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Le probabilità nei prospetti informativi: giusto o sbagliato?
Pubblichiamo un post di Riccardo Tedeschi, senior specialist di Prometeia* e professore a contratto presso l’Università di Bologna –
Di recente anche a seguito del salvataggio delle quattro banche italiane (1) avvenuto nel novembre 2015 il tema dell’informativa ai risparmiatori, un vero e proprio evergreen, è tornato all’attenzione dei media.
Uno dei temi discussi è se i prospetti di offerta di strumenti finanziari al pubblico debbano o meno includere informazioni circa le probabilità di subire una perdita o di conseguire un guadagno, in modo che il risparmiatore possa operare delle scelte più “consapevoli”. Ma arrivare a costruire una stima robusta di tale probabilità è maledettamente difficile, vediamo di capire perché.
L’eterogeneità dei rischi
Le principali categorie di rischio finanziario sono tre: i rischi di mercato, quelli di credito e quelli operativi.
1) I rischi di mercato consistono nella possibilità di subire perdite a causa della variazione dei prezzi azionari o dei tassi di interesse o dei cambi tra valute e in generale dei prezzi di mercato degli strumenti finanziari detenuti.
2) Il rischio di credito consiste nella possibilità di subire perdite perché l’emittente di uno strumento finanziario, ad esempio una obbligazione, diviene insolvente e non è in grado di pagare gli interessi dovuti o restituire il capitale.
3) I rischi operativi sono i rischi di conseguire perdite a causa di frodi o errori umani o a causa di malfunzionamenti di procedure e sistemi informatici.
Le tre categorie possono essere tenute distinte solo per fini didattici e di classificazione, nella realtà concreta dei mercati finanziari i rischi si manifestano spesso in maniera fortemente interconnessa. I fattori di rischio di mercato mutano in maniera continua nel tempo, in aumento ed in diminuzione, al variare della situazione economica a degli sviluppi dei fattori geopolitici che ne rappresentano le principali determinanti.
Il continuo mutamento delle situazioni economiche, sociali e geo-politiche rende instabili le distribuzioni di probabilità dei rendimenti degli strumenti finanziari e rende più difficile la stima della probabilità degli eventi “estremi”: quelli che in termini finanziari comportano le perdite e i rischi maggiori.
Per alcune tipologie di rischi in particolare quelli di credito ed operativi – inoltre esiste una sorta di “oligopolio” delle basi dati informative – da parte degli intermediari finanziari e delle società di rating -che rende assai difficile lo sviluppo e la calibrazione di modelli statistici.
Prevedere le probabilità di rendimenti negativi
Si consideri il caso semplice di un investimento in un fondo azionario specializzato nell’investimento in azioni europee, che chiameremo Fondo Azioni EU. Il rendimento di tale fondo, se questo è ben diversificato, può essere in prima approssimazione rappresentato dall’evoluzione dei rendimenti di un indice azionario europeo quale l’Eurostoxx. In Figura 1 si è riportata la serie storica dell’indice Eurostoxx con passo mensile su un periodo di quasi trent’anni a partire dal gennaio 1987 e fino al marzo 2016.
Figura 1 livello dell’indice Eurostoxx da gen-1987 al mar-2016 (dati mensili)
Un risparmiatore che acquistasse il Fondo Azioni EU sarebbe esposto principalmente al rischio di variazione dei prezzi azionari delle aziende europee, quindi a un rischio di mercato secondo la classificazione prima esposta (2). Per la stima della probabilità di perdita esistono due approcci percorribili: il primo basato sui dati storici dei rendimenti dell’indice Eurostoxx 50 osservati (probabilità storiche), il secondo basato sui prezzi di mercato osservati per alcuni contratti quotati sul mercato che servono a proteggersi dai ribassi di valore dell’indice stesso le c.d. opzioni sull’indice (probabilità di mercato).
Stima delle probabilità con dati storici
Il metodo di stima delle probabilità di perdita basato su dati storici potrebbe sembrare a prima vista oggettivo, perché basato su dati storicamente osservati, ma non lo è affatto. Osservando i dati in Figura 2 si nota che i rendimenti annuali dell’indice Eurostoxx tra il 1987 ed il 2016 sono variati di anno in anno in maniera molto forte da un minimo del -68% ad un massimo del 30%; mentre le volatilità dei rendimenti mensili annualizzate sono variate da un minimo di circa 9% a un massimo del 31%. Nello stesso periodo, le probabilità di conseguire rendimenti negativi – stimate in ipotesi di normalità della distribuzione dei rendimenti – hanno oscillato di in anno in anno in maniera imprevedibile da quasi 1% a circa 99%! (si veda la Figura 3).
Figura 2 Rendimenti e volatilità annuali dell’indice Eurostoxx (da feb-1987 al mar-2016)
Figura 3 Probabilità storiche di avere un rendimento negativo calibrazione su dati annuali dell’indice Eurostoxx (da feb-1987 al mar-2016)
Quale periodo storico occorrerebbe considerare per la stima delle probabilità: 1, 3, 5, 7, 10, 20 anni? A seconda di come viene “tagliata” la serie storica si ottengono risultati molto diversi. Se si obbligassero gli intermediari, ad esempio le SGR che gestiscono fondi azionari, a pubblicare la distribuzione di probabilità con stime basate su dati storici, si aprirebbe un “vaso di Pandora” di stime soggettive.
