categoria: Draghi e gnomi
Banche e garanzie, il precedente del 2012 e alcune considerazioni
In un tranquillo e caldo pomeriggio di fine giugno, dopo alcuni giorni di non nuove polemiche a distanza tra Italia e Germania (e paralleli con la prossima sfida di calcio agli Europei) il sito del Wall Street Journal pubblica la notizia che domenica scorsa il governo Italiano ha ottenuto il via libera dalla Commissione Europea ad erogare, nel caso fosse necessario, garanzie pubbliche a favore delle banche nazionali per l’ottenimento di liquidità aggiuntiva.
Secondo quanto riportato dal Sole 24 Ore l’esecutivo comunitario ha confermato l’autorizzazione ma al momento non ci sono dati ufficiali sull’entità. È quindi difficile avere un quadro completo della vicenda, ma per l’attendibilità della fonte che ha per prima diffuso la notizia, e per il fatto che questo tipo di operazioni non è la prima volta che vengono autorizzate, è possibile definire alcune caratteristiche principali dell’intervento:
1 – La durata, come avvenuto negli altri casi, è di 6 mesi. La Commissione ha generalmente legato tale termine alle condizioni sui mercati che hanno giustificato l’adozione dell’intervento e quindi, se le perturbazioni dovessero permanere, è ipotizzabile che possa andare anche oltre la fine di quest’anno. In Grecia, ad esempio, lo schema di garanzia pubblica introdotto nel 2009 è ancora in essere, rinnovato di volta in volta.
2 – L’importo è indicato in 150 miliardi di euro, una cifra superiore al 9% del Pil. Cifra che è di gran lunga superiore a quella autorizzata nel 2008 (40 miliardi) e nel 2012 (80 miliardi).
3 – Le banche che possono aver accesso alla garanzia devono essere banche solventi, banche cioè che rispettano i requisiti di patrimonializzazione richiesti.
4 – La tipologia di garanzia riguarderà gli strumenti emessi da parte delle banche richiedenti al fine di procurarsi liquidità aggiuntiva, attraverso emissione di bond, o swap di liquidità tra istituzioni finanziarie, o ottenimento di prestiti da terze parti. Riguarderà quindi il passivo dello stato patrimoniale delle banche e non l’attivo (per il quale invece sarebbero dovute intervenire le cosiddette GACS).
5 – È inoltre presumibile che, per non configurare aiuto di Stato, le garanzie debbano essere offerte a condizioni (e quindi prezzi) di mercato.
Questo, per il momento, è quello che ci è dato di sapere e credo che possa essere abbastanza per poter fare alcune considerazioni preliminari, partendo innanzitutto dal nodo che, da un po’ di anni, mina la stabilità del nostro sistema finanziario: i crediti deteriorati.
La misura non cura, non affronta, la risoluzione dei crediti deteriorati. La partita delle sofferenze, e più in generale dei crediti deteriorati, riguarda problemi di patrimonializzazione/solvibilità delle banche. Lo schema di garanzia pubblica di liquidità incide invece sulle difficoltà di finanziamento delle banche. Distinguere tra solvibilità e liquidità è a volte, soprattutto nelle fasi di stress dei mercati, molto complicato e può capitare che istituzioni finanziarie con problemi di liquidità si dimostrino successivamente, proprio a causa di questi problemi, insolventi (come ad esempio nel caso di istituti che dovendo vendere assets illiquidi, o che in quel momento non hanno mercato, si trovino a registrare forti perdite su tali attivi).
Ma nel caso specifico italiano, in cui numerose banche, soprattutto di grandi dimensioni, hanno problemi di patrimonializzazione legate alle sofferenze in bilancio (che se immediatamente valutate a prezzi di mercato potrebbero in alcuni casi dimostrarle insolventi), la misura non risolve il problema. Le sofferenze possono essere affrontate solo con misure di rafforzamento patrimoniali che permettano di assorbire le perdite di una loro svalutazione verso livelli di mercato. Oppure facendole “decantare” nel tempo, coprendole di esercizio in esercizio con gli utili (eventualmente) generati. Soluzione, quest’ultima, estremamente lunga e dannosa per il sistema complessivo, ma che al momento non pare avere molte altre alternative, stante la volontà di numerosi vecchi azionisti di non vedersi diluita la relativa quota di partecipazione e la volontà della Commissioni Europea di non autorizzare interventi “a babbo morto” per coprire con i soldi pubblici le perdite in bilancio legate ai crediti deteriorati. Anche il cosiddetto rischio di “bail-in” non viene interessato da queste forme di garanzia pubblica, perché appunto riguarda il rischio della risoluzione di banche insolventi.
