paese, che viene iscritto fra quelli con alti numeri di persone potenzialmente attive ma che non cercano lavoro, fra i quali addirittura primeggia. Complessivamente questa quota pesa il 16% della nostra disoccupazione, e la gran parte di questo primato la si deve ai lavoratori scoraggiati, che superano il 12%, e quindi rappresentano il 75% del totale. Diventa interessante perciò provare a capire chi siano e soprattutto come vengano contati, questi lavoratori scoraggiati, ricordando la lezione più importante della statistica, ossia che le sue definizioni non sempre coincidono con quelle che suggerisce il senso comune.
Il nostro rapporto è alquanto vago, a tal fine. Gli scoraggiati vengono inclusi nella più ampia categoria dei NEET, ossia coloro che non studiano, non lavorano né si stanno formando (not in employment, education and training). “Circa il 40% dei NEET inattivi diventano scoraggiati dopo aver fallito nella ricerca di un lavoro”, riporta. E finisce qua. Quanto alla definizione si parla degli scoraggiati come di coloro “che non stanno cercando lavoro perché credono che non ce ne siano disponibili”. E qui siamo in pieno senso comune. Rimane il problema di capire come li individuino e come li contino.
Vado a vedere cosa dice Istat, leggendo il glossario della sua ultima release sul mercato del lavoro, dove si dice che gli scoraggiati sono gli “inattivi di 15-64 anni che non hanno cercato lavoro nelle 4 settimane precedenti l’intervista perché ritengono di non riuscire a trovarne uno”. Quindi lo stato di scoraggiato, che è squisitamente psicologico, viene dedotto da un’intervista nella quale il lavoratore dice di non aver cercato lavoro nelle ultime quattro settimane perché non pensava di trovarlo.
Sul sito di Eurostat non trovo una definizione tecnica di lavoratore scoraggiato salvo quella del senso comune secondo la quale il lavoratore scoraggiato ha smesso di cercare lavoro perché non crede di trovarlo. Ma il glossario dei termini tecnici non esplicita in che modo venga calcolata l’entità della popolazione. Trovo solo una definizione tecnica che include quella degli scoraggiati fra le persone che potrebbero lavorare ma non cercano attivamente lavoro. Si tratta, in dettaglio, delle persone di 15-74 anni che sono disponibili a lavorare nelle prossime due settimane, ma non cercano lavoro. E già qua si intravede una differenza fra come li conta l’Istat e come li conta Eurostat.
Se cambiamo continente, la cosa è ancora più interessante. Negli Stati Uniti, secondo la definizione del BLS, l’ufficio statistico del lavoro, e della sua Current population survey un lavoratore scoraggiato è “una persona che vuole un lavoro ed è disponibile a lavorare e ha cercato qualcosa da fare negli ultimi 12 mesi, ma che adesso non sta cercando più perché crede che non ci siano lavori disponibili”. Agli italiani bastano quattro settimane per potersi dire scoraggiati, agli americani serve un anno: statistiche diverse per caratteri diversi, evidentemente. Ma ha senso allora confrontare dati così differenti? Dire ad esempio che gli italiani hanno un numero di scoraggiati più elevato degli statunitensi è del tutto assurdo, visto che si confrontano popolazioni diverse fra loro.
Rimaniamo di là dall’Oceano ma spostiamoci in Canada: qui, secondo quanto spiega la Labor Force Survey, un lavoratore scoraggiato è quello che ha cercato lavoro negli ultimi sei mesi e adesso ha smesso di cercare. Se volete dare un’occhiata più esaustiva ai vari metodi seguiti per classificare questi lavoratori, potete usare il database Ocse.
Rimane il fatto che, al di là dei metodi di rilevazione, che comunque impattano sulla confrontabilità dei dati, lo stato di scoraggiato ha a che fare con la percezione soggettiva più che con la realtà oggettiva. Gli scoraggiati non sono certo una leggenda metropolitana, visto che ce ne sono eccome. Sono una leggenda statistica. Ma terribilmente concreta quanto ai loro effetti sulle policy.
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