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Perché per migliorare il mondo abbiamo bisogno dell’impact investing
Il rischio di una iniziativa economica dipende pesantemente da quanto quello che si va a fare è già noto. Tanto più ci si avventura in attività nuove tanto più cresce il rischio che si corre. Il problema è che è difficile difendersi da un meccanismo del mercato che prevede che quel che si è imparato facendo le cose poi venga replicato dai competitor che entrano nel mercato, i quali a un certo punto si ritrovano in mano gran parte dei benefici derivanti dall’apprendimento senza averne pagato i costi e senza essersene assunti i rischi. Il risultato complessivo è che gli operatori economici mediamente stanno alla larga da molti tentativi rischiosi di creare qualcosa di nuovo.
Rimangono quindi solo quelle attività che creano barriera di entrata con la crescita. In questo caso vince chi ha iniziato prima, se opportunamente capitalizzato e capace di far crescere la propria iniziativa prima che diventi generatore di cassa (molto più importante della profittabilità, all’inizio). Tesla, SpaceX e Hyperloop sono esempi significativi di tentativi nuovi che creano barriere all’entrata mano a mano che crescono. A volte sono barriere dovute anche alla cultura aziendale creata o alla leadership che in esse agisce.
Ma osservata dal punto di vista della collettività, questa mancanza di “sperimentatori” ad alto rischio mediamente peggiora la vita di tutti. La nostra società ha bisogno di molti più rischi di quanti se ne stiano prendendo gli operatori economici. Dobbiamo trovare un modo per rendere praticabile una generazione continua di molti fallimenti a fronte di pochi, grandi, successi, che però cambiano il mondo da lì in avanti. E quindi hanno un impatto complessivo largamente superiore ai molti fallimenti.
Il meccanismo di incentivazione e disincentivazione principale alla base dell’iniziativa imprenditoriale accettato fino a oggi sono i guadagni – se ti va bene – e le perdite – se ti va male. Poiché è ultra-noto che la reazione ai due fenomeni è totalmente asimmetrica (le persone soffrono molto più per le perdite di quanto godono per i guadagni) questo meccanismo produce una distribuzione di profili di rischio degli imprenditori fondamentalmente risk adverse.
Il secondo meccanismo che agisce è quello secondo cui se un imprenditore ha successo aumenta il proprio capitale (non solo finanziario, ma anche relazionale, reputazionale, ecc.) e quindi ha maggiore possibilità di successo futuro rispetto a chi ha fallito.
Ipotizziamo per un attimo l’eliminazione completa delle perdite in caso di fallimento, per esempio con il finanziamento delle iniziative interamente a carico di un un fondo: il profilo di rischio dell’imprenditore si sposterebbe tutto sul lato del “tentare a ogni costo”, eliminando la normale autocensura dettata dal buon senso e dalla naturale paura del fallimento.
Per questo c’è bisogno di un operatore finanziario che abbia un profilo di rischio molto alto, meno interessato rispetto agli operatori privati classici ai ritorni sul capitale, che abbia una forte dose di imprenditorialità e abbia una propensione a creare valore per l’intera società. Questi operatori sono a mio parere coloro che lavorano nel mondo dell’impact investing.
Innanzitutto i capitali dati a questi fondi di impact investing per investire vengono tipicamente tolti ad allocazioni più vicine alla beneficenza (o al “divertimento imprenditoriale” di persone ricche) che agli investimenti for profit.
C’è una scelta di fondo molto chiara e forte: l’azienda è lo strumento più efficace per cambiare il mondo. Più efficace di associazioni, Ong, cooperative o lo Stato, perché per sua natura vuole creare prodotti e servizi replicabili che conquistino il mondo. Se funziona il prodotto e viene venduto, altri capitali, questa volta anche alla ricerca di profitti, intervengono rendendo più veloce la crescita e la penetrazione nella società.
Poiché mediamente è più difficile far funzionare queste iniziative economiche rispetto a quelle for profit, la qualità del management deve essere altrettanto buona o addirittura migliore. Quello che si osserva molto spesso in queste persone è un orientamento etico ed emotivo molto forte al miglioramento del mondo, che supera la ricerca di remunerazioni o capital gain molto alte.
Quindi, la nostra società ha bisogno che una quota dei capitali di persone abbienti vengano investiti in attività ad alto rischio, orientate ad avere un forte impatto sulla società se hanno successo e accettando un ritorno medio sugli investimenti basso o negativo. Il fatto che dietro non ci sia lo Stato ma investitori privati, tipicamente capaci di gestire i propri investimenti, crea un meccanismo di check-and-balance importante.
Ecco perché occorre moltiplicare le risorse investite in queste attività e creare un gruppo di imprenditori e manager capaci di lavorare in questa nuova asset class.
Twitter @lforesti