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Gli americani stanno meglio o peggio di dieci o venti anni fa?
Pubblichiamo un post di Ben Bernanke e Peter Olson apparso in versione originale sul sito del think tank Brookings Institution –
Economicamente parlando, stiamo meglio oggi rispetto a dieci o vent’anni fa? Di fronte a questa domanda gli americani sembrano indecisi, quasi schizofrenici: un’ampia maggioranza afferma che il Paese sta andando “nella direzione sbagliata” ma al tempo stesso riferisce ai sondaggisti di essere ottimista sulle proprie finanze personali e sulle prospettive economiche di medio termine.
A caccia di conferme su questo, i commentatori si sono appropriati di un recente rapporto dell’Istituto di statistica (Bureau of the Census), secondo cui il reddito mediano reale degli americani è cresciuto del 5,2% nel 2015, per dimostrare che “la classe media alla fine ha ottenuto degli aumenti”. Purtroppo, queste conclusioni danno troppo peso a una statistica utile ma imperfetta e incompleta. Ecco i maggiori problemi sollevati da questo indicatore:
1) Esclude tasse, trasferimenti e compensi non monetari come l’assicurazione sanitaria a carico dei datori di lavoro
2) È basato su sondaggi piuttosto che su dati fiscali e amministrativi, con il risultato che è sorprendentemente in contrasto con le cifre ufficiali degli ultimi anni sul reddito nazionale. Anche se misurati con precisione, i dati sui redditi escludono importanti variabili del benessere economico, come il numero di ore di lavoro necessario per guadagnare quel reddito.
Mentre stavamo cercando una risposta a questa domanda ci siamo imbattuti in un recente articolo di Charles Jones e Peter Klenow, che propone un nuovo e interessante misuratore di benessere economico. Pur non essendo perfetto, è molto più completo del reddito mediano perché prende in considerazione non solo la crescita nei consumi pro capite ma anche le variazioni nell’orario di lavoro, l’aspettativa di vita e la disuguaglianza. Inoltre, come dimostrano gli autori, può essere utilizzato per confrontare la performance economica tra Paesi e tra periodi diversi. In questo post riferiremo i risultati del loro studio ed estenderemo la loro analisi (che termina con la Grande Recessione) fino al 2015.
La conclusione: secondo questo metodo, gli americani hanno un alto livello di benessere economico rispetto alla maggior parte degli altri Paesi e questo benessere ha continuato a crescere nei decenni scorsi nonostante le gravi interruzioni degli ultimi dieci anni. Tuttavia, i progressi hanno subito un significativo rallentamento negli ultimi anni che giustifica il crescente sentimento di insoddisfazione evidenziato da sondaggi e orientamenti politici.
Il confronto tra gli Stati
Il metodo Jones-Klenow può essere illustrato confrontando due Stati. Proviamo a comparare il benessere economico di cittadini americani e francesi nel 2005. In quell’anno, il Pil pro capite in Francia era pari solo al 67% di quello degli Stati Uniti, e i consumi reali pro capite (una misura più diretta degli standard di vita) erano pari al 60%, facendo apparire gli americani nettamente migliori dei francesi in termini economici. Tuttavia, il confronto omette altri fattori rilevanti e Jones e Klenow ne scelgono tre: tempo libero, aspettativa di vita e disuguaglianza economica.
I francesi fanno lunghe vacanze e vanno in pensione prima, dunque lavorano meno ore; hanno una più alta aspettativa di vita (80 anni nel 2005 contro i 77 anni degli americani), presumibilmente grazie a vantaggi in materia di salute, dieta e stili di vita; in Francia redditi e consumi sono distribuiti in maniera più egualitaria rispetto agli Usa.
Limitarsi a confrontare solo reddito o consumi pro capite tende dunque a ingigantire il reale divario economico tra i due Paesi. Ma quanto pesano questi fattori mitiganti? Per quantificarli in un singolo numero, gli autori si sono posti questa domanda: se qualcuno dovesse scegliere di scambiarsi con una persona che vive negli Stati Uniti – con i suoi consumi, aspettativa di vita, tempo libero, disuguaglianza – o con una persona che vive in Francia, di quanto i consumi Usa dovrebbero cambiare per sentirsi altrettanto felici in un caso o nell’altro?
Per rispondere alla domanda gli autori utilizzano dati dettagliati per ciascun Paese e convertono questi fattori mitiganti in “consumi equivalenti” usando un semplice modello di preferenze familiari e alcune supposizioni plausibili sul valore relativo di variabili come il tempo libero o i consumi.
La conclusione è che, in unità di consumi equivalenti, nel 2005 un qualunque cittadino francese aveva un livello di benessere pari al 92% di un qualunque cittadino americano, nonostante l’ampio divario di reddito pro capite tra i due Paesi.
Calcoli analoghi possono essere fatti per comparare gli Usa con altri Paesi. La tabella qui sotto confronta il benessere economico e il Pil pro capite di Usa e altri Paesi nei primi anni 2000 (gli anni esatti variano in base alla disponibilità dei dati dei singoli Paesi). I valori degli Usa sono uguali a 100, dunque i dati degli altri Paesi sono in percentuale rispetto agli Usa.
La tabella conferma conferma che gli standard vita americani sono comparabili a quelli delle nazioni più ricche dell’Europa occidentale e molto più alti di quelli delle economie emergenti. Un esempio: il benessere economico nel Regno Unito è pari al 97% degli Usa, mentre in Messico è solo del 22 per cento. Il dato interessante è che i Paesi dell’Europa occidentale (come Regno Unito, Francia e Italia) sono molto più vicini agli Stati Uniti in termini di benessere economico di quanto non suggerisca il reddito pro capite. Questo grazie agli altri criteri considerati (tempo libero, aspettativa di vita, disuguaglianza).
Al contrario, nei Paesi emergenti il criterio del solo reddito sottostima il vantaggio degli Stati Uniti, in gran parte a causa delle maggiori disuguaglianze e della minore aspettativa di vita in quei Paesi.
Come è cambiato il benessere economico nel tempo
La prossima tabella mostra i risultati nel ventennio 2005-2015 e in due sotto-periodi (1995-2007 e 2007-2015) negli Stati Uniti. Le prime due colonne riportano il tasso annuo medio di crescita del Pil pro capite e le nostre stime della variazione dell’indice di benessere economico Jones-Klenow. Le successive quattro colonne mostrano la decomposizione dei dati in 4 componenti: variazione nell’aspettativa di vita, nei consumi, nel tempo libero e nella disuguaglianza.
La tabella 2 mostra come il benessere economico sia migliorato rapidamente nel periodo precedente alla crisi (1995-2007), con un tasso medio superiore al 3% annuo, più alto del tasso medio di crescita del Pil pro capite. Come mostrato dalla tabella 2 e, graficamente, nella Figura 1, i progressi sono stati guidati innanzitutto dai consumi pro capite e dall’aspettativa di vita, passata da 75,8 a 78,1 anni. L’aumento della disuguaglianza ha sottratto ogni anno tra lo 0,1 e lo 0,2% al benessere economico, mentre tempo libero e ore di lavoro pro capite sono stati stabili.
E il periodo 2007-2015? Come mostra la tabella il benessere economico ha continuato a progredire, ma a un ritmo nettamente inferiore: solo lo 0,88% all’anno contro il 3,32% del periodo precedente. La ragione principale della frenata sta nel declino del tasso di crescita dei consumi (solo lo 0,4% annuo dal 2007 a oggi). In altre parole, la deludente crescita economica è la ragione dominante del declino dell’indice di benessere economico. L’aspettativa di vita ha continuato a migliorare, contribuendo con mezzo punto all’anno alla crescita del benessere, ma lo ha fatto a un ritmo inferiore al periodo pre-crisi (circa lo 0,6% in meno all’anno). La tendenza di lungo periodo alla disuguaglianza è proseguita e si è intensificata leggermente dopo il 2007, sottraendo circa lo 0,2% all’anno alla crescita del benessere.
Le conclusioni:
1) Indicatori economici come Pil, reddito disponibile e reddito familiare mediano sono importanti per misurare il benessere, ma sono intrinsecamente incompleti. Jones e Klenow hanno fornito un esempio concreto di come costruire un indicatore più completo di benessere economico utilizzando i dati esistenti.
2) Secondo il loro indicatore, all’inizio degli anni 2000 gli Usa avevano il più alto livello di benessere economico al mondo tra i grandi Paesi. Tuttavia, alcuni Paesi europei, tra cui il Regno Unito, erano vicini agli Usa prendendo in considerazione anche tempo libero, aspettativa di vita e disuguaglianza. Al contrario, i Paesi emergenti erano più indietro rispetto agli Usa di quanto non dicessero il Pil o i consumi pro capite, in gran parte a causa della maggiore disuguaglianza e della minore aspettativa di vita.
3) La tendenza di lungo periodo del benessere economico negli Usa è positiva. L’indice è cresciuto in media del 2,3% all’anno dal 1995 a oggi, pari a una crescita cumulata del 60 percento in circa vent’anni. Questo principalmente grazie ai progressi nel reddito e nei consumi pro capite oltre che nell’aspettativa di vita. L’aumento della disuguaglianza ha sottratto in media lo 0,2% all’anno al benessere economico dal 1995.
4) Dal 2007 il benessere economico americano ha continuato a migliorare. Tuttavia, ha subito un forte rallentamento rispetto al periodo pre-crisi, a causa di una minore crescita economica, di un rallentamento del progresso nell’aspettativa di vita e di un aumento della disuguaglianza.
5) Questo nuovo indicatore conferma che in America si vive bene, sia rispetto ad altri Paesi che rispetto al passato e che i progressi continuano. C’è stato però un significativo rallentamento che richiede l’attenzione della politica.
Dal punto di vista metodologico, la lezione della ricerca di Jones e Klenow è che il benessere economico è multi-dimensionale. Il loro approccio flessibile consente in linea di principio di includere altri importanti indicatori di qualità della vita: per esempio la diminuzione del 63% dei sei maggiori inquinanti dal 1980 al 2014 e il declino del tasso di criminalità. Abbiamo bisogno di misurare meglio l’impatto dell’economia sui cittadini americani. Modelli come questo indicano una direzione promettente.
(Traduzione di Gabriele Meoni)
Pubblicato per Brookings Institution (www.brookings.edu)