categoria: Sistema solare
Il ritorno dello Zimbabwe e quel piccolo problema con le valute complementari
Lo Zimbabwe è tristemente famoso in ambito economico per essere uno degli ultimi paesi ad avere sperimentato un periodo di iperinflazione. Non stupisce quindi che la recente decisione della sua banca centrale di emettere dei dollari “locali” sia stata accolta con curiosità ed anche qualche ironia. Vediamo più in dettaglio di cosa si tratta e di come l’idea sia simile ad alcune che circolano pure nel nostro paese.
Come dicevamo in premessa, nel 2009 terminava nel paese africano un periodo di iperinflazione che aveva reso la valuta nazionale completamente senza valore. Da quell’anno le transazione economiche vengono svolte solamente tramite le valute estere che avevano via via rimpiazzato la sempre più inutile valuta nazionale: al primo posto il dollaro USA (col 90% delle transazioni) seguito dal rand sudafricano e dall’euro ai quali si è aggiunto, negli ultimi tempi, pure lo yuan cinese.
I recenti cali dei prezzi delle materie prime hanno fatto calare le esportazioni dello Zimbabwe, e di conseguenza l’afflusso di valuta estera, portando ad una grave penuria di contanti che sta strangolando la già precaria economia del paese, ancora sofferente dei danni delle lunghe guerre volute da Mugabe e delle sue sconclusionate “riforme” economiche.
Le code agli sportelli bancari e i bancomat vuoti hanno quindi spinto la banca centrale del paese africano ad elaborare una soluzione molto simile a quelle teorizzate da alcuni anche qui in Italia con le varie monete locali o buoni fiscali: in pratica la banca centrale dello Zimbabwe emetterà nei prossimi due mesi “bond notes” cioè note di debito denominate in dollari americani nei tagli da 2, 5, 10 e 20 sollari, però il governatore Mangudya ha evitato di dire come saranno garantiti questi dollari “stampati in casa”.
In effetti è questo il problema principale di tutte le cosiddette valute complementari. Se si afferma che un pezzo di carta vale come un dollaro (o un euro) la domanda spontanea che si fa immediatamente chi le deve accettare in pagamento è “ma perché non mi dai un dollaro (o un euro) vero?” e la risposta non può che essere “perché ora non ce l’ho”. A questo punto lo stato può anche mettere in atto mezzi coercitivi per farli accettare ma sappiamo bene che alla fine avrebbero scarso effetto.
L’incertezza della conversione porterebbe irresistibilmente a valutare il rischio che non accada o, nel caso di un buono fiscale, la sua minore utilità (non si devono pagare solo tasse) e dilazionata nel tempo (oggi devo fare la spesa, le tasse magari le devo pagare fra un anno), e i rischi si “scontano” sul valore nominale. Inoltre in tutti i commerci verso l’estero le controparti vogliono la valuta “originale” che, come si è visto in innumerevoli casi precedenti, porterebbe ad approvvigionarsene sul mercato parallelo, a costi ben diversi che la parità fittizia stabilita dallo stato (si pensi al recentissimo caso del “dólar blue” argentino).
“È una moneta zombie creata sul niente” commenta un certo Fredmore Kupirwa, commerciante di cibo in scatola e bibite gassate dello Zimbabwe “io devo pagare i miei fornitori in dollari e come faccio a riempire di nuovo il mio magazzino se i miei clienti mi hanno pagato con questa stupida valuta? Loro dicono che vale come un dollaro USA, ma come? Un dollaro USA deve essere stampato negli USA non ad Harare. Per me è solo un pezzo di carta, valuta fantasma, senza alcun valore, a meno che Obama di persona non mi dica che è davvero un dollaro.”
Twitter @AleGuerani