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Quel 24 marzo di 37 anni fa. L’attacco politico-affaristico-giudiziario alla Banca d’Italia
A 37 anni dagli eventi possiamo ancora sostenere che il 24 marzo 1979 sia un giorno nero per la storia italiana. Paolo Baffi, governatore della Banca d’Italia e Mario Sarcinelli, vicedirettore generale con delega alla vigilanza, in modo pretestuoso e grottesco vengono accusati dalla Procura di Roma di interesse privato in atti d’ufficio e favoreggiamento personale per non aver trasmesso all’autorità giudiziaria le notizie contenute in un rapporto ispettivo sul Credito Industriale Sardo, istituto di credito che aveva largamente finanziato il gruppo chimico SIR del finanziere Nino Rovelli, oggetto di indagine da parte della magistratura.
Il dolore per la macchinazione affaristico-politico giudiziaria che lo vede coinvolto insieme con Sarcinelli, e che culminerà nella sua incriminazione e nel mandato di cattura per Sarcinelli medesimo il 24 marzo 1979, Baffi se lo porterà appresso per il resto della sua vita. Quella ferita non sarà più rimarginata. In una lettera a Mario Monti del 13 novembre 1979 Baffi descrive il suo stato d’animo come «una voragine di mortificazione e di amarezza […], che pregiudica la riconquista della serenità» (Archivio Storico della Banca d’Italia, Carte Baffi, Governatore Onorario).
I magistrati della Procura di Roma – allora considerato un “porto delle nebbie” – approfittano della presenza di Paolo Baffi nel consiglio di amministrazione dell’IMI (finanziatore delle numerose società di Rovelli) per costruire un castello di accuse pretestuose. Nelle parole di Mario Draghi si trattò di un «attacco intimidatorio all’autonomia della Banca d’Italia». In una lettera a Marcello de Cecco, scomparso poche settimane fa, Paolo Baffi nell’ottobre 1981 scrive che «il naufragio di Rovelli ha offerto a talune cerchie il destro per far rimuovere dall’ufficio un governatore sgradito» (ASBI, Carte Baffi, Governatore Onorario).
Nel ricordo di Carlo Azeglio Ciampi: «Ricordo bene quel sabato, un sabato drammatico. Era il 24 marzo 1979. Quella mattina ricordo ancora che ero in macchina a via Nazionale, e in senso opposto transitò un’autoambulanza a sirene spiegate: non sapevo ancora che dentro c’era Ugo la Malfa, ormai morente. Andai in Banca, lavorai tranquillamente. A un certo punto entrò nella mia stanza Sarcinelli che mi disse: “Carlo, sono venuti ad arrestarmi” (per dovere di cronaca i carabinieri guidati dal Colonnello Campo, ndr). Mi precipitai da Baffi e lo trovai distrutto. Aveva in mano il documento che gli avevano consegnato, con l’incriminazione per lo stesso reato contestato a Sarcinelli; il documento era stato scritto con la carta carbone. Non si concludeva con l’arresto solo per l’età. Mi precipitai a informare il Quirinale» (Da Livorno al Quirinale, Il Mulino, 2010, p. 125).
È opportuno chiarire che le pressioni alla Banca d’Italia di Baffi e Sarcinelli iniziano ben prima del 1979, e precisamente nel febbraio 1978 quando il Ministro del Tesoro Gaetano Stammati (iscritto alla P2, si seppe poi) ed Franco Evangelisti – stretto collaboratore di Giulio Andreotti, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio – convocano due volte Baffi e Sarcinelli sollecitando la sistemazione dei debiti Caltagirone nei confronti dell’Italcasse, feudo democristiano. Tra i tanti commenti di allora, ne riportiamo due.
Massimo Riva sul Corriere della Sera nel 1979 scrive: «Michele Sindona ha regalato al Paese una bancarotta per qualche centinaio di miliardi e se ne sta indisturbato in un grande albergo di New York. Ma Mario Sarcinelli, che si è impegnato per smascherare i trucchi dei banchieri d’assalto, è finito dentro un carcere».
