Guerra e produttività fra mito e realtà

scritto da il 19 Novembre 2016

Pochi fatti economici sono stati così stilizzati come il boom di produttività susseguente alla Seconda Guerra Mondiale durato 25 anni fino ai primi anni ’70. Se sull’accaduto c’è generale convergenza, sulle cause e, soprattutto, sull’influenza che ebbe la guerra stessa nel creare i presupposti per il boom economico conseguente, i pareri sono molti e qualche volta estremamente contrastanti.

Uno degli economisti più negativi sugli effetti economici della seconda guerra mondiale sull’economia americana è Alexander J. Field dell’Università di Santa Clara (California), che in un suo paper del 2006, “The Impact of the Second World War on U.S. Productivity Growth”, pubblicato sull’Economic History Review, contesta la tradizionale visione keynesiana che vedeva nell’espansione della domanda pubblica a causa degli eventi bellici un driver capace di fare definitivamente uscire gli Stati Uniti dalla recessione del ’29.

In particolare Field si concentra sulla Produttività Totale dei Fattori che, secondo i suoi calcoli, non solo non è aumentata durante il periodo bellico 1941-45, ma è persino diminuita per motivi quali la diminuzione dell’intensità del capitale, la concentrazione della produzione solo su alcuni settori a discapito di altri, la mobilitazione in armi di parte della forza lavoro più giovane e preparata, il concentrarsi delle risorse pubbliche non su investimenti produttivi ed infrastrutture ma appunto sulla produzione militare ad esclusivo fine bellico.

Anche il “learning by doing” stimolato dalla produzione militare viene ritenuto non utilizzabile nel successivo periodo di pace in quanto gran parte dei lavoratori cambiarono settore durante la guerra per poi ritornare nel 1946 alle precedenti occupazioni.

Schermata 2016-11-19 alle 13.18.24Field arriva a contestare persino il progetto Manhattan come sostanzialmente incapace di produrre effetti economici positivi ed è a quel punto che emerge tutto il bias antistato dell’autore perché, a prescindere delle idee politiche ed ambientali di ognuno di noi, è talmente evidente che senza esso non ci sarebbero state le ricadute sulla tecnologia nucleare ad uso civile che hanno portato ad una produzione di energia a basso costo, certamente uno dei fattori dell’aumento di produttività dei decenni seguenti.

Lo spill-over delle innovazioni del tempo di guerra è invece ben delineato nel paper “Distinguished Lecture on Economics in Government: Lessons from Past Productivity Booms.” degli economisti Roger W. Ferguson Jr. e William L. Wascher pubblicato nel 2004 sul Journal of Economic Perspectives.

La prima cosa che si evidenzia in questa ricerca è come i cicli di notevole incremento della produttività negli Stati Uniti siano accaduti esattamente nei periodi susseguenti a grandi conflitti, la guerra di secessione ed i due conflitti mondiali, e si sono caratterizzati per significativi avanzamenti tecnologici accompagnati però anche da profondi cambiamenti nelle strutture organizzative, dall’evoluzione della finanza, dall’investimento nel capitale umano ma, anche, dalla volontà della società di accettare il cambiamento e dalla sua fiducia nel futuro.

Anche se queste ultime sembrano parole un poco vuote che vogliono dire tutto e niente, leggendo un articolo della storica Doris Kearns Goodwin, pubblicato nel 1992 su The American Prospect, “The Way We Won: America’s Economic Breakthrough During World War II”, esse assumono subito un significato più pregnante.

Lo stato federale durante la seconda guerra mondiale divenne l’acquirente di oltre metà della produzione industriale. Questo enorme dispendio di risorse non fu accompagnato da una pianificazione centralizzata, come successe nella maggior parte degli altri stati coinvolti nel conflitto, ma seguì i dettami della logica di mercato, limitando il governo perlopiù al solo lato della domanda con la volontà di mantenere la regolazione dell’offerta la più limitata possibile, viste le circostanze.

Questo fece affluire alle imprese notevoli capitali che rimasero a disposizione ovviamente anche nel dopoguerra, in quanto il territorio degli USA rimase immune dalle distruzioni del conflitto. Inoltre la coscrizione per la leva di milioni di uomini in età lavorativa, l’espansione di alcuni settori a scapito di altri, la necessità di conversione di molte produzioni e il concentrarsi sulla quantità di output, portò necessariamente ad una ridefinizione dell’organizzazione del lavoro che potè essere poi applicata alle produzioni di massa post-belliche.

Schermata 2016-11-19 alle 13.16.22Basti solo pensare al ruolo della donna, che si ritrova veramente per la prima volta protagonista nel mondo del lavoro, anche in ruoli prima esclusivamente riservati agli uomini. Anche se è vero che la base teorica di molte innovazioni tecnologiche poi sfruttate nel dopoguerra erano state poste negli anni precedenti al conflitto, è solo con questo che si investono risorse umane e materiali per cercare di renderle applicabili nella pratica in modo da “battere sul tempo” il nemico.

L’elenco potrebbe essere lunghissimo ma anche il più casuale dei lettori può capire quanto abbia influenzato l’economia post 1945 la diffusione degli antibiotici a base di penicillina, l’applicazione dei nuovi studi chimici che dettero vita ai primi composti plastici come il poliestere, il poliuretano e la produzione di massa del nylon, la creazione di motori nel settore aeronautico che permisero di “accorciare” distanze una volta percorribili solo in settimane per nave, lo sviluppo dell’elettronica e dei calcolatori. che fece nascere anche i primi insediamenti tecnologici nella Silicon Valley, o lo studio dei materiali semiconduttori che nel 1947 portò a realizzare il primo prototipo funzionante di transistor.

Come si vede in tempo di pace la disputa alla fine diventa puramente politica fra i sostenitori della “dannosità” dell’intervento statale nell’economia, anche solo dal lato domanda, e chi invece ritiene che lo stato possa essere un importante attore che coadiuva e, in alcuni momenti, sostituisce il privato come driver per lo sviluppo e l’innovazione. In tempo di guerra le dispute invece vengono accantonate, sostituite dalla comune volontà di prevalere sul nemico.

Ne avremo bisogno anche stavolta?

Twitter @AleGuerani

 

Bibliografia:

Alexander J. Field – The Impact of the Second World War on U.S. Productivity Growth

Roger W. Ferguson Jr. and William L. Wascher – Distinguished Lecture on Economics in Government: Lessons from Past Productivity Booms

Doris Kearns Goodwin – The Way We Won: America’s Economic Breakthrough During World War II