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Perché i risparmiatori italiani pagano un conto più salato e come possono consolarsi
Un approfondimento, contenuto nell’ultimo bollettino economico della Bce osserva l’effetto dei tassi bassi sui ricavi netti da interesse per le famiglie. Scorrendolo acquisiamo diverse informazioni – alcune delle quali era facile immaginare – e ne possiamo dedurre altre.
Partiamo da un principio generale: una politica di bassi tassi di interesse favorisce i debitori e svantaggia i creditori. I primi perché possono prendere a prestito risparmiando, i secondi perché devono contentarsi di dare a prestito ai tassi che offre il mercato, ricordando che chi vuole un maggior rendimento deve rischiare di più.
Questa premessa ci consente di apprezzare meglio il dato aggregato diffuso dalla Bce. “I guadagni da interesse delle famiglie sono diminuiti del 3,2% del reddito disponibile dall’autunno del 2008”. Tale risultanza si può osservare in un grafico che illustra da una parte il net interest income, ossia il saldo fra gli interessi attivi e passivi della famiglie europee, e dall’altro la scomposizione per paesi di queste due voci di interessi. Va sottolineato che quest’analisi “esclude gli effetti dei tassi più bassi veicolati dagli investimenti su fondi pensione e assicurazioni sulla vita dei capital gain sui bond di lungo termini e l’equity”.
E così, si vede, il net interest income è rimasto sostanzialmente stabile in questi ultimi anni, come è logico che sia, poiché si tratta di un saldo fra gli incassi degli interessi attivi e il pagamento degli interessi passivi, che hanno seguito lo stesso trend declinante man mano che la Bce implementava le sue politiche. Ma questo dato trascura un piccolo dettaglio: i risparmiatori hanno dovuto affrontare più rischi di quanti ne affrontassero prima. Il 2% di interest earning sul reddito disponibile realizzato a fine 2014, insomma, oltre a non avere precedenti almeno a far data dal 2002, incorpora un rischio sicuramente maggiore di un investimento che garantiva il 2% dieci anni fa.
Il secondo grafico entra nel cuore del QE. Le famiglie italiane hanno visto diminuire di quasi il 5% sul reddito i guadagni da interessi attivi. Al contempo il calo dei pagamenti sugli interessi passivi – e quindi il risparmio su tale voce di costo – è inferiore al 2%. Il saldo, quindi, è stato ampiamente negativo. Ciò dipende dalla conformazione media dei bilanci delle famiglie italiane che sono poco indebitate, rispetto alla media europea, e hanno, sempre in media, rilevanti attivi finanziari. In sostanza, la tosatura dei risparmiatori/creditori ha funzionato da noi più che altrove. E il caso spagnolo, che sta nella situazione opposta alla nostra, lo spiega bene. Laggiù le famiglie hanno risparmiato quasi il 5% sugli interessi passivi e hanno perso poco più del 3% sugli interessi attivi.
Tutto ciò ha provocato che “il net interest income del settore delle famiglie sia rimasto stabile in Francia e Germania, ma meno in Italia e Spagna”. Altri due grafici, che misurano la quantità di attivi e passività delle famiglie nei principali paesi motivano questi andamenti.
Quello che vale per il settore privato, tuttavia, vale anche per il settore pubblico, del quale però la Bce non parla nel suo approfondimento. È evidente, tuttavia, che l’Italia, sempre per restare in casa nostra, grande debitrice a livello pubblico, ha avuto sicuramente più giovamento dai tassi bassi rispetto ad altri paesi. Le famiglie quindi possono consolarsi pensando che la tosatura che hanno subito ha avuto come contraltare un maggior risparmio dello stato nella spesa per servire il proprio debito pubblico.
Complessivamente il giudizio della Bce è positivo. “Nonostante i minori incassi da guadagno per interessi, i tassi bassi continuano a supportare il consumo”, Inoltre, “poiché la media euro del net interest income per le famiglie è rimasta stabile, i tassi bassi hanno principalmente redistribuito risorse dai risparmiatori ai debitori netti”. Quindi si conferma che la politica monetaria non è neutra relativamente alla distribuzione del reddito. E poiché i debitori hanno una maggiore propensione al consumo, ciò, conclude la Bce, ha aumentato la domanda aggregata.
Chi ha pagato il conto può anche consolarsi pensando di averlo fatto nel comune interesse.
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