categoria: Sistema solare
I (troppi) risparmi europei emigrano negli Usa e fuggono dagli Emergenti
La buona notizia è che il risparmio nell’eurozona continua a crescere, del 6,5% a fine 2015 rispetto al +5,3% di fine 2014. Quella meno buona è che non trovando evidentemente impieghi migliori in casa, finisce sempre più all’estero, e in particolare nei paesi avanzati, Stati Uniti in testa, mentre continuano a fuggire dai paesi emergenti.
L’ultimo aggiornamento della Bce sull’analisi dei saldi settoriali dell’area conferma una tendenza che avevamo già osservato un paio di mesi fa, che si caratterizza per la sostanziale scomparsa degli investimenti pubblici e una costante eccedenza di risparmio rispetto agli investimenti, che fa dell’eurozona un prestatore netto verso il resto del mondo. Rispetto al febbraio scorso il quadro non è cambiato. Ma anzi, le tendenze di fondo si sono rafforzate. Ciò conferma che sono all’opera forze assai profonde che non sarà semplice frenare o invertire.
Fra quelle più positive se ne segnalano due, in questo aggiornamento riferito al quarto trimestre 2015. La prima è che il livello degli investimenti, sia delle aziende che delle famiglie, continua ad aumentare, anche se a passo di lumaca. La seconda è che il debito, sia delle famiglie che delle imprese, continua invece a diminuire. Tutto questo è visibile su un grafico sul quale si possono osservare entrambe le tendenze, oltre a quella dell’andamento dei prestiti all’estero, che ormai disegna una curva crescente a partire dal 2013. Va osservato altresì che siamo a livelli mai raggiunti prima almeno dal 2007. E ciò malgrado il risparmio netto sia ancora lontano dal livello di quelli anni, quando quotava circa 700 miliardi di euro a fronte dei poco meno di 600 di fine 2015.
Quanto al debito, quello delle famiglie è diminuito sia rispetto al Pil, portandosi alla media del 59,3%, sia rispetto al reddito, al 93,5%. Quello delle imprese, calcolato rispetto al Pil, è arrivato alla comunque ragguardevole cifra del 131,8% del Pil che tuttavia, osservandolo su base storica, rimane comunque un livello ancora assai elevato. E questo forse spiega perché la Bce abbia deciso di alleviare la tensione su questo settore includendo i bond societari nel suo programma di QE.
Un’altra novità inaugurata da questa release statistica è lo schema del who-to-whom, ossia “chi deve cosa a chi”, potremmo dire, quindi la tela delle relazioni che lega i diversi settori (famiglie, imprese non finanziarie, istituzioni finanziarie a istituzioni finanziarie non bancarie, settore pubblico e resto del mondo). Lo schema è complesso, ma facilmente comprensibile se lo osservate. Qui basta rilevare solo un dato: il settore corporate esprime un volume di relazioni economiche inferiore a quello che esprime il resto del mondo. E questo è più che sufficiente per capire perché gli investimenti siano bassi. Chi si domandasse chi siano i destinatari degli investimenti esteri europei, potrebbe trovare un indizio di risposta sfogliando l’ultimo bollettino della Bce pubblicato poche settimane fa. Qui si legge che “i crescenti investimenti di portafoglio in titoli di debito esteri da parte dei residenti dell’area dell’euro si sono indirizzati in larga parte verso le altre economie avanzate nel 2015”.
La parte del leone la fanno gli Stati Uniti, dove si sono diretti il 45% degli investimenti di portafoglio europei del 2015, seguiti dal Regno Unito, con l’11% e gli altri stati dell’Ue fuori dall’EZ, che pesano il 10%, quanto il Canada (10%). Fanalino di coda il Giappone, con il 5%. Rimangono le briciole, ma neanche per tutti. “Sono quasi completamente cessati gli acquisti netti di strumenti di debito emessi da Brasile, Cina, India e Russia”, nota la Bce. Per questi ultimi rimane solo la speranza.
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