categoria: Tasche vostre
Le 5 (e più) cose da sapere sul bail-in per non rimetterci l’osso del collo
1 – Proviamo a capire se le banche italiane hanno la forza per resistere ai cambiamenti determinati dalle nuove regole del bail-in europeo (il meccanismo di copertura delle perdite di una banca in caso di insolvenza). Non sarà che, questa volta, come temono i più allarmisti, rischiamo di finire nelle braccia della Troika?
Il sistema bancario italiano è solido. Ci sono molti compartimenti stagni prima di arrivare all’insolvenza su larga scala, con bail-in e (potenzialmente) accesso ai fondi europei (e alla Troika), soprattutto se c’è un rischio di contagio ad altre banche italiane ed europee (come nel caso di un grande fallimento bancario). Tra questi compartimenti stagni, ci sono: ulteriore capitale privato e strumenti ibridi della banca, la liquidità ordinaria e straordinaria (Emergency Liquidity Assistance o ELA) dell’Eurosistema (BCE), il Quantitative easing, che sostiene il valore degli asset, e addirittura controlli sui prelievi e movimenti di capitale, nei casi di emergenza (come in Grecia e Cipro).
Inoltre, va chiarito che il bail-in già si applica dall’agosto 2013, con la nuova raccomandazione sugli aiuti di stato, nel caso d’intervento statale diretto o del fondo di risoluzione (o del fondo interbancario di garanzia dei depositi). In sintesi, le nuove regole europee aggiungono due elementi chiave alla procedura già in vigore:
1 – estendono il bail-in anche alle obbligazioni senior emesse dalla banca e agli altri debiti (con esclusioni definite nell’articolo 44 della Direttiva UE). Ci sono molte complicazioni legali sulla vastità della copertura, ma il bail-in iniziale non potrà superare l’8% del valore dell’attivo. Un successivo bail-in avrà luogo solo dopo l’intervento del fondo di risoluzione (per un 5% addizionale);
2 – si crea una procedura certa nella gestione delle crisi bancarie, che riduce il rischio di massicce fughe di capitale o finanche di corsa agli sportelli (bank run). Per maggiori dettagli su rischi e benefici del bail-in, si veda il mio post del 28 dicembre.
Tuttavia, ci sono molte cose che non conosciamo e che creano incertezza e potenziale rischio sistemico. L’incertezza che la mancanza d’informazioni crea può essere fonte di fughe di capitali, anche se il sistema bancario è solido.
Partiamo da quello che sappiamo.
Ad oggi, ci sono in circolo circa 300 miliardi di crediti deteriorati nel sistema bancario italiano, di cui 200 miliardi di sofferenze lorde (tra gli 80 e i 100 netti). La stragrande maggioranza è detenuta dai 15 gruppi bancari italiani che hanno passato l’asset quality review (revisione della qualità degli attivi o AQR) della BCE. La vendita di parte delle sofferenze di Monte Paschi per 1 miliardo (vicino a valore stimato dall’AQR) è un segnale che l’aggiustamento delle provvigioni e delle valutazioni voluto dalla BCE era più o meno accurato. Inoltre, si sta già delineando un mercato per la cartolarizzazione dei crediti deteriorati che dovrebbe aiutare a ripulire i bilanci.
Quello che non sappiamo per ora è il valore netto reale e la concentrazione dei crediti deteriorati a livello di singola banca per tutte le banche che non hanno partecipato all’AQR, specialmente le più piccole. Bankitalia dovrebbe procedere velocemente a una AQR di tutte le banche non incluse nell’AQR della BCE e valutare l’aggiustamento che queste dovranno fare come risultato di una valutazione indipendente degli attivi. Se il valore aggregato rimane nelle attuali proporzioni tra piccole e grandi, l’esposizione verso i crediti deteriorati dovrebbe essere facilmente gestibile.
Con 4.000 miliardi di risparmio privato e circa 1.500 miliardi in depositi, il sistema bancario italiano ha una solida base che difficilmente avrà bisogno d’interventi pubblici disordinati con fondi statali o dello European Stability Mechanism (ESM). Per evitare inutile panico e restituire fiducia ai risparmiatori serve trasparenza sull’esposizione verso crediti deteriorati e maggiore vigilanza sulle pratiche di vendita delle banche.
Un’analisi aggregata del profilo di rischio medio del singolo investitore/cliente per banca, rispetto al valore storico o medio di settore, può fornire segnali di potenziali pratiche aggressive di vendita di prodotti finanziari.
Un valore molto superiore alla media o un cambiamento repentino nei profili di rischio a ridosso di emissioni obbligazionarie della banca potrebbe essere un segnale di misselling (vendita di prodotti finanziari non adatti al profilo di rischio dell’acquirente, ndr) che richiederebbe un intervento più capillare della Consob.
2 – Quanto è vero che la Germania ha fatto il suo gioco in materia di vigilanza sulle banche del territorio (Sparkassen, Landesbanken), creando una grave asimmetria nell’Eurozona? Noi potremmo permetterci di nazionalizzare, se necessario? Nel caso si potesse, sarebbe scelta efficace?
Chiariamo innanzitutto che solo 120 gruppi bancari europei (su oltre 1.200) sono sotto la vigilanza diretta del Single Supervisory Mechanism (SSM o meccanismo di vigilanza unico, MVU). Le banche restanti sono vigilate direttamente dal regolatore nazionale, con l’SSM che ha potere di indirizzo vincolante, soprattutto se le politiche di supervisione nazionale vanno contro le decisioni o il funzionamento dell’SSM.
