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Le autostrade e le concessioni (in proroga, in deroga). Cosa direbbe Keynes
Come sempre in gennaio, ciascun italiano deve fare i conti con i vari ed eventuali aumenti delle tariffe: energia elettrica, gas. Spesso benzina. Autostrade, sempre.
Già, le autostrade, con i loro indigesti pedaggi. Anche nel 2016, puntualmente, le spese giornaliere di aziende e lavoratori subiscono gli incrementi tanto temuti. Nonostante siamo costretti a pregare affinché Mario Draghi ci regali un po’ di inflazione, vediamo tuttavia che la tratta Torino-Milano (una delle più strategiche al Nord) fa registrare un bel +6,5 per cento.
Ma la storia delle autostrade italiane presenta tante altre storture. È fatta di profitti (per pochi), investimenti al di sotto delle attese e alte tariffe (per molti).
La situazione attuale
L’odierno assetto territoriale della rete autostradale italiana è dovuto principalmente alle opere compiute tra gli anni ’60 e ’70, mentre le privatizzazioni degli anni ’90 ne disciplinano l’attuale assetto gestionale.
Un insieme di distinte società di capitali gestisce oggi la rete. Tra queste, spicca ovviamente Autostrade per l’Italia, fondata dall’IRI nel 1950 e attualmente controllata dalla Atlantia S.p.A. (Gruppo Benetton principale azionista). Atlantia è concessionaria di 2.964,6 km di autostrade su una rete totale di 6.668. Altro grande concessionario è il Gruppo Gavio (1212.1 km). Poi ci sono 1657,8 km di autostrade in concessione a enti pubblici ed altri 953,8 km gestiti direttamente dall’ANAS dove non si paga il pedaggio.
Spesso si legge e si sente dire diffusamente che le concessioni sono “eterne” e allergiche alle gare pubbliche aperte ad aspiranti concessionari in concorrenza tra loro. È vero? Si, lo è. Almeno fino a oggi.
Autostrade per l’Italia vanta una concessione fino al 2038. Alcune addirittura fino al 2050 (Sitaf S.p.A., Società Italiana Traforo Monte Bianco) o fino al 2046 (Sat S.p.A.). Altre hanno una scadenza ormai prossima.
Ma come avviene la concessione? Banca d’Italia spiega in un’indagine conoscitiva (molto citata nel prosieguo del pezzo) che durante il periodo di privatizzazione tutte le concessioni sono state rinnovate senza alcuna gara pubblica. L’unica eccezione di ricorso alla gara sembrava esser quella relativa all’Autostrada del Brennero, ma la vicenda si è invece conclusa pochi giorni fa con una concessione senza gara fino al 2045 a una società in-house pubblica al 100 per cento.
Dal 2012 è il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti a stipulare le convenzioni con i concessionari. E sembra che ci sia grande resistenza ad aprire il mercato autostradale alla libera concorrenza, nonostante l’avvicendamento di diversi titolari del dicastero.
I risultati di questa storia
Secondo i dati relativi all’anno 2011 siamo secondi solo alla Francia in termini di ricavi da pedaggio: 841.000 € per chilometro. Molto distanti Spagna (477.000 €), Portogallo (365.000 €) e Grecia (311.000 €). Discorso a parte ovviamente per la Germania, dove generalmente non si paga l’utilizzo delle autostrade.
Si sa che il costo dei pedaggi non dovrebbe essere l’unico parametro di riferimento, ma è comunque la voce che più aggredisce il potere di acquisto di milioni di italiani. Milioni di italiani che iniziano ogni anno auspicando che i rincari non siano troppo elevati. Tutto dipende dalla formula magica, con fattori X e K legati a investimenti e nuove opere che consentono sempre gli aumenti, a tutto vantaggio delle rendite.
Proprio il fronte degli investimenti è tra i più opachi. Scrive la Banca d’Italia che “(…) per via della mancanza di informazioni adeguate sui piani economico-finanziari, è difficile valutare la congruità dell’evoluzione tariffaria effettiva e la sua coerenza coi principi regolatori e normativi stabiliti”.
Inoltre “(…) si continua a non distinguere tra investimenti imposti dal regolatore e da remunerarsi in tariffa in quanto non redditizi, e investimenti decisi dalle concessionarie perché ritenuti convenienti. Le nuove costruzioni e gli ampliamenti, ad esempio, dovrebbero generare un incremento di traffico, e quindi di ricavi, sufficiente a giustificarli. Dato che il rischio traffico è attribuito al concessionario, vi sono rischi di doppia remunerazione.”
In più, “Le informazioni più aggiornate riguardo agli investimenti dei concessionari autostradali mostrano che, nel periodo 2008–13, si è progressivamente ampliato il divario tra gli investimenti effettivi (complessivamente di 11,5 miliardi) e quelli previsti dai piani finanziari relativi al medesimo periodo (quasi 14,1 miliardi)”. Ancora sull’opacità di cui sopra, “La valutazione dei piani di investimento espressi dai concessionari è, in ogni caso, limitata dalla scarsità di informazioni disponibili pubblicamente”.
