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Il Decreto mutui e la corsa a ostacoli per difendere veramente famiglie e imprese
Quando si parla di case il dibattito si accende facilmente. Non fa eccezione il recepimento della Direttiva UE 2014/17 che fissa alcuni principi generali che gli Stati membri sono tenuti ad adottare in materia di mutui.
La Direttiva contiene molte misure poste a tutela dei consumatori che si trovano a stipulare contratti di mutuo, soprattutto in termini di trasparenza delle operazioni e di protezione del contraente debole. Ma le polemiche delle ultime settimane sono legate all’articolo 28 della Direttiva, il quale al comma 4 prevede che: “Gli Stati membri non impediscono alle parti di un contratto di credito di convenire espressamente che la restituzione o il trasferimento della garanzia reale o dei proventi della vendita della garanzia reale è sufficiente a rimborsare il credito.”
In sostanza, la Direttiva consente agli Stati membri di lasciare alla libertà delle parti forme di negoziazione che consentano, in caso di inadempimento del mutuatario, di evitare la procedura esecutiva di espropriazione immobiliare e di liberare il debitore con la cessione dell’immobile.
Da qui discendono tutte la polemiche sulla paventata espropriazione dopo sette/diciotto rate di mutuo non pagate, con il Governo che si è reso disponibile ad accettare le modifiche proposte dal Parlamento, approvate in Commissione nella data di mercoledì 9 marzo.
Uno sguardo oltre le polemiche
Per capire se, in via teorica, possa essere un bene per banche e clienti evitare l’apertura di un giudizio esecutivo di espropriazione immobiliare, non si può isolare la discussione dal contesto attuale.
Come noto, in base all’art. 40 comma 2 del Testo Unico Bancario, se il mutuatario ritarda il pagamento delle rate del mutuo per sette volte – anche non consecutive – la banca può ritenere risolto il contratto ed agire in via esecutiva tramite atto di pignoramento immobiliare. Notare bene che nella prassi le banche agiscono anche prima dei “sette ritardi”, sfruttando le clausole contrattuali che consentono la risoluzione del contratto in caso di inadempimento (per quel che ci interessa, mancato pagamento delle rate).
Il processo esecutivo ha la funzione di soddisfare la pretesa di un creditore munito di titolo esecutivo, tutelando il debitore da possibili abusi. Salvo errori commessi dal creditore, il debitore non può fare altro che subire la procedura, come nel caso delle espropriazioni immobiliari: se il titolo è legittimo, il debitore perderà inesorabilmente il possesso del bene.
Nonostante ciò, il passaggio obbligatorio attraverso i meandri del processo esecutivo ha consentito in passato ai debitori di rimanere custodi del bene per lungo tempo. Questo continua ad avvenire con tempi un po’ ridotti rispetto agli anni precedenti, fino a quando il giudice dell’esecuzione non emani l’ordine di liberazione dell’immobile al fine di agevolare le operazioni di vendita.
Si tratta quindi di una questione di tempo: con il processo esecutivo il debitore “guadagna” tempo, con un accordo negoziale perderebbe questo vantaggio. Ma nel caso della via processuale, la procedura si può avviare ben prima delle discusse diciotto rate.
Le nuove disposizioni sollevano dubbi e incertezze, tra cui:
1. la banca non potrebbe imporre la clausola negoziale, né subordinare la concessione del finanziamento all’approvazione della clausola da parte del cliente;
2. bisognerà capire come la banca potrà concretamente procedere alla vendita dell’immobile nel caso di accordo negoziale, atteso che nella relazione approvata dalla Commissione Parlamentare si legge che “(…) in caso di inadempimento, il trasferimento dell’immobile oggetto della garanzia avviene mediante separato atto di disposizione del bene stesso da parte del debitore (…)”. Immaginate tutti i problemi legati all’occupazione dell’immobile che ne potrebbero derivare e che, in ogni caso, potrebbero portare nuovamente alla via giudiziale;
3. l’efficacia pratica della nuova normativa è lungi dall’essere chiara.
Tuttavia, è importante comprendere che il sistema attuale danneggi anche i clienti (famiglie e imprese), non solo le banche, sotto almeno due profili:
- – Facilità di accedere a un finanziamento e costo dello stesso;
- – Rischio bail-in.