Stima delle probabilità con dati di mercato
Un secondo approccio per la stima delle distribuzioni di probabilità degli strumenti finanziari si basa sull’uso del valore medio e della volatilità dei rendimenti impliciti nei contratti di opzioni quotati sul mercato. Le opzioni sono particolari contratti che consentono di comprare o vendere azioni a una data futura a un prezzo predefinito e sono strumenti per la copertura dal rischio di mercato.
Per ragioni che non verranno approfondite in questa sede, il valore medio dei rendimenti implicito nelle quotazioni di mercato delle opzioni è pari al tasso cosiddetto risk free (privo di rischio), cioè un tasso in linea coi rendimenti dei titoli governativi o dei depositi interbancari; mentre la volatilità dei rendimenti implicita nei loro prezzi rappresenta le attese che gli operatori di mercato hanno circa la dispersione dei rendimenti futura.
Tuttavia l’uso per diversi strumenti finanziari di un unico rendimento atteso pari al tasso risk-free ha come conseguenza inevitabile quella di penalizzare eccessivamente e senza motivo gli investimenti caratterizzati da alti rendimenti attesi e da alta volatilità degli stessi. Gli investitori disposti a rischiare molto a fronte di una prospettiva di reddito maggiore possono accettare una volatilità dei rendimenti più elevata, in maniera razionale, se ritengono che l’attesa di maggior guadagno sia solida. La forzatura, quindi, di tutti i rendimenti attesi su un unico valore pari al tasso risk-free ha come conseguenza una rappresentazione distorta delle reali probabilità di conseguire rendimenti negativi.
Le probabilità dunque sono inutili?
Nessuno dei due metodi sopra descritti – probabilità storiche o di mercato – può essere considerato del tutto soddisfacente: ognuno presenta vantaggi e alcuni seri svantaggi. L’approccio della pubblicazione di tabelle di probabilità delle distribuzioni dei rendimenti – da usare in fase di collocamento di nuovi strumenti finanziari – non rappresenta un buon punto di sintesi tra comunicabilità e rigorosità di analisi.
Questo vuol dire che le probabilità sono del tutto inutili? No, al contrario.
Gli intermediari finanziari dedicano una gran quantità di tempo e di risorse a quantificare i rischi finanziari a cui sono esposti. Essi si dotano di apposite strutture interne di risk management il cui scopo è quello di stimare: il “valore equo” (fair value) degli strumenti detenuti in proprietà e dalla clientela; e il valore a rischio (value at risk – VaR), cioè il rischio di perdite in termini monetari cui sono esposti ogni giorno con un certo livello di confidenza.
Anche le stime di VaR – soprattutto nelle proiezioni a lungo termine – sono complesse da realizzare e in una certa misura influenzate dal problema dell’instabilità delle distribuzioni dei rendimenti, ma se non altro sono aggiornate di frequente e sono utilizzate dal management degli intermediari per la gestione dei portafogli di attività detenuti.
Occorre dunque fare leva sugli stessi strumenti e concetti di fair value e VaR che gli operatori professionali già usano per finalità gestionali, ma migliorando gli obblighi di trasparenza nei confronti dei risparmiatori per informarli in maniera più chiara di quanto non avvenga oggi circa il valore ed i rischi dei loro investimenti. Sfruttando le possibilità offerte da internet tale informativa può essere fornita quotidianamente, prima e dopo il collocamento.
In ultimo, ma non per questo meno importante, per migliorare la qualità dell’informazione e la solidità delle stime occorre migliorare la disponibilità di basi dati informative. Le autorità di vigilanza – in Europa l’ESMA, la BCE – potrebbero svolgere un ruolo importante in questo senso promuovendo la creazione di basi dati sovranazionali a livello europeo, dedicate ai rischi di credito ed operativi.
Si pensi ad esempio al caso dei tassi di perdita in caso di insolvenza (loss given default – LGD) da cui dipende in modo sensibile la quantificazione dei rischi di credito ed il valore dei crediti deteriorati, oggi tristemente di attualità, per i quali, tuttavia, esistono pochi o nulli dati statistici pubblicamente accessibili.
Tali basi dati potrebbero essere formate con il contributo di tutti gli operatori e i dati aggregati per paese, settore ed area geografica dovrebbero essere liberamente accessibili al pubblico nell’interesse di tutti: investitori, intermediari e risparmiatori.
riccardo.tedeschi@prometeia.com
NOTE
(1) Banca Marche, Banca Popolare dell’Etruria e del Lazio, Cassa di Risparmio di Ferrara e CariChieti.
(2) I ragionamenti svolti di seguito si pongono in maniera simile, ma con gradi di incertezza maggiori per la carenza di dati, anche per le altre categorie di rischi di credito ed operativi; l’esempio è quindi utile a scopo didattico.
*Le opinioni riportate nel post sono esclusivamente dell’autore ed esulano dalla responsabilità di Prometeia