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Convertire o non convertire? Questo è il problema (subordinato)
Pubblichiamo un contributo al dibattito sul piano per Mps. Questo scritto è stato messo a punto da un operatore finanziario che preferisce restare anonimo e affidare le sue valutazioni al blog –
Che senso ha proporre una conversione volontaria di alcuni debiti in capitale? Se l’azienda non è – o prevede di non essere – in grado di pagare i propri debiti, è un modo di dilazionare il loro pagamento e acquisire capitale in grado di assorbire le perdite necessarie prima di poter tornare ad una adeguata economicità della sua gestione. Questo specialmente nel caso si prospettino anche difficoltà nel rinnovare altri debiti e ancor di più trovare nuovi investitori in capitale di rischio… soprattutto se i possibili nuovi soci possono essere persone “poco gradite”. D’altra parte, o tale capitale si trova, o l’azienda fallisce e i creditori recupereranno quel che potranno ricavare – pro quota – dalla liquidazione.
Il caso MPS sta un po’ tutto qui. La banca ha bisogno di almeno 5 miliardi di capitale per gestire le prospettabili perdite (o costi, è uguale) inerenti il piano di risanamento, tali soldi non possono arrivare da Pantalone, e il mercato non ha tutta questa voglia o convenienza a fornire l’intera somma. Senza questi soldi il fallimento e la perdita, soprattutto per alcuni creditori, sembrano inevitabili. Ha quindi senso chiedere a certi creditori di mutare il proprio status in soci per dare una chance alla società ed ai propri soldi.
La faccenda è solo appena complicata dalla distinzione tra i creditori dei detentori di bond subordinati, tra i subordinati Tier1 e Tier2, e tra investitori istituzionali e retail. Altra complicazione è data dalla serie di rapporti tra varie misure del capitale (mezzi propri – CET1 – aggiungendo via via i vari subordinati) e il patrimonio investito a rischio (RWA, per i tecnici). Le perdite che ci si aspetta implichi il piano di recupero rendono necessario rafforzare il capitale della società, ma sembra che non gravino oltremodo sui requisiti quantitativi per gli altri strumenti. Da qui l’idea di “proporre” una conversione di almeno due miliardi di subordinati in capitale sociale, così da cercare sul mercato “solo” tre miliardi. Ma va ricordato che tutti questi capitali verranno quasi istantaneamente “consumati”. Se tutto poi andrà bene e la banca riprenderà a funzionare regolarmente e quindi a produrre utile, il maggior valore verrà riconosciuto anche alle azioni e i creditori “convertiti” in soci potranno recuperare le proprie somme vendendo le azioni.
Entrando di più nei numeri, come primo passo MPS deve liberarsi di 27,7 miliardi (di euro) di NPL. Il loro valore è stabilito a circa 9,2 miliardi, di cui 1,6 subito necessari per la costituzione della società veicolo che (con 6 miliardi di prestito-ponte di JP Morgan) gestirà la cartolarizzazione. L’incasso netto è quindi di 7,6 miliardi. Ma tali prestiti sono iscritti nel bilancio MPS a 10,1 miliardi, il che significa subito una perdita di 2,5 miliardi (diciamo che la conversione dei subordinati va a finire qui).
Ma l’evidenza di questa perdita costringe a correggere le stime sulla probabilità di incorrere in perdite su crediti (PD, Probability of Default) e le stime di quanto recuperabile dai crediti (LGD, Loss Given Default). In pratica significa prendere atto che i crediti problematici non in sofferenza sono “sopravvalutati” per 2,2 miliardi di euro (stima di alcuni analisti, non necessariamente precauzionale), somma da portare subito a perdita per correggere il bilancio (e il completamento dell’aumento di capitale completerà la copertura).
Con quasi 71 miliardi di euro di RWA (non toccati dalla vendita degli NPL) e mezzi propri per 8,6 miliardi, perdite complessive su crediti per 5 miliardi fanno scendere il CET1 dal 12% a poco più del 5% contro il minimo del richiesto in normativa (7% escludendo rialzi precauzionali “SREP”). Tecnicamente è un fallimento: dalla normativa BRRD probabilmente discenderebbe la conversione forzosa di tutti i 5 miliardi di euro di subordinati esistenti (i soli Tier1 sono circa mezzo miliardo). Festa finita, e strascichi giudiziari di chi rivendicherebbe di aver sottoscritto i subordinati sotto inganno.
