categoria: Vendere e comprare
Perché Microsoft entra nel mercato della marijuana
Perché Microsoft ha deciso di entrare nel mercato della marjiuana? Nelle sedi del colosso tech, a partire da quella italiana di Segrate, si faranno crescere i dreadlock? Coltiveranno “maria” nelle aiuole aziendali? Costruiranno un tempio rastafariano? No. L’unica ragione per cui Microsoft è entrata di prepotenza nel business sono i soldi. Prima di tutto, quindi, inquadriamo il mercato.
Stando a una ricerca di Arcview Market Research, si stima che il mercato della marijuana legale, nei soli Stati Uniti, raggiungerà nel 2016 quota 7,1 miliardi di dollari (se questo è il valore di quello legale fatevi i conti su quello illegale… se ci riuscite). Una crescita di circa il 25% rispetto all’anno precedente.La ricaduta economica di questo mercato è diretta per gli stati: le tasse “verdi” raccolte nel solo Colorado per l’anno fiscale 2014-15 ammontano a 70 milioni di dollari. Circa il doppio dei guadagni statali ottenuti tassando le vendite di alcool. Nel 2015-16, sempre stando ad Arcview, il Colorado stima di raccogliere circa 135 milioni di dollari. In un periodo in cui ogni stato ha deficit di bilancio, sostanzialmente impossibilitato ad alzare le tasse, per evitare, specie in questo anno di elezioni, il malcontento, questa “manna verde” è una benedizione.
Ma perché ora? Esistono vari “miti” legati a grandi complotti per mettere fuori legge (quasi un secolo fa) questa pianta. I tre grandi settori industriali, secondo queste leggende, furono quelli della carta (in particolare il gruppo Hearst) che non vedeva di buon occhio la canapa per produrre carta (essendo in ottimi affari con i produttori di polpa di legna per uso cartiero), della chimica (Dupont in particolare) e del tabacco (che si dice, temeva la concorrenza della marijuana).
Oggi il mondo della carta per giornale è manifestamente in difficoltà, penalizzato dal boom delle informazioni online. Il mondo del tabacco è anch’esso sotto forte pressione. Ancora si salva il mondo della chimica. Forse a causa del venir meno dei suoi antichi nemici, o di un semplice scenario “domanda offerta”, la marjiuana è ormai legale, per uso terapeutico e ricreazionale, in molti stati americani. Come ogni settore industriale in crescita gli investimenti non mancano. Per prime ad accorgersi del nuovo oro verde sono state le startup americane della Silicon Valley.
Rinominati ironicamente “ganjapreneurs” i nuovi imprenditori stanno avendo uno sviluppo stupefacente (nel business, intendo). “È una rara combinazione di elementi: abbiamo le conoscenze agricole adatte, un prodotto fisico facile da utilizzare, rinato nell’era digitale”, ha detto Steve Albarran, co fondatore e Ceo di Confident Cannabis, una startup che supporta lo sviluppo di uno scenario economico di tracciabilità e trasparenza per la marijuana legale.
Uno dei nodi gordiani da sciogliere, in qualche modo, è proprio la tracciabilità. La produzione è cosa nota. I vari usi egualmente noti (oltre a quello ricreativo e medico già menzionati). La vera partita da miliardi di dollari è come poter tracciare il prodotto dal coltivatore al consumatore lungo tutta la filiera. Assicurarne la qualità, che la produzione sia legalmente certificata, e non ultimo, che ognuno paghi la sua fetta di tasse al governo.
Perché alla fine della partita la “maria” è un fatto di soldi, più precisamente di tasse. “Rendila legale e la puoi tassare. Tassala e lo stato te la fa vendere”, un concetto semplice a cui tutte le startup stanno puntando. La rapida proliferazione di dati connessi alla marjiuana legale implica una domanda crescente di elaborazione degli stessi dati per “trasformare” la merce da illegale a legale.
Per esempio non esiste un unico punto di vista sul concetto di “qualità” quando si discute di “maria” legale. Sia il Dipartimento dell’agricoltura (USDA) che la FDA non hanno degli standard efficaci. Non esistono standard industriali per i controlli di qualità, nessuna assicurazione che si possa ottonere quello che si vuole ottenere.
Prima di legalizzare il prodotto in Colorado, per esempio, solo tre ceppi di marijuana (su circa un centinaio) erano stati geneticamente sequenziati. Ora il numero è aumentato a dismisura e la mole di dati disponibile non può essere gestita da un piccolo business, è necessario un approccio macro, con player industriali strutturati. Confident Cannabis è una delle numerose startup basate sulla tecnologia SaaS (software as a service) che sta lavorando per rendere più facile ai produttori e ai laboratori misurazione, tracciamento e condivisione delle informazioni sul prodotto.
Stando alle ricerche di mercato effettuate dall’istituto Pew, il 53% degli americani è favorevole alla cannabis legale (una ricerca Gallup si assesta sul 58%). E la legalizzazione è il prossimo passo che tutti i nerd americani (sia chi la fuma sia chi la vuole vendere) sperano di vedere. Il prossimo successo nell’industria medica, con buona pace di Big Pharma, che potrebbe non digerire bene la cosa.
Il sito di startup e investimenti Angel List ha tracciato poco più di 450 startup attive nel settore, negli ultimi anni.
Delineato questo scenario, appare stupefacente che il colosso di Redmond non si sia lanciato prima in questo mercato. Come si può leggere in una delle poche news che non han “giocato” con la notizia, Microsoft ha deciso di dedicarsi con maggior fervore al mondo medicale. La scelta di posizionarsi come leader della tracciabilità, della marijuana “seed to sale” (come diremmo noi dal produttore al consumatore), può essere una mossa vincente.
E noi italiani? La cannabis terapeutica, a quanto pare, si usa anche qui. E a latere del nuovo laboratorio militare che ne produrrà, si stima, circa 50 tonnellate, alcune regioni, come l’Abruzzo, han cominciato a chiedere la loro fetta di “maria legale” (forse anche in Abruzzo han bisogno di qualche momento ricreativo). È in discussione alla Camera un progetto per la legalizzazione della produzione e della vendita. Una discussione lunga e elaborata, come si può desumere dalle note riportate nel link.
Detta in soldoni la marijuana legale, con tutto il percorso di certificazione, produzione, vendita e non dimentichiamoci tassazione, conviene all’Italia? Stando ai dati dell’Istat (di un paio di annetti fa) il mercato illegale, secondo stime conservatrici, si aggira sui 10 miliardi di euro. Una coltivazione con un approccio simile a quello che stanno facendo in America (non dimentichiamoci, l’America conservatrice, mica parliamo della Colombia…) porterebbe nelle casse dell’Erario (via tasse lungo tutta la filiera) numeri di tutto interesse.
Non è ancora chiaro se la nuova legge passerà, ma è probabile che dovremmo chiedere aiuto a Microsoft. Dopo tutto se il colosso di Redmond è entrato nel business della maria non lo ha fatto per farsi una canna ma per fare soldi. E non ci vuole molto ad immaginare che tra un poco a Washington, oltre ai lobbisti di armi, cibo, pharmacom, vedremo anche i lobbisti della cannabis. Si sa come va a finire, spesso: quando una cosa è di moda in America, prima o poi arriva anche in italia.
Twitter @enricoverga