Infine, sul tema degli investimenti che il concessionario può garantire (giustificazione utilizzata per concedere le proroghe, in deroga), la stroncatura è tanto secca quanto chiara: “L’ipotesi di ‘scambiare’ maggiori diritti per il concessionario con investimenti ha, in ogni caso, suoi limiti intrinseci. Sia in caso di costruzione ex novo, sia in quello di miglioramento qualitativo, l’infrastruttura dovrebbe comunque successivamente rientrare nella disponibilità pubblica, e il concessionario dovrebbe essere selezionato identificando il soggetto maggiormente in grado, con minori costi e più elevata qualità, di svolgere quei compiti. Il ricorso a tale modello non elimina, pertanto, la necessità che le opere siano selezionate in base a trasparenti analisi dei loro costi e benefici sociali. La dimensione degli investimenti che un potenziale concessionario si offre di realizzare in nessun caso può, perciò, essere ritenuta l’elemento dirimente della scelta da compiere“.
L’articolo 5 dello Sblocca-Italia e la nuova Direttiva Europea
Inevitabili polemiche ha suscitato l’articolo 5 del Decreto Legge n. 133/2014 (convertito nella Legge di conversione n. 164/2014), fatto approvare dall’attuale maggioranza, tramite il quale gli attuali concessionari potrebbero ottenere lunghe proroghe delle concessioni senza alcuna gara pubblica, in cambio solo di investimenti sulle tratte.
Non si rammentano molti casi in cui tutte le autorità italiane indipendenti interessate (compresa anche la Banca d’Italia) abbiano espresso le loro perplessità sulla norma:
- Autorità di Regolazione dei Trasporti
- Autorità Nazionale Anticorruzione
- Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato
Così quella norma è ancora viva e vegeta, frutto dell’escamotage giuridico prediletto dal legislatore italiano: la proroga, in deroga.
Il Decreto Legge, tra l’altro, è stato approvato dopo che l’Unione Europea aveva adottato la Direttiva n. 23 del 2014, secondo la quale “(…) per le concessioni di durata superiore a cinque anni la durata dovrebbe essere limitata al periodo in cui si può ragionevolmente prevedere che il concessionario recuperi gli investimenti effettuati per eseguire i lavori e i servizi e ottenga un ritorno sul capitale investito in condizioni operative normali (…)”. La Direttiva consente altresì agli Stati Membri la possibilità di affidare la gestione dell’infrastruttura ad una società pubblica. Quest’ultima potrebbe essere la soluzione più gradita ai nostri regolatori, come dimostra il recente caso Brennero, poiché almeno si eviterebbero le tanto temute gare tra imprese in concorrenza.
La Direttiva deve essere recepita entro Aprile 2016, ma siamo leggermente in ritardo. Infatti, il DdL che dovrebbe delegare il Governo ad attuare la Direttiva è stato approvato solo lo scorso 14 gennaio.
Uno sguardo ai prossimi anni
Sono in arrivo nuove battaglie sulle concessioni. Risolta la questione Brennero, restano tutte le altre di prossima scadenza o già scadute. Il recepimento della Direttiva e l’incertezza scatenata dal suddetto articolo 5 generano una certa confusione tra operatori del settore e non.
Se davvero si vogliono migliorare le voci relative agli investimenti ed alla qualità dei servizi e, al contempo, ridurre le tariffe o sterilizzare gli aumenti, occorre avere il coraggio di aprirsi al mercato, attraverso gare pubbliche e trasparenti, dove operatori italiani o esteri possano liberamente concorrere.
In genere si dà la colpa alle privatizzazioni, richiamando a gran voce il ritorno dello Stato e della politica. Di certo nella gran parte delle privatizzazioni fatte in Italia si sono privatizzati i profitti, mantenendo pubbliche le perdite. Ed è anche certo che le privatizzazioni non andrebbero mai fatte per mere ragioni di cassa, ma semmai per migliorare l’efficienza di un settore.
Come tante altre, anche la privatizzazione delle ex società pubbliche di concessionari autostradali non è stata fatta nell’ottica di aprire il mercato alla libera concorrenza. Si è passati da monopoli pubblici a privati, i quali sono anche più dannosi dei primi.
Non sarebbe tuttavia troppo tardi per invertire la tendenza, cancellare quell’articolo 5 ed aprirsi alle gare pubbliche, a concessioni di durata limitata e, soprattutto, al controllo dei contribuenti.
Con una frase consegnata alla storia, John Maynard Keynes disse che “In the long run we are all dead”. Speriamo di non esserlo tutti prima di aver visto la fine delle concessioni autostradali in proroga, in deroga.
Twitter @frabruno88