Costi delle procedure, aste deserte, mutui tra i più cari d’Europa e… bail-in
Una procedura esecutiva di espropriazione immobiliare costa, tanto (sia ai creditori, sia al sistema giustizia).
In breve, per dare un’idea a chi non è pratico della materia:
a) inizialmente il creditore dovrà procedere al fine di ottenere un titolo esecutivo (una sentenza o un decreto ingiuntivo, a meno che la banca non possieda già un titolo esecutivo come la cambiale o il mutuo fondiario): costi fissi dell’azione legale e compensi degli avvocati;
b) notifica atto di precetto: costi di notifica e compensi legali; notifica atto di pignoramento: compensi legali e contributo unificato di quasi 300 euro;
c) trascrizione del pignoramento presso la Conservatoria dei Registri Immobiliari: altre centinaia di euro; relazione ipocatastale sull’immobile pignorato redatta da un notaio: il costo può essere a tre zeri;
d) compensi del consulente tecnico d’ufficio che dovrà stimare l’immobile: somme, a carico sempre del creditore, che variano a seconda del valore del bene e possono essere anche pari a diverse migliaia di euro; spese inerenti alle attività poste in essere dal custode del bene nominato dal giudice.
Esistono numerosi casi dove tra costi della procedura e compensi legali, i creditori – per evitare la chiusura del processo esecutivo – possono arrivare a spendere anche 20/30 mila euro. Il tutto può durare diversi anni, a volte anche decenni.
Ma almeno, è lecito pensare, con la vendita del bene recupereranno tutto. O no?
No, o meglio non sempre. I dati dimostrano che solo una piccola parte delle procedure conduce ad un aggiudicazione. Nel 2014 a Milano solo il 12,5% degli immobili pignorati è stato venduto, percentuale abbastanza eloquente. Inoltre si arriva in moltissimi casi ad una pesante svalutazione dell’immobile, con prezzi di aggiudicazione molto inferiori a quelli di mercato.
Tutto questo incide pesantemente sui bilanci delle banche e sulle loro “sofferenze”. Come spiega l’annuale report di Opicons, sussiste un “riflesso diretto” tra l’incremento del numero delle aste e l’aumento delle sofferenze bancarie.
E questo ci riporta ai profili di criticità e di rischio per famiglie ed imprese di cui sopra:
- – sulla concessione dei finanziamenti, il rapporto Opicons ci dice di una riduzione degli importi finanziati da 317 a 293 miliardi di euro;
- – sul costo dei mutui per l’acquisto di una casa, rileva la CGIA Mestre in base ai dati forniti dalla BCE, che il costo dei mutui in Italia – seppure in ribasso rispetto agli anni precedenti – è ancora al di sopra (18 punti base) della media dell’Eurozona (si veda anche questo post, a conferma del “chi paga” i costi dei mutui anche in tempi di politica monetaria accomodante da parte della BCE);
- – sul rischio bail-in, non sussistono dubbi sul nesso causale tra sofferenze delle banche italiane ed il rischio di insolvenza, come abbiamo visto di recente nei casi della Banca dell’Etruria e degli altri istituti di credito oggetto di salvataggio. Come stiamo tutti imparando, il bail-in può colpire piccoli azionisti e obbligazionisti, quindi anche meri risparmiatori e non solo abili investitori.
In definitiva, chi vuole proteggere famiglie e imprese, da intendersi come contraenti deboli nei contratti di mutuo, farebbe bene a guardare il quadro di insieme del problema.
Se da un lato l’allungamento dei tempi entro cui il debitore rischi di perdere il possesso dell’immobile potrebbe avvantaggiare quest’ultimo, dall’altro lato le difficoltà incontrate dagli italiani (imprenditori, giovani coppie atc.) nell’accedere a forme di finanziamento sono una diretta conseguenza di un sistema del tutto inefficiente a garantire la certezza e la liquidità del credito in tempi rapidi e la contemporanea tutela del debitore da possibili abusi.
A ciò si deve aggiungere la recente introduzione del rischio bail-in per gli istituti con bilanci pieni di “sofferenze”, un rischio che potrebbe anche colpire quegli stessi soggetti deboli che si cerca – con intenzioni lodevoli – di proteggere.
Ed è meglio giudicare i risultati piuttosto che le intenzioni.
Twitter @frabruno88