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La garanzia per la bad bank spiegata: Grande Anteprima, Coperture Superflue
L’esigenza che da oltre un anno veniva espressa dalle banche italiane in modo quasi ossessivo era chiara: “Ci occorre una bad bank di sistema”.
Perché? Una bad bank è utile per diverse ragioni: innanzitutto permette di rendere liquide delle operazioni bloccate e che in Italia hanno tempi molto lunghi per risolversi; in secondo luogo un operatore specializzato sui crediti deteriorati ha una migliore efficienza nella loro gestione; in terza istanza la presenza stabile di un soggetto a cui cedere le operazioni andate male avrebbe reso le banche meno timide nella concessione del credito.
Da un lato avevamo banche impazienti di vendere crediti deteriorati e particolarmente indigesti al mercato, dall’altra mancava una bad bank di sistema. Serviva insomma che si muovesse qualcosa sul lato della domanda per far nascere un mercato degli NPL o Non Performing Loans.
La questione sembrava molto chiara anche dalle parti di via XX Settembre, visto che fino a martedì nel primo pomeriggio era tutto un florilegio di dichiarazioni cariche di ottimismo sulla felice conclusione entro sera di una trattativa con la Commissione UE per la nascita di una bad bank.
L’accordo in serata, in effetti, si è concluso positivamente. Peccato però che la auspicata bad bank sia composta della stessa materia di cui sono fatti i sogni: l’accordo si incentra, infatti, sulle cartolarizzazioni. Le banche potranno “impacchettare” i propri crediti in obbligazioni ABS, se lo vorranno potranno pagare una commissione a misura di mercato per agganciare a questi ABS una garanzia pubblica chiamata GACS (Garanzia Cartolarizzazione Sofferenze) per aumentare la qualità del titolo, e infine potranno vendere questi ABS al mercato.
Questo piano, illustrato come rivoluzionario e risolutivo dei problemi recenti delle banche, non contiene dunque alcuna rivoluzione. Nulla impediva anche prima a una grande banca di impacchettare i propri crediti deteriorati, comprare eventualmente una garanzia (CDS) sul mercato per alzare la qualità del titolo, e venderlo sul mercato. La questione era, ed è, che mancano controparti, mancano acquirenti per questi crediti, non tecnicalità per i venditori, come invece prevede questo accordo. Ciò che servirebbe davvero è un soggetto come quelli creati in Spagna (SAREB) o in Irlanda (NAMA), che oggi per funzionare dovrebbe passare attraverso le forche caudine di un bail-in.
A meno che non immaginiamo che grazie a questo meccanismo per impacchettare e infiocchettare i crediti deteriorati l’acquirente diventi la BCE. Ma qui finisce che ci addentriamo nel tema della qualità dei crediti e dei collaterali, e nel loro peso sul totale dei crediti bancari. Chi vuole mostrare il lato ottimista della situazione riporta come coperture e collaterali siano mediamente superiori in Italia rispetto agli NPL sparsi nel sistema europeo, altri fanno osservare che la proporzione di NPL (pari al 17% del PIL nazionale) rispetto ai crediti, in Italia, è ben più pesante, senza contare che i famosi “collaterali” sono per lo più immobili, il che comporta alcuni problemi:
- Il loro valore “di mercato” è tutto da verificare
- la liquidabilità del collaterale è molto bassa
- il coefficiente di possibili problemi è elevato
Insomma, se tutto questo impianto è finalizzato a creare titoli buoni da portare in BCE è molto probabile che la montagna (un anno di trattative tra Italia e Commissione UE) abbia partorito un topolino.
La nota emessa dal MEF è un interessante esercizio di dialettica: si intitola
L’Italia ha un sistema bancario solido, criticità in via di soluzione
e si concentra, nella prima parte, in discutibili raffronti fra i crediti e le coperture dei vari sistemi finanziari europei, spiegando che “l’ondata di vendite che ha colpito i titoli degli istituti di credito italiani quotati in borsa appare ampiamente ingiustificata”. Poi, quasi per accidente, illustra i tre pilastri sui cui basa il proprio piano di rafforzamento del sistema bancario:
- consolidamento del settore bancario, attraverso la riforma delle maggiori Banche popolari, la riforma delle Fondazioni bancarie, la prossima riforma delle Banche di credito cooperativo. Banche più grandi, più forti e più trasparenti gestiranno con più efficienza i crediti deteriorati;
- riduzione dei tempi di recupero dei crediti, in Italia storicamente più alti che altrove. L’implementazione del processo civile telematico e dei tribunali delle imprese sta producendo ottimi risultati; nel 2015 è stata introdotta una prima revisione delle procedure concorsuali e sono in corso di introduzione altre misure in questa direzione, in attesa della più ampia riforma della legge fallimentare. Questi interventi riducono i costi di recupero crediti e migliorano il prezzo potenziale dei crediti deteriorati in caso di cessione;
- ritorno alla crescita, dopo tre anni di recessione. Con l’economia in crescita sarà più facile ridurre le sofferenze.
Questa disamina del Ministero, in verità, costituisce un elenco preciso dei perché i titoli delle banche italiane siano stati presi di mira dai mercati:
(1) il sistema bancario italiano è molto frammentato (esistono quasi mille codici ABI), composto da un gran numero di banche: in Italia il rapporto tra sportelli bancari ed abitanti è di gran lunga superiore a quello delle farmacie, delle scuole e perfino (nonostante siamo il BelPaese della cultura e del turismo) di alberghi e musei messi insieme; questo le rende cariche di costi, tra le meno profittevoli d’Europa. Nella grande maggioranza dei casi queste banche necessitano di rafforzamento patrimoniale, di management e di un cambio di governance e poi soffrono di poca trasparenza, invischiate in economie di relazione più che in processi di merito.
(2) I tempi con cui i crediti deteriorati tornano ad essere liquidi, in Italia, sono vergognosamente lunghi, il che riduce il valore di questi asset.
(3) le banche italiane operano in un contesto economico che cresce a ritmi ancora modesti, per giunta sotto la minaccia di un rallentamento globale.
Lo Stato quindi si rende disponibile a emettere garanzie a pagamento sui titoli delle banche destinati ad alleggerire le sofferenze, facilitando (per liquidità e taglia delle operazioni) un processo che volendo poteva essere costruito sul mercato anche prima. Pertanto questa GACS – se non daremo vita a dei compratori per questi crediti – risolverà ben poco, rischiando di diventare l’acronimo di “Grande Anteprima: Coperture Superflue”.
Twitter @AndreaBoda