Marco Vitale con efficacia si esprime così: «Quando nel 1975 Carli lascia la Banca d’Italia, ed alla sua guida subentra Baffi, la linea della Banca d’Italia cambia. Recupera la sua volontà di guida del potere bancario, sia sul fronte della gestione della moneta, che sul fronte della Vigilanza sulle aziende di credito e sulla corretta amministrazione delle stesse. In un certo senso, ritornando a fare severamente il proprio mestiere, la Banca d’Italia di Baffi e Sarcinelli accetta il rischio di essere considerata, per usare la terminologia di Carli, “sovversiva” ed è per questo che va punita…Il nuovo corso della Banca d’Italia dava fastidio».
Mentre si prepara l’attacco alla Banca d’Italia, Baffi è impegnato, ai massimi livelli, nelle difficilissime trattative per l’ingresso dell’Italia nel Sistema Monetario Europeo: Baffi riuscì a convincere Helmut Schmidt e Giscard D’Estaing a concedere all’Italia la banda di oscillazione “larga” al 6%. Riva scrive: «Il potere politico era del tutto assente da questo passaggio fondamentale per la storia del Paese, mentre era presente – presentissimo – in quegli stessi mesi, per quanto riguardava vicende di affari privati e personali. Quelli dei fratelli Caltagirone, per esempio. Quelli di Sindona, successivamente».
Quali sono le “colpe” di Baffi e Sarcinelli?
1) aver fatto sciogliere il cda dell’Italcasse, cioè del più importante istituto di credito dominato dal potere Dc;
2) aver ordinato un’ispezione presso il Banco Ambrosiano guidato da Roberto Calvi; nel processo per bancarotta del Banco Ambrosiano nel 1982, Andreatta riferirà che «Sarcinelli pallido in volto e con il tono amaro, mi disse che lui era finito in galera proprio per Calvi, giacchè il caso giudiziario che gli era occorso era stato montato in concomitanza con la conclusione dell’ispezione al Banca Ambrosiano del 1978, e proprio a causa della stessa».
3) l’opposizione ferrea ai piani di salvataggio delle banche di Sindona, il cui commissario liquidatore era Giorgio Ambrosoli. Il figlio Umberto scrive: «Queste sollecitazioni mirano a far sì che alla liquidazione sia data una soluzione fantasiosa…il buco lasciato dalle condotte criminose di Sindona sarebbe stato ripianato con i soldi della collettività. Di fatto, sarebbe stato annullato il provvedimento di commissariamento e messa in liquidazione della banca, Sindona sarebbe stato restituito vergine alla sua capacità di continuare a fare affari in Italia, sarebbe venuto meno il processo penale: tutto grazie ai soldi della collettività”. Sarcinelli alle sollecitazioni di Andreotti, Evangelisti e l’avv. di Sindona Guzzi rispose: “Noi non guardiamo cose che ci provengono dagli avvocati di persone che secondo noi sono dei bancarottieri, perchè dobbiamo guardarlo?». Nel 1986, il faccendiere Pazienza affermerà, davanti ai magistrati, che l’incriminazione di Baffi e Sarcinelli era stata decisa dalla Loggia P2 capitanata da Licio Gelli.
Baffi in una lettera a Giampaolo Pansa l’ottobre 1983, scrive: «L’aria che si respira oggi nel nostro paese è un poco meno lurida e fosca di quella del 1979, quando con le streghe del Macbeth si poteva ben dire:
“Fair is foul, and foul is fair
Hover through the fog and filthy air”
E a librarsi nel basso cielo d’Italia di streghe e diavoli ve n’erano assai più di tre: Sindona, Calvi, i Caltagirone; i giornalisti come quelli del Fiorino, dell’Aipe, del Borghese; finanzieri vaticani e dirigenti di qualche istituto centrale di credito; uomini politici e loro caudatari; alti funzionari dello Stato; “magistrati”, e qui virgoletto perché applicati ad alcuni il nome stride. Ora questa coalizione di “instruments of darkness” è meno potente; perciò non invano alcuni, dall’altra parte, sono caduti sul campo (ASBI, Carte Baffi, Governatore Onorario).
