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La cultura della barricata che mette un freno a denaro, merci e persone
Pubblichiamo un post di Dario Vese, wealth manager in un gruppo finanziario globale –
Siamo cresciuti nella convinzione che le interconnessioni globali di denaro, merci e persone contribuiscano all’aumento della ricchezza e alla sua diffusione. Così è avvenuto in maniera formidabile fino al 2008. È grazie a questo che abbiamo alimentato i due driver della crescita economica: popolazione e produttività. Dopo la crisi del 2008 il mondo, viceversa, si è innamorato della “cultura della barricata”: un trend di autarchiche e protezionistiche infatuazioni che ha segnato un processo sempre più incisivo di deglobalizzazione.
Negli ultimi tempi la cronaca ci ha consegnato la Brexit, l’isolazionismo di Trump, e l’Europa dei nazionalismi con il suo scadente coordinamento sovranazionale. Benoît Coeuré, banchiere centrale della BCE, ha ribadito in un suo recente discorso che “la crescita della globalizzazione è un fenomeno che ha caratterizzato gli ultimi trent’anni e che all’indomani della crisi è entrato in stallo”.
L’arretramento degli indicatori che misurano la globalizzazione, infatti, è testimoniato dai molti dati noti della Banca Mondiale e del FMI. In particolare, abbiamo avuto la contrazione del commercio globale e la drastica riduzione dei flussi di capitale. Dal 2008 in poi, per la prima volta dagli anni Ottanta, il commercio mondiale è cresciuto più lentamente dell’economia globale. I flussi monetari transfrontalieri, in più, sono scesi ai livelli di venticinque anni fa, anche perché le grandi banche si sono ritirate all’interno dei loro confini: nel 2007 i flussi di capitale hanno raggiunto il record storico di 9000 miliardi di dollari (16% del PIL globale), nel 2014 invece erano circa 1200 miliardi (2% del PIL globale).
Meno noto, ma forse più significativo della “cultura della barricata” e del rigetto della globalizzazione, è l’incredibile aumento delle barriere al commercio. Lo conferma un recente report pubblicato dall’OCSE e, ancor prima, il report del Global Trade Alert (The 18h Global Trade Alert Report, “The Tide Turns? Trade, Protectionism, and Slowing Global Growth”).
Dalla fine del 2008, nonostante molti Paesi abbiano assicurato di non volere una guerra commerciale simile a quella che poi portò alla seconda guerra mondiale, tutti gli Stati hanno imposto centinaia di barriere commerciali tariffarie e non tariffarie (controlli igienici, norme di sicurezza, etc). Barriere fisiche, barriere fiscali, barriere tecnologiche, poi dazi e licenze restrittive, e infine barriere invisibili, come i sussidi alle esportazioni. Tra il 2008 e il 2015, Francia, Germania, Italia, Regno Unito hanno varato più di duecento nuove barricate commerciali per ognuno; la Russia e l’India circa cinquecento; gli Stati Uniti circa quattrocento.
Dicevamo all’inizio, denaro, merci ma anche persone.
Nonostante la retorica dell’invasione (il nemico esterno, per addossargli la colpa della nostra disoccupazione, della nostra mancata crescita, dell’aumento delle disuguaglianze) la deglobalizzazione ha colpito anche i flussi dei migranti economici (il flusso migratorio netto complessivo dai Mercati Emergenti ai Paesi Sviluppati, si veda il grafico), che sono scesi ai livelli dei primi anni Novanta, portandosi dietro il rischio del restringimento della forza lavoro.
Il dato è rappresentativo a livello globale, anche se non tiene conto dei rifugiati o delle decine di migliaia di persone che arrivano via mare. Nelle zone sviluppate, come l’Europa, il drastico calo del tasso di natalità ha già rovesciato la piramide demografica. Questo, al pari di altri elementi, è causa del rallentamento economico, perché incide sulla crescita della forza lavoro (la fascia d’età 15-64 anni bruscamente ridotta nell’ultimo decennio).
Preoccupati dalla gestione del contingente, abbiamo dimenticato la gestione del rischio, e quindi delle opportunità, nel medio-lungo periodo: i migranti economici, storicamente, hanno fatto la ricchezza del Paese e del continente che ha offerto loro un’occasione.
Twitter @DarioVese