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Pattugliare incentiva gli affari. Lo dice l’econometria applicata al traffico di migranti
Pubblichiamo un post di Carlo Amenta, Paolo Di Betta e Calogero Ferrara. Amenta e Di Betta sono, rispettivamente, ricercatore e professore associato in Economia e Gestione delle Imprese all’Università di Palermo ed entrambi honorary fellow dell’Istituto Bruno Leoni. Ferrara è sostituto procuratore presso la Procura di Palermo, Direzione Distrettuale Antimafia –
Le indagini Glauco 1 e Glauco 2, coordinate dalla Procura di Palermo e condotte dalla Polizia di Stato, hanno portato all’arresto, prima, e per taluni casi anche alla condanna di numerosi criminali che fanno parte di una organizzazione dedita all’organizzazione del viaggio dei migranti clandestini dai paesi del Centro Africa fino alle coste della Libia e da lì in Italia e successivamente nel Nord Europa.
Con gli strumenti tipici della ricerca scientifica nel campo del management, abbiamo analizzato il funzionamento dell’organizzazione criminale distinguendo le determinanti della domanda e le caratteristiche dell’offerta. Abbiamo stimato il giro d’affari annuo di questa organizzazione criminale che, seppure elaborato con criteri molto prudenziali, ammonta ad oltre 120 milioni di dollari per il biennio 2014/2015. Anche il profitto resta molto elevato in quanto, anche considerando la struttura dei costi in maniera prudenziale, si arriva ad una percentuale di incidenza non superiore al 35% e ad un guadagno annuo di oltre 40 milioni di dollari. Si tratta di cifre relative ad una sola organizzazione criminale dedita ad una rotta specifica (la cosiddetta Central Mediterranean Route) e, se si considerano le molteplici direttrici dei flussi migratori e la probabile presenza di decine di diverse strutture criminali, la stima dell’Europol tra i 3 ed i 6 miliardi di euro di fatturato nel 2015 appare del tutto coerente.
Abbiamo quindi cercato di approfondire le condizioni di contesto in cui questa attività può prosperare utilizzando un modello econometrico di stima degli arrivi grazie ai dati sugli “sbarcati” e sulla loro nazionalità forniti dalla Direzione Centrale dell’Immigrazione e della Polizia di Frontiera per i mesi dal gennaio 2011 fino al marzo 2016.
L’oggetto principale della nostra indagine è stato l’impatto che le operazioni di contrasto (Mare nostrum, Tritonplus, Maresicuro, EUNAVFOR FOR MED poi ridenominata Operazione SOPHIA) possono avere avuto sul numero di migranti e quindi sul “giro d’affari” dei trafficanti.
Abbiamo incluso nel modello altri fattori che possono influire sul numero di arrivi quali i fattori metereologici, il numero di vittime dei naufragi nei mesi precedenti le partenze, i conflitti armati ancora in atto, la situazione economica del paese di partenza, e la caduta di Gheddafi ed il conseguente caos in Libia.
I risultati preliminari dello studio hanno confermato che le operazioni militari di pattugliamento del Mediterraneo, sia Mare nostrum (che ha esplicite finalità di contrasto e salvataggio) che quelle seguenti (con finalità dichiarata solo di contrasto), hanno aumentato gli arrivi, costituendo così un incentivo e un elemento di contesto positivo (perché una forma di assicurazione sulla buona riuscita del servizio) per il business dei trafficanti di migranti. In media gli arrivi sono aumentati mensilmente di circa 312 unità per Mare nostrum e di 279 unità con le altre.
I fattori metereologici si sono rivelati non significativi mentre i naufragi diminuiscono gli arrivi solo a partire dal secondo mese successivo all’evento, costituendo una sorta di disincentivo ad effetto ritardato. I conflitti armati in essere hanno un impatto positivo sugli arrivi così come il peggioramento della situazione economica, anche se per entrambe le variabili l’impatto è molto basso. Contrariamente a quanto si pensa i dati dicono che la caduta di Gheddafi ha diminuito gli arrivi mensili e ciò può essere spiegato dal caos che rende ancora più difficile e pericoloso il tentativo di passaggio dalla Libia.
Utilizzando i coefficienti relativi ad un database ristretto solo ai paesi di provenienza per i quali l’attività dell’organizzazione criminale è stata accertata (la Central Mediterranean Route), abbiamo stimato che le operazioni militari hanno portato mediamente circa 1.140.000 € in più al mese alle organizzazioni criminali che si occupano del traffico di migranti (circa 13 milioni su base annua).
Tali risultati ci sembrano coerenti con quanto la teoria economica insegna con riferimento ai prodotti o servizi la cui domanda è rigida e la quantità è scarsamente influenzata dalle variazioni di prezzo, come spesso capita a tutto ciò che è illegale o proibito (la droga, per esempio). Le strategie che cercano di ridurre l’offerta di questi beni attraverso il contrasto ai criminali può risultare in un aumento del prezzo e in un maggiore guadagno per questi ultimi, con una riduzione non sufficiente nelle quantità.
A tale sforzo va affiancato quello, più efficace nell’estirpare la radice del male, che si concentra sulla riduzione della domanda. Nel nostro caso questo significa una gestione della domanda direttamente nei paesi d’origine escludendo del tutto gli intermediari criminali e contingentando i flussi gestendoli con criteri umanitari ed efficienti. Come riuscirci? Nessuno degli autori è in grado di dirlo: due si limitano a dare i numeri e uno prova a trovare e fare arrestare e condannare i criminali che sulla disperazione dei migranti stanno costruendo la loro ricchezza.
La risposta tocca, come sempre, alla politica che però dovrebbe seguire il consiglio di Einaudi e cercare di “conoscere per deliberare” tralasciando i facili populismi e non cavalcando le comprensibili paure degli elettori. L’intento di questo lavoro è proprio questo, fornire un contributo al processo caratterizzante una democrazia deliberativa.
Twitter @CarloAmenta1