Baffi e Sarcinelli vennero prosciolti da ogni accusa l’11 giugno 1981. Troppo tardi. È significativo ricordare che al momento di lasciare la Magistratura, dopo 42 anni di carriera, il sostituto procuratore della Cassazione, Cesare d’Anna scrisse: «Mi sia permesso di chiudere la mia carriera con un atto di umiltà: a nome di quella giustizia italiana che non ho mai tradita, intendo chiedere solennemente perdono ai professori Baffi e Sarcinelli ed a tutte le eventuali vittime di un distorto, iniquo esercizio del potere giudiziario».
I migliori economisti italiani capitanati da Sergio Steve – Caffè, Andreatta, Spaventa, Monti, Tarantelli, Reviglio e altri, in totale circa 150 – il 2 aprile 1979 firmano una dichiarazione a favore di Baffi e Sarcinelli e contro l’ignobile attacco: «Conosciamo da anni la dirittura morale, l’impegno intellettuale e civile e la competenza tecnica di Paolo Baffi e Mario Sarcinelli; siamo certi delle loro assoluta correttezza nello svolgimento dei compiti del loro ufficio. […] Il Paese ha bisogno che uomini retti come Baffi e Sarcinelli ed istituzioni di alto prestigio ed efficienza quali la Banca d’Italia possano operare serenamente per il bene di tutti».
Nei suoi diari Giulio Andreotti scrive: «Temo che la dichiarazione-manifesto non giovi a trovare una rapida via d’uscita». Il Partito Comunista, dopo gli anni ravvicinati della “solidarietà nazionale”, non aveva ancora compreso capito se Andreotti fosse un angelo o un demonio, secondo la testimonianza di Pierluigi Ciocca, che andò da Luciano Barca , molto vicino ad Enrico Berlinguer, all’indomani del 24 marzo 1979.
Il 24 Aprile 1979 gli economisti che firmarono il manifesto appena menzionato, furono convocati in massa presso il Palazzo di giustizia ed interrogati da Alibrandi. Gli interrogati vennero trattati con frasi denigratorie o accusatorie del tipo: «Levi i gomiti dal tavolo, qui il professore sono io» e «Avrebbe firmato un manifesto per le Brigate rosse?».
Nelle Considerazioni finali del 1979 – le sue ultime, si dimetterà nell’ottobre 1979 – Baffi scrive: «Ai detrattori della Banca, auguro che nel morso della coscienza trovino riscatto dal male che hanno compiuto alimentando una campagna di stampa intessuta di argomenti falsi o tendenziosi e mossa da qualche oscuro disegno. Un destino beffardo ha voluto che da questa campagna io fossi investito dopo 43 anni di servizio».
Nella Cronaca breve consegnata a Massimo Riva e pubblicata su Panorama l’11 febbraio 1990 – Baffi commentò: «Queste parole piuttosto pacate non danno certo misura dell’amarezza e dello sdegno che io provavo in quei giorni: ma se vi avessi dato sfogo, forse mi sarei procurato nuove incriminazioni».
Così Carlo Azeglio Ciampi: «Nell’ottobre del 1979, Paolo Baffi rinunciò alla carica di Governatore nel timore che la Banca risentisse della vicenda giudiziaria che ne aveva tanto ingiustamente colpito il vertice. La dignità di cui Paolo Baffi diede esempio ne ha innalzato la figura». Giorgio Bocca, in un memorabile articolo del luglio 1979 – dopo i funerali dell’avvocato Giorgio Ambrosoli – scrive: «Non sembra casuale che Paolo Baffi, l’unico a capire, a sentire che bisognava esserci al funerale di Ambrosoli, sia a sua volta sottoposto ai ricatti e ai messaggi di una giustizia che vede le pagliuzze e non i tronchi».
Massimo Riva – Una stella nel cielo degli onesti (La Repubblica, 8 agosto 1989) – scrive: «Con la coscienza tragica di Prometeo, egli sapeva altrettanto bene che la libertà e la dignità dell’uomo si riscattano solo facendo il proprio dovere, avvenga che può. Lasciandosi questa lezione alle spalle, ora è andato ad arricchire quel cielo stellato sulle nostre teste, a cui guardano tutti gli uomini che, pur in tempi di degrado dell’etica pubblica, non hanno perso la volontà di fare la propria parte anche a costo di suscitare la vendetta degli dèi. Basterà allora alzare gli occhi: in quel cielo da ieri notte c’è una stella in più e la sua luce risulta già più forte delle trame e dei mediocri maneggi dei piccoli mercanti che ancora occupano il tempio della politica».
