Sud Italia vs. Germania Est, i punti di contatto e i passi da compiere

scritto da il 09 Giugno 2016

Da poco più di un mese su questi pixel si susseguono post di diversi autori che delineano alcune proposte concrete per rivitalizzare il Mezzogiorno italiano.

Anche al Festival di Trento, concluso da qualche giorno, si è parlato di Sud, a più riprese. Almeno tre eventi del programma hanno riguardato principalmente il Meridione. Due di questi hanno avuto ad oggetto un confronto tra le esperienze del Sud Italia e della Germania dell’Est post-riunificazione, mentre un terzo – a cura dell’associazione SVIMEZ – ha invece riguardato un’interessantissima analisi economica, sociale e politica delle cause del ritardo meridionale rispetto al resto del Paese.

Cercherò di dare brevemente seguito a questo mio post con alcune delle riflessioni emerse durante gli incontri riguardanti la difficile comparazione con la Germania orientale.

Est Ovest Nord Sud

Protagonisti di questo incontro sono Gianfranco Viesti e Michael Burda (per comodità non indicherò i vari titoli accademici degli autori citati), con il compito di raccontare le rispettive esperienze nazionali, aventi forti disparità territoriali.

Viesti inizia il suo ragionamento (qui le slide) con alcuni passaggi storici sui divari tra le regioni italiane dall’unità in poi, che si formano con la prima industrializzazione e si sono ridotti solo negli anni del miracolo economico (1951-1975), mentre hanno ripreso ad aumentare in maniera preoccupante negli anni recenti della crisi e delle misure di austerità (che, secondo Viesti, è stata maggiore al Sud rispetto al resto del Paese a causa di un aumento della pressione fiscale locale e di una diminuzione della spesa pubblica corrente e in conto capitale).

Tra le varie cause del ritardo evidenziate, il relatore si sofferma sulle distanze in termini di popolazione con istruzione universitaria che al Sud si ferma al 20,4% per la fascia di età 30-34 (Media IT 25,3% – GER 32,3%)  e al 14,9% per la fascia 25-64 (Media IT 17,6% – GER 27,6%). Sempre sul tema dell’istruzione e della ricerca, il Sud è indietro nella spesa (in % del Pil) per R&D e nell’investimento pubblico pro-capite per l’istruzione universitaria (€ 99 contro i 117 del Nord e i 332 della Germania).

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Un altro punto di riflessione dell’analisi riguarda l’integrazione economica del Paese che, seppur generalmente positiva, penalizza parzialmente il Sud rispetto al Nord. Infatti, se da un lato i servizi pubblici che il Meridione riceve sono maggiori del gettito fiscale che riesce a ricavare, dall’altro l’incidenza (in % del Pil) degli scambi commerciali fra Mezzogiorno e Centro-nord dimostra che il Sud importi più di quanto riesca ad esportare, mentre avviene l’opposto a parti invertite. Sul finire il relatore evidenzia la mancata attenzione rivolta alla distribuzione territoriale nel ridisegno dell’intervento pubblico, un argomento trattato al Festival anche da Fabrizio Barca.

Dopo il quadro negativo dipinto da Viesti, la parola passa a Michael Burda che ha il compito di raccontare quello che, a detta di molti, è stato il miracolo della Germania dell’Est. Burda ci tiene innanzitutto a precisare che non ritiene direttamente comparabili il Sud Italia con la Germania dell’Est, la quale rappresenta un unicum estremo e radicale.

Alla caduta del Muro di Berlino i salari dei lavoratori orientali corrispondevano a meno del 10%  rispetto a quelli dell’Ovest e questo ha causato rapidamente il trasferimento di più di un milione di persone verso la parte più ricca del Paese riunito. Poi, tutto è cambiato. Per darne una percezione, il tasso di “felicità” (Life satisfaction) nella Germania dell’Est è passato dal 15% del 1991 al 59% del 2014, vicino al 61% dell’Ovest. Ma non è tutto oro quello che luccica. Se da un lato si ravvisano convergenze per ciò che concerne salute e consumi, dall’altro sussistono ancora distanze nei confronti dell’Occidente in termini di salari e produttività.

Si arriva quindi alle riforme del mercato del lavoro, tema sempre caldo. Burda mostra come le riforme tedesche hanno comportato una maggiore flessibilità, aumentando però le disuguaglianze salariali. Misure dure, poi mitigate (più recentemente) dalla fissazione di un salario minimo più alto. Di contro, la maggiore flessibilità ha causato, dopo la riforma Hartz nel periodo 2003-2010, un significativo aumento dell’occupazione full time (oltre a un boom dei part-time) nella classe lavorativa avente salari più bassi, sia ad Ovest (+24,6%), sia ad Est (22,7%).

In termini di produttività, come già detto, la convergenza Est-Ovest è invece stata fin adesso minore (nel 2014 rispettivamente 39,56 e 52 €/h), nonostante i molti investimenti pubblici effettuati in favore della Germania orientale. Perché questo ritardo di convergenza nonostante salari più flessibili e ingenti investimenti pubblici? Secondo Burda non è una questione di capitali, né di investimenti, ma dipende dalla cosiddetta Total Factor Productivity (TFP).

Secondo l’analisi econometrica di Burda e Battista Severgnini [1] la mancata convergenza non dipende dall’intensità di capitale, che è maggiore ad Est, ma piuttosto riguarda la tecnologia, la distanza geografica dalle frontiere, la spesa in R&D. Inoltre, gli autori evidenziano robusti risultati per una positiva correlazione tra la crescita di TFP e la presenza sul territorio di un’alta densità di manager e di talenti altamente qualificati. Su tale ultimo aspetto troviamo delle analogie con l’argomento del  “capitale umano” di cui ha parlato Enrico Moretti e con l’importanza della spesa per istruzione universitaria citata da Viesti.