Aver lasciato alla Germania la possibilità di mantenere la supervisione delle Landesbanken al di fuori anche della supervisione indiretta dell’SSM è stata una decisione sbagliata, soprattutto per l’interazione con la vigilanza delle banche più grandi in situazioni come condivisione d’informazioni o interventi per evitare insolvenza. Nei prossimi mesi, vedremo certamente un inasprimento del contenzioso legale tra SSM e il regolatore tedesco nel caso di conflitti con le pratiche di supervisione della giurisdizione SSM.
Detto questo, la procedura di aiuti di stato in vigore dal 2013 e le nuove regole europee sul bail-in si applicano allo stesso modo anche alle landesbanken e alle sparkassen tedesche. Non c’è nessun vantaggio rilevante per loro rispetto alle regole d’insolvenza e ristrutturazione bancaria. Non cambia nemmeno la possibilità per lo stato di nazionalizzare le proprie banche, direttamente o tramite un prestito al fondo di risoluzione, dopo l’applicazione del bail-in e delle altre regole sugli aiuti di stato (tra cui l’approvazione della Commissione di un piano di ristrutturazione).
In ogni caso, è difficile immaginare che il Governo italiano riesca a trovare risorse per una nazionalizzazione su larga scala. Il fondo di risoluzione, composto dai contributi delle altre banche o con un prestito statale, può anche diventare azionista di maggioranza in attesa della vendita a un’altra banca, come avvenuto per Novo Banco in Portogallo.
3 – I non performing loans (NPL), ovvero i crediti deteriorati, sono la vera bomba da disinnescare per le banche italiane. C’è differenza fra grandi, medie e piccole? Basteranno le operazioni di grande pulizia dei bilanci? E non è un rischio una AQR in queste condizioni? Può servire una moratoria di 18 mesi del bail-in in Italia come proposto da Zingales e Guiso sul Sole 24 ORE?
Come spiegato sopra, senza una revisione dei bilanci delle banche non soggette all’AQR della BCE sarà difficile stabilire il grado di rischio e concentrazione dei crediti deteriorati (NPL). La gran parte degli NPL è nelle banche più grandi che hanno superato (seppur a fatica) l’AQR.
Tuttavia, non conosciamo il valore reale attuale delle perdite su questi crediti e la concentrazione dell’esposizioni nette in banche più piccole. Le 4 banche italiane che sono state di recente soggette al bail-in avevano crediti deteriorati per oltre 8,5 miliardi (al valore nominale), ma con un valore di mercato stimato solo intorno a 1 miliardo. Una moratoria di diciotto mesi servirebbe solo se ci fosse un rischio immediato per l’intero sistema bancario.
Non credo ci sia nessuno che sappia bene quale sia la situazione reale. Pure se fosse possibile dal punto di vista legale ottenere una moratoria, bisogna che ci siano prove concrete di una fuga di capitali dovuta all’estensione del bail-in agli obbligazionisti senior, come paventato da Guiso e Zingales.
È vero che le obbligazioni bancarie sono viste erroneamente da molti come equivalenti ai titoli di stato o depositi, ma non c’è ragione di pensare che nei prossimi diciotto mesi una delle grandi banche italiane possa diventare insolvente a causa del rischio bail-in. L’attuale stabilità finanziaria, con il costante intervento della BCE sul mercato secondario del debito pubblico, dovrebbe aiutare a ripulire i bilanci delle banche dai NPL.
4 – Il diavolo si nasconde nei dettagli: quanto c’entrano i derivati con il bail-in? Molto, poco o per niente?
La discussione sui derivati è complessa. L’autorità di risoluzione ha il potere di sospendere il diritto di terminare un contratto su derivati, cioè l’intervento dell’autorità non dovrebbe costituire ‘default’, con le conseguenze che un default avrebbe per la stabilità finanziaria e liquidità della banca, se però la banca continua a rispettare i termini del contratto.
I derivati non sono direttamente esclusi dal bail-in, ma, di fatto, lo sono poiché rientrerebbero nella categoria dei contratti collateralizzati e che sono esclusi dal bail-in (in base al valore della collateralizzazione). Ci sono ancora molte cose da chiarire, quali il metodo di valutazione del derivato e della collateralizzazione, e molto sarà demandato all’autorità di risoluzione, ma in generale dovrebbero essere esclusi. Il valore netto del derivato, dopo la chiusura del contratto (close-out), dovrebbe invece entrare nel salvataggio, inclusi il netto di operazioni normalmente fuori bilancio, quali repurchase agreements e securities lending/borrowing.
La chiusura del contratto sarebbe autorizzata dall’autorità di risoluzione prima del bail-in. La protezione per operazione collateralizzate, come i derivati, che di solito hanno clausole di protezione dall’attacco dei creditori nel caso di fallimento, è anche dovuta all’interconnessione che queste operazioni hanno e per evitare la destabilizzazione dell’intero sistema finanziario dovuta all’importanza che i derivati hanno per la liquidità degli scambi sui mercati, soprattutto quelli obbligazionari, che operano grazie all’interposizione di poche dealer bank.
5 – C’è un modo certo per evitare di vedersi portare via i soldi sul conto corrente dalla notte al giorno? È davvero garantito che i conti sotto ai 100mila euro siano al sicuro?
Innanzitutto, bisogna distinguere tra investitori in obbligazioni e correntisti. Per gli obbligazionisti, da un lato, ci deve essere maggiore consapevolezza del rischio preso, nel caso di bond junior e senior. Dall’altro lato, quando Bankitalia e Consob avranno fatto chiarezza si potrà avere una visione complessiva del rischio dell’emittente, cioè della banca interessata. In ogni caso, i rischi concreti per obbligazionisti delle grandi banche italiane sono limitati poiché il sistema è solido, nei limiti discussi sopra. Gli investimenti in fondi comuni e il conto di appoggio relativo (conto titoli) non sono soldi della banca, quindi non entrano in alcun modo nella procedura di