Un passaggio impressionante della Cronaca breve di Baffi è relativo al passaporto sequestrato a che gli avrebbe impedito di partecipare ai consueti consessi mensili dei banchieri centrali europei presso la Banca dei Regolamenti Internazionali, dove rappresentava l’Italia con notevole prestigio. Baffi: «9 marzo 1980 – La Repubblica pubblica un articolo, con titolo a caratteri cubitali: “A Baffi, Cappon, Ossola ritirato il passaporto”. Fors’anche come risultato di questo articolo, quando, nel viaggio in treno per Basilea, arrivo alla frontiera di Como, il funzionario di polizia in borghese, dopo aver guardato lungamente e sfogliato il nuovo passaporto, e avermelo restituito, torna indietro e lo richiede la seconda volta: strofina il pollice sull’impronta dei timbri a umido, forse per vedere se sbavano, cioè se mi sono fabbricato il passaporto la notte prima. Subisco in silenzio questa nuova umiliazione, anch’essa inflitta dalle istituzioni che ho servito in un’intera vita di lavoro».
Avete letto bene. Il Governatore della Banca d’Italia viene sospettato di aver falsificato il passaporto. Tutto ciò ha dell’incredibile.
Il 21 aprile 1979 un giornalista del Messaggero, Fabrizio Menghini, raccoglie questa sconcertante testimonianza di Alibrandi: «Ho trovato dirigenti di istituti bancari piuttosto risentiti per le inchieste a senso unico dell’Istituto di emissione”. Nel Trentino, in Veneto, come in Sicilia, cioè in quelle località note come feudi democristiani, la Banca d’Italia, in persona di Sarcinelli, si sarebbe particolarmente accanita. Prosegue Menghini: “Sorpresi da tanta franchezza i giornalisti hanno chiesto ad Alibrandi (il quale non fa mistero del suo orientamento politico: è un missino sfegatato) come mai si sia fatto paladino della Dc nei confronti della presunta persecuzione della Banca d’Italia. “Qui non si tratta di ideologie politiche ma di amministrare giustizia ed io come giudice non posso non rilevare questa mancanza di obiettività da parte della Banca d’Italia. C’è da augurarsi che Sarcinelli impari la lezione, se un giorno o l’altro riprenderà il suo posto in Banca d’Italia».
Ecco l’autorevole giudizio di tre Governatori della Banca d‘Italia.
Mario Draghi: «Per oltre mezzo secolo la vita della Banca d’Italia è stata segnata dall’opera e dal pensiero di Paolo Baffi. Da quando entrò giovanissimo in Banca d’Italia sino agli ultimi anni come Governatore onorario, con il suo esempio contribuì a plasmare questa istituzione con la serietà e il rigore».
Carlo Azeglio Ciampi: «La sua sola presenza scoraggiava ogni superficialità; innalzava la soglia della valutazione morale e professionale degli uomini; contribuiva a dare un senso sicuro al mandato e alle azioni di chi è chiamato a responsabilità pubbliche…La sua opera fu decisiva, sin dal Suo ingresso nel nostro Istituto, nell’affermare un metodo di lavoro: quello che nel rigore dell’analisi e nell’indipendenza del giudizio vede innanzitutto un dovere, uno dei modi attraverso i quali si estrinseca la funzione della Banca, al servizio della collettività».
Luigi Einaudi: «Di Paolo Baffi dirò solo che la stima che di lui hanno gli studiosi di cose economiche è siffatta che reputarono l’anno scorso degno di essere eletto, lui estraneo alla carriera universitaria, socio corrispondente dell’Accademia dei Lincei».
Quando i tempi sono tristi, bisogna guardare in alto alla ricerca di esempi positivi. Nel cielo degli onesti e dei competenti è presente di diritto Paolo Baffi, nato a Broni (PV) il 5 agosto 1911 e morto a Roma il 4 agosto 1989.
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