Divari territoriali e contrattazione: quando l’eguale diventa disuguale 

Nel pomeriggio del 3 giugno altro evento (qui il video) avente ad oggetto il Sud Italia e la Germania dell’Est a cura di Andrea Ichino, presentato da Roberto Mania. L’oggetto è uno studio effettuato dallo stesso Ichino insieme a Tito Boeri ed Enrico Moretti.

La ricerca parte da alcune premesse di fondo sul divario Nord-Sud: il Nord è maggiormente produttivo rispetto al Sud, ma l’uguaglianza dei salari nominali non consente degli aggiustamenti a tal proposito. Questo rappresenta la fonte di alcuni squilibri, come la maggiore disoccupazione al Sud e l’eccessivo prezzo delle case al Nord dove il salario reale è più basso. Un equilibrio non fisiologico, ma patologico.

Schermata 2016-06-09 alle 12.15.40La situazione nella Germania riunificata – secondo gli autori – è diversa, essendo consentiti degli aggiustamenti salariali (evidenziati anche da Burda) attraverso delle cosiddette “opening clauses”. Di conseguenza i salari nominali e reali sono più alti ad Ovest, mentre sono minori le differenze sui prezzi delle case e sui tassi di occupazione. Nell’analisi dei dati provinciali, il primo esempio che viene citato riguarda Milano e Ragusa. Nel capoluogo lombardo – a parità di condizioni – un impiegato di banca ha un salario nominale maggiore del 7,5% rispetto a quello siciliano, ma il suo salario reale è più basso del 27,3%. Per compensare questo squilibrio il salario nominale a Milano dovrebbe essere maggiore del 37%. L’esempio tedesco è invece tra la provincia dell’Ovest Baden-Wuerttemberg e quella dell’Est Mecklenburg-Vorpommern. Nella prima i salari nominali sono il 65% più alti rispetto alla seconda, ma anche i salari reali sono molto maggiori (56%).

Ancor più rilevanti le differenze sul salario di un dipendente pubblico, che per riflettere le differenze del costo della vita dovrebbe essere – nel caso di un insegnante – più alto del 48% a Milano rispetto a Ragusa (ecco perché attualmente migliaia di dipendenti pubblici meridionali che hanno trovato lavoro al Nord richiedono di essere trasferiti al Sud). Squilibrio non rinvenuto in Germania.

In estrema sintesi, il quadro attuale presenta una situazione che avvantaggerebbe veramente solo chi ha un lavoro al Sud e chi è proprietario di casa al Nord.

Brevi riflessioni conclusive

Per chiudere il cerchio, tra le domande rivolte ad Ichino al termine della presentazione ve ne è una che proviene dallo stesso Michael Burda seduto in prima fila e che chiede sostanzialmente “ma perché non c’è capital mobility verso il Sud? perché non ci sono investimenti?”. Ichino risponde sostenendo in primo luogo che un modello non può prevedere tutto (ma senza escludere la possibilità di allargarlo in futuro), mentre in secondo luogo che la mancanza di investimenti potrebbe derivare da tanti altri fattori capaci di tenere lontane imprese e investitori , come la presenza di mafie o l’inefficienza della pubblica amministrazione.

Concludendo, è interessante notare che le proposte evidenziate non sono alternative tra loro, ma potrebbero anche cumularsi. Di certo quelle di Viesti dovrebbero godere di un maggior favore popolare, ma nascondono il rischio intrinseco di alimentare ancora corruzione, mafia e voti di scambio. Di contro quelle di Ichino-Boeri-Moretti, seppur potrebbero porre rimedio ad alcune distorsioni innegabili, causerebbero una reazione spontanea di chi al Sud un lavoro ce l’ha, senza provocare una reazione uguale e contraria delle vittime dell’attuale sistema (i giovani disoccupati del Sud), poiché – quasi sicuramente – questi ultimi fanno parte di un nucleo familiare che sarebbe direttamente interessato da una indesiderata riduzione salariale.

Quello che emerge nella comparazione con la Germania Orientale, anche alla luce della relazione di Burda, è che sussiste in ambedue le aree un ritardo di produttività che non dipende dall’ammontare delle risorse stanziate come si è soliti sostenere (seppur ingenti in Germania), né da un superamento del salario unico nazionale, il quale potrebbe avere invece positivi effetti sull’occupazione come avvenuto in terra tedesca. Da qui discende l’esigenza di puntare sull’aumento della TFP, investendo su quei settori chiave come l’istruzione, l’innovazione tecnologica, la spesa in R&D, le infrastrutture, la lotta all’illegalità diffusa, l’efficientamento della PA e la crescita del capitale umano (manager e non solo).

Il percorso è lungo, non esistono soluzioni uniche e risolutive, ma se si hanno chiari gli obiettivi anche dei piccoli passi sono importanti (purché non siano quelli del gambero).

Nel frattempo, mentre a Trento si discuteva di tutto questo, nel Mezzogiorno si chiudevano le campagne elettorali per le elezioni amministrative. C’è da dubitare che gli argomenti trattati siano stati i medesimi.

Twitter @frabruno88

 

[1] Burda M., Severgnini B., TFP Convergence in German States since Reunification: Evidence and Explanations.