Ecco quindi il ruolo della preventiva conversione in azioni di almeno 2 miliardi di euro di subordinati, che sarebbero comunque le prime vittime di una risoluzione: una chance per il successo dell’aumento di capitale successivo. La diluizione finale del capitale sarà enorme: da 3 miliardi di azioni ad almeno 53 miliardi di azioni per un valore atteso da alcuni analisti di dieci centesimi o poco più per azione. Ma a fine operazione MPS sarebbe libera da NPL (che “assorbono capitale”), da pressioni per ricapitalizzazioni precauzionali (Bonis e NPE sarebbero ora “correttamente” svalutati) e con 8 miliardi di liquidità in più. Ciò significa spazio per ricostruire l’attività della banca e il suo valore, condizioni per il recupero del valore delle azioni e delle obbligazioni subordinate, ora non più sotto scacco.
Fin qui la finanza. Ma poi c’è l’imprenditoria. Non dobbiamo dimenticare che si tratta di una banca in grado di “produrre” NPL in misura doppia rispetto alla media italiana (che è già è il doppio della media europea), e che questa pulizia da 5 miliardi di euro viene dopo una decina di miliardi di precedenti “toppe”. Non dobbiamo dimenticare che la banca è una impresa, e l’impresa non è solo una posizione finanziaria definita in un certo momento (il bilancio a fine operazione), ma un processo produttivo che opera nel tempo, e che nel tempo produce o distrugge ricchezza, realizzando un “lavoro” cui viene riconosciuto un valore superiore o meno a quello delle risorse impiegate.
La capacità di MPS – e di altri istituti recentemente “salvati” e ripuliti – di continuare a produrre cattivo credito non è una grande speranza per il futuro. Questa operazione è solo il primo passo a cui deve seguire una revisione del modello di business (cosa che poche banche italiane hanno posto in atto). Senza tutto questo, tra due anni – con una congiuntura che potrebbe non riprendersi e con più restrittivi indici di patrimonializzazione – si potrebbe rinnovare il problema della gestione degli NPL, della capienza del capitale, e magari del collocamento di più costosi subordinati.
Per il creditore subordinato non esiste una scelta “sicura”. Relativamente certa è solo la risoluzione della banca e l’azzeramento dei subordinati se fallisce l’aumento di capitale. Molto probabile è il fallimento dell’aumento di capitale se fallisce la “volontaria” conversione di subordinati. Possibile è il recupero di un maggior valore se l’operazione va interamente in porto. In caso di risoluzione, il subordinato retail “ingannato” può cercare la via giudiziale o sperare in una soluzione politica, ma la soddisfazione non è certa nel “se”, nel “quando” e nel “quanto”. Probabilmente, la conversione volontaria delle proprie obbligazioni in azioni elimina qualsiasi possibilità di rivalsa giudiziale per misselling (vendita fraudolenta, ndr): questo dovrebbe far propendere per la conversione solo gli investitori istituzionali, mentre gli altri giocano da free rider (se l’operazione fallisce, si torna da capo). Nel caso di successo dell’operazione il subordinato può sperare in un recupero di valore che però dipende da una svolta imprenditoriale tutta da vedere.
Ma c’è il jolly: se per qualsiasi motivo si dovesse arrivare alla conversione forzosa di tutti i subordinati potrebbe partire una campagna “politica” di risarcimento, acquistando le azioni rinvenute dalla conversione dei subordinati retail (definiti da taglio della sottoscrizione e parametri reddituali o patrimoniali). Alcuni analisti stimano in 3 miliardi il valore di questa manovra, che per lo Stato significherebbe trasformare un risarcimento (non vietato dalla UE) nella titolarità di 30 miliardi di azioni – la maggioranza di MPS.
Il jolly sarebbe, quindi, la nazionalizzazione di MPS (a spese del contribuente). Ma non è possibile escludere del tutto una tale manovra anche a MPS salvata… Nell’incertezza totale e nell’ambiguità della convenienza politica non esistono incentivi uniformi.