Allora ci possiamo chiedere a cosa possa servire una misura del genere. Per fare delle ipotesi è, a mio avviso, opportuno ricordare come l’ultima volta è stata utilizzata questa forma di garanzia. Molti forse non lo ricorderanno, o forse trattandosi di questioni tecniche non hanno approfondito l’argomento, ma giova ricordare che nel 2012, secondo i dati pubblicati dalla Commissione Europea, l’Italia era il Paese che più di ogni altro stava utilizzando queste forme di garanzia (tabella 1):
L’utilizzo che ne veniva fatto, secondo alcune ricostruzioni, aveva essenzialmente il compito di dotare le banche di strumenti finanziari che la Bce potesse accettare come collaterale in modo da accedere ai prestiti Ltro. La liquidità ottenuta sarebbe così servita per partecipare alle sottoscrizioni (ed a acquisti sul mercato) di debito pubblico in modo da alleviare le forti tensioni sui rendimenti dei titoli di Stato. Lo scopo delle garanzie era quindi legato alla necessità di rifornire il sistema bancario di sufficienti collaterali per accedere ai finanziamenti della Bce (e poi indirettamente contrastare l’innalzamento dello spread).
È probabile che anche questa volta la misura serva a fronteggiare la possibilità che alcune banche, non necessariamente tutte, si trovino nella situazione di non aver sufficienti collaterali per accedere alle operazioni di rifinanziamento della Banca Centrale. È da notare infatti come, a fronte di acquisti di titoli pubblici da parte della Banca d’Italia per 147 miliardi di euro, la liquidità in eccesso nel sistema italiano è essenzialmente pari a zero, perché, come abbiamo visto, è defluita dall’Italia attraverso l’Eurosistema. Le operazioni di Pspp condotte in Italia hanno drenato asset collateralizzabili presso la Banca Centrale senza fornire però liquidità aggiuntiva e se la cosa dovesse andare avanti ancora in questo modo, magari accentuata dalle recenti turbolenze sui mercati e ricerca di safe asset, non si può escludere che, anche se non in condizioni di insolvenza, alcune banche abbiano problemi di liquidità.
È quindi un problema che, come abbiamo visto anche in altri post, discende dalla frammentazione del mercato finanziario della zona euro. La liquidità immessa nell’Eurosistema si è fino ad oggi concentrata nei Paesi core della zona euro e lasciato a secco le economie periferiche. Basti pensare che il saldo negativo della Banca d’Italia verso l’Eurosistema ha superato i 260 miliardi, prossimo ormai al suo record storico.
Però, se vogliamo fare un completo parallelo con quanto avvenuto nel 2012, giova ricordare i problemi di “reputation” che l’utilizzo dei prestiti Ltro (e di converso alle garanzie pubbliche) hanno generato per alcune banche. Infatti, accedere a prestiti straordinari o particolari forme di garanzie può andar bene e non provoca problemi di reputazione se tutto il sistema ne fa uso, ma dal momento in cui alcune banche ne fanno uso ed altre no, si genera un meccanismo di riconoscimento delle realtà più in difficoltà, ed un peggioramento della loro reputazione sui mercati. Tanto che poi le stesse banche, anche se con enormi difficoltà, hanno tutto l’interesse a non utilizzare più lo strumento.
È ipotizzabile, quindi, che se non individuato come strumento di sistema (utilizzato indistintamente da tutte le banche) anche questo nuovo intervento di garanzia sia rifiutato dalle singole banche che non siano proprio sull’orlo del collasso.
E se veramente fossero sull’orlo del collasso una semplice linea di liquidità aggiuntiva potrebbe non esser sufficiente.
Twitter @francelenzi