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La festa sui mercati e il parallelismo fra Trump e Reagan
Che ci fosse aria di festa sui mercati internazionali è evidente da diversi giorni, se non settimane. L’umore degli investitori si è decisamente orientato al positivo già all’indomani delle elezioni del nuovo presidente statunitense, ed è diventata talmente visibile, questa intonazione, che la Bis, la Banca dei regolamenti internazionali, ha ritenuto opportuno sottolinearla nella sua ultima Quarterly review. La banca di Basilea ha pubblicato un grafico dove si osserva un parallelismo molto interessante fra l’andamento dei mercati dopo l’elezione di Trump e quello che si registrò all’indomani dell’elezione di Ronald Reagan.
In particolare l’analogia è evidente per gli andamenti del mercato obbligazionario, dove si è avuta una marcata crescita dei rendimenti, conseguenza del calo dei valori obbligazionari, e su quello azionario, la cui crescita ha superato persino quella registrata ai tempi di Reagan. “Nei giorni immediatamente successivi alle elezioni – scrive la Bis – i mercati hanno subito brusche evoluzioni. I rendimenti azionari e obbligazionari negli Stati Uniti sono ulteriormente saliti, riproducendo una dinamica già osservata in occasione dell’elezione di Ronald Reagan nel 1980. Ciò fa ritenere che i mercati abbiano scontato un’accelerazione della crescita e un incremento dei profitti aziendali negli Stati Uniti in virtù delle aspettative di una politica di bilancio più espansiva, di una riduzione delle tasse e di una regolamentazione meno rigorosa”.
Evidentemente i mercati si sono lasciati irretire dalle promesse elettorali di Trump, che parlavano di un pacchetto di stimoli fiscali da 1.000 miliardi di dollari, il 5% del Pil, accoppiato con la riduzione delle imposte, mentre la promessa di alleggerire la regolamentazione finanziaria ha dato ossigeno alle banche Usa, le cui azioni “hanno sopravanzato il resto del mercato muovendosi al rialzo ovunque, spinte dalla prospettiva di una ripresa congiunturale e di margini di interesse netti più elevati”. Ciò anche in ragione dell’ormai sempre più probabile aumento dei tassi da parte della Fed. Vale la pena osservare che pure le azioni delle banche giapponesi hanno tratto beneficio da quest’umore allegro, al contrario di quelle europee “rimaste complessivamente stabili”.
Il rialzo dei rendimenti sul mercato obbligazionario, peraltro, ha seguito un trend già evidente dalla seconda metà del 2016. “Prima dell’8 novembre – sottolinea la Bis – i rendimenti del Tesoro Usa avevano già guadagnato 50 punti base rispetto ai minimi di luglio. Sono poi saliti di altri 20 punti base in reazione al risultato elettorale, registrando una variazione giornaliera non osservata dai tempi del taper tantrum del maggio settembre 2013”. Ossia quando la Fed ipotizzò una normalizzazione monetaria ravvicinata che poi non fu mai realizzata, mandando il tilt i mercati internazionali.
All’epoca qualcuno lo ricorderà, il prezzo più alto lo pagarono le economie emergenti, e non a caso. Queste economie, infatti, erano state oggetto di imponenti afflussi di fondi dall’estero che molto rapidamente si trasformarono in deflussi. Questa volta la reazione si è mitigata proprio perché i deflussi degli ultimi anni hanno impedito uno shock. Ma rimane il fatto che queste economie sono molto indebitate, e per di più in dollari, valuta che mostra chiari segnali di forza. “Il 10% del debito societario delle EME denominato in dollari giunge a scadenza nel 2017 e ciò rischia di acuire le pressioni sui loro mercati finanziari”. Ciò significa che “circa 120 miliardi di dollari di debiti dovranno essere rinnovati o rimborsati, cosa che rischia di aggiungere ulteriori pressioni su queste economie. Sul piano interno, varie EME si trovano ancora ad affrontare squilibri relativi ai recenti periodi di rapida espansione del credito”.
Di fronte a questo scenario, la reazione dei mercati al dopo Trump è assai istruttiva. “Nella settimana successiva alle elezioni negli Stati Uniti – scrive la Bis – le EME hanno subito il più ampio deflusso di fondi obbligazionari mai registrato in una settimana. Anche gli investitori dei mercati azionari hanno disinvestito vaste somme dai fondi. In linea con questi ingenti deflussi, la reazione dei tassi di cambio delle EME è stata più pronunciata di quella registrata nella peggiore settimana del taper tantrum”.
In tal senso l’elezione di Trump potrebbe trovare un ulteriore parallelismo con quella del 1980 di Reagan. La politica seguita all’epoca dall’amministrazione condusse a un deciso rafforzamento del dollaro che nemmeno due anni dopo, nel 1982, portò a una devastante crisi il Messico cui seguì quella di altri paesi dell’America Latina. È vero che la storia non si ripete mai. Ma, lo abbiamo visto, tende a somigliarsi.
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