categoria: Distruzione creativa
L’allenatore dimezzato e il protezionismo delle professioni
Guillermo Barros Schelotto ha lasciato il Palermo. Che, volente o nolente, un mister molli la panchina dei rosanero non fa notizia (è il quinto, quest’anno); più sorprendente è il fatto che ciò avvenga a causa dei regolamenti e non per mano del Crono del calcio italiano, l’inquieto Maurizio Zamparini – 56 allenatori in 29 stagioni tra Venezia e Palermo. L’argentino ha così preso atto della decisione dell’Uefa di non convalidare il patentino in suo possesso, provvedimento che gli avrebbe impedito d’interpretare con agio il ruolo di tecnico: e in quest’effimera esperienza siciliana, Barros Schelotto – tesserato come dirigente – ha potuto guidare la squadra solo grazie all’intermediazione di Giovanni Tedesco.
Si tratta, peraltro, di uno stratagemma assai diffuso: tra i molti allenatori che si sono avvalsi dell’assistenza di un collega meno quotato ma con le carte in ordine, possiamo ricordare Terim alla Fiorentina; Voeller, Conti e Montella alla Roma; Stramaccioni all’Inter. In altre circostanze, gli aspiranti tecnici si sono serviti di deroghe provvidenziali: è il caso di Seedorf al Milan e Mancini alla Fiorentina – per quest’ultimo si mobilitò il commissario straordinario della Figc Gianni Petrucci. Ma non sempre le cose sono andate così lisce: ai tempi dell’Ascoli, l’attuale allenatore dell’Empoli Giampaolo fu squalificato fino al termine del campionato per aver assunto la guida della squadra senza i titoli richiesti.
In Europa, l’accesso alla professione è governato da una convenzione Uefa, riformata nel 2015, a cui tutte le federazioni nazionali devono attenersi. Le licenze concesse da federazioni estranee alla convenzione sono sottoposte al giudizio di un’apposita commissione (il panel Jira), che può autorizzare il titolare ad allenare, a patto che alcune condizioni siano soddisfatte – tra queste, un’esperienza di almeno cinque anni come tecnico responsabile di un club di serie A o di una nazionale di prima fascia. Nulla da fare per Barros Schelotto, che ha guidato il Lanus per poco più di tre stagioni, sia pure conquistando una Copa Sudamericana.
C’è indubbiamente dell’ironia nel ritenere inadeguato alla panchina uno che, in campo, ha vinto quattro volte la Copa Libertadores e due volte l’Intercontinentale. Davvero pensiamo che a Coverciano gli possano insegnare qualcosa che non abbia già appreso in vent’anni di calcio? Non intendo banalizzare i contorni di un mestiere che richiede non solo padronanza delle tecniche e delle tattiche del gioco, ma anche competenze in materia di psicologia, alimentazione, preparazione atletica. E sappiamo bene che il successo come calciatore non è un prerequisito, né una garanzia per il successo come allenatore. Ma c’è da chiedersi quale interesse tutelino le norme sulle licenze: quello di alcuni milionari a non investire su un dilettante? quello di altri milionari a non essere schierati fuori posizione? quello dei tifosi a non incazzarsi ogni santa domenica?
O piuttosto quello dei tecnici abilitati a difendersi dalla concorrenza potenziale degli outsider? Non è un caso che, in tutte le vicende sopra ricordate, l’Assoallenatori – non incidentalmente rappresentata da Renzo Ulivieri, uno che a Baggio ha sempre preferito Lenin – si sia schierata dalla parte della legalità, contro ogni compromesso. E non si pensi che il tema riguardi solo la massima divisione: i più attenti ricorderanno la protesta inscenata nel 2011 dallo stesso Ulivieri, che s’incatenò ai cancelli della Figc per denunciare l’abolizione dell’obbligatorietà del patentino per prima e seconda categoria e juniores, a causa della quale «5600 allenatori non potrebbero allenare, 100 mila calciatori si ritroverebbero a giocare senza allenatori e 2500 arbitri si troverebbero sui campi senza la tutela dei tecnici». La stortura è stata nel frattempo rettificata: quei 2500 arbitri possono di nuovo farsi insultare da allenatori patentati.
Ovviamente, la logica corporativa dell’accesso regolato alle professioni si estende ben oltre il campo del calcio (pun intended). Tipicamente sorretto dall’argomento paternalistico della necessità di garantire la qualità di alcuni servizî, in realtà il principio si spiega con una delle poche leggi della politica: la prevalenza degl’interessi concentrati (in questo caso, dei produttori) su quelli dispersi (in questo caso, dei consumatori). Simili vincoli non comportano unicamente un’astratta riduzione di libertà economica: essi si traducono nella fornitura di servizi di qualità inferiore e di prezzo superiore.
In Capitalismo e libertà, Milton Friedman dedica un capitolo al tema delle licenze professionali, soffermandosi sul loro impatto sull’industria medica. Ecco la sua conclusione:
[…] sono persuaso che il metodo dell’autorizzazione abbia ridotto sia la quantità sia la qualità della professione medica, che abbia limitato le opportunità di chi vorrebbe praticare la medicina, obbligando queste persone a trovare altre occupazioni che ritengono meno interessanti, che abbia portato i cittadini a pagare di più in cambio di servizi medici meno soddisfacenti e che abbia ritardato lo sviluppo tecnico nella medicina e del modo in cui essa è organizzata.
Naturalmente, non mi sfugge che in alcuni settori la giustificazione paternalistica possa avere maggior fondamento che in altri: per esempio, la professione medica e quella forense coinvolgono interessi primari o diritti fondamentali, il che amplifica le potenziali conseguenze negative di una scelta superficiale da parte del consumatore. Ci sono, però, decine di casi meno controversi, in cui le limitazioni all’accesso a una data professione mirano unicamente e scopertamente a restringere l’offerta. Come ricordato ripetutamente anche dall’Ocse, la liberalizzazione delle professioni dovrebbe essere una priorità per un’economia stagnante come quella italiana. Tuttavia, finché continueremo a ritenere ragionevole che il meccanismo delle licenze viga persino per gli allenatori di calcio, difficilmente riusciremo a sconfiggere la temibile lobby delle guide turistiche.
Twitter @masstrovato