categoria: Draghi e gnomi
Banche, il colpo non audace dei regolatori europei
Discreto interesse ha suscitato il pacchetto di norme in materia bancaria proposto dalla Commissione Europea il 23 novembre anche se si tratta di questioni note ed in discussione già da tempo. Nessun vero fulmine a ciel sereno. I canali di informazione hanno comunque dato un particolare rilievo all’introduzione di un vincolante Leverage Ratio (LR) al 3%, un modo di limitare la leva bancaria e rischi connessi. Voglio spendere qualche parola sul punto.
La “leva” è la capacità estendere l’attività ad un multiplo dei mezzi proprî (chiaramente essendo disponibili le ulteriori risorse necessarie): nei fatti è l’inverso della capitalizzazione. Le banche già sottostanno a un “limite di leva”, dovendo possedere mezzi proprî (nonché strumenti quasi-capitale) entro certe definite proporzioni rispetto alla massa degli impieghi “ponderati per il rischio” (il famoso RWA: Risk Weighted Assets o attività ponderate per il rischio). Questo approccio permette però una sorta di arbitraggio: disponendo di opportune fonti di finanziamento di terzi, la scelta di impieghi cui la normativa riconosca bassa o nulla rischiosità permette di allargare l’operatività totale a parità di mezzi proprî. Ho già mostrato qui come questo aspetto normativo, in concorso con altri fattori, stia incidendo sull’attività bancaria: titoli di Stato europei e mutui ipotecari sono gli asset fondamentalmente favoriti da questa legislazione.
Il Leverage Ratio pone un limite massimo al complesso dell’operatività della banca, commisurando i mezzi proprî al totale delle attività prese al loro valore nominale. Rispetto ai vigenti indici CET1 (mezzi proprî) e AT1 (mezzi proprî più specificati bond subordinati) che sono definiti rispetto all’RWA, il LR è un indice di capitalizzazione (o leva, secondo il punto di vista) “non ponderato”. La Commissione cioè ha definito un massimo assoluto dell’attività creditizia rispetto al capitale indipendentemente dal tipo di impiego. Si può un po’ artisticamente, ma ritengo utilmente, leggere il Leverage Ratio quale limite alla leva come se gli tutti asset “avessero una stessa rischiosità” (titoli di Stato e mutui compresi).
Certamente, il contenimento in termini assoluti dell’attività creditizia implica un contenimento in termini assoluti dei rischi connessi (soprattutto quando ormai si questiona se il rischio di alcuni asset, ad esempio i titoli di Stato, sia effettivamente nullo). Il valore prospettico di questa misura sta nel poter frenare la crescita degli impieghi nelle fasi cicliche più esuberanti, quando certe misure di rischiosità potrebbero non cogliere la vera essenza della situazione. Il controllo prospettico della rischiosità dell’attivo bancario è un buon supporto all’Unione Bancaria ed alla Garanzia Unica dei depositi bancari, d’altra parte i sistemi di assicurazione – si dovrebbe saperlo – funzionano solo se esistono incentivi a comportamenti cautelativi da parte di tutti gli assicurati.
Intelligente mossa dei regolatori europei, quindi? In realtà si tratta di un allineamento a quanto già previsto altrove: in Gran Bretagna sono già previsti indici di leva simili, rinforzati attraverso buffer (cuscinetti di capitale ulteriori) con funzione anticiclica sia generali che specifici per gli istituti di rilevanza sistemica globale (per questi ultimi nei fatti si arriva a un indice al 4%); appena attivata in Svizzera una soluzione simile, che dovrebbe progressivamente portare ad un indice del 5% (mitigabile) per gli istituti maggiori; pianificata nei prossimi anni una soluzione analoga anche negli USA, che in alcuni casi potrebbe portare l’indice fino al 6%.
Nella UE si parla di un LR al 3% salvo ulteriori buffer per gli istituti di rilevanza sistemica globale (G-SIB). Troppo basso? Dobbiamo arrivare in fondo al processo legislativo e poi confrontare tutto l’insieme di eccezioni e aggravi che potranno affiancare il riferimento generale, prima di poter definire la soluzione europea come più o meno cautelativa. Per il momento possiamo scrutare come si è arrivati a questa misura. In soccorso richiamo due lavori: uno di Scope Ratings e uno dell’EBA.
Cercando di riassumere quelle centinaia di pagine: sono stati elaborati una serie di scenari con LR crescente, incrociandoli con possibili diverse reazioni di banche e mercati (in caso di leva eccessiva, la banca può ricapitalizzarsi o ridurre il credito, o variamente combinare le due soluzioni). Questo esercizio statistico dice è che un LR fino al 3% è nella maggior parte dei casi “non stringente”, cioè l’esistente limite al CET1 (8,5% dell’RWA) già implica per la maggior parte del settore un LR superiore (la media del campione analizzato è al 4,4% e la sua mediana al 5,5%).
Un LR al 3% è “stringente” per una limitata parte del settore: da queste banche ci si aspetta una complessiva riduzione di prestiti che varia da 37 miliardi a 108 miliardi di euro a seconda dello scenario, ma che dovrebbe venir adeguatamente recuperata dal resto del settore (il caso peggiore riguarda lo 0,4% del credito complessivo). Le ipotesi di LR superiori invece restituiscono situazioni “stringenti” ben più profonde e più difficilmente compensabili all’interno del settore bancario. La “stringenza” che si prospetta già con un LR al 3,5% (dal 2% al 5,8% di possibile credit-crunch e crescenti dubbi di compensazione interna da parte del sistema) ha fatto propendere il regolatore per il più comodo limite del 3%.
Un po’ delicata risulta in realtà la posizione delle G-SII. Da questo segue la proposta di valutare per criteri specifici anche più stringenti – in concorso con altre norme previste dal pacchetto della Commissione la cui discussione porterebbe via troppo spazio.
Insomma, alla base della scelta del parametro non sta una valutazione della rischiosità propria dell’attività bancaria, quanto la necessità di mettere un limite – quale che sia – senza creare troppo sconquasso nel sistema, e che per lo meno abbia valore di stabilizzatore automatico per il futuro. Non vi stupite, sono in corso anche altre revisioni dei parametri di patrimonializzazione delle banche, in cui la stella polare è fissare un criterio più controllabile “a saldo invariato o quasi” per la capitalizzazione di tutto il settore. Il tema di fondo è che una misura oggettiva del rischio non esiste, ci si accorge dell’inadeguatezza delle misure prese solo ex post a frittata fatta, e nel frattempo si può solo procedere fissando un parametro e cercando di alzarlo appena possibile senza far implodere il settore.
L’unica cosa sicura è che più si fissano limiti minimi e più il singolo istituto si capitalizza, tanto più l’istituto sarà in grado di resistere a shock negativi. Tutto questo andrà avanti finché non emergerà con prepotenza la perdita di redditività o di operatività complessiva data dal capitale “congelato”. D’altra parte tutto ha un costo, anche la sicurezza, e l’attività di impresa è per natura una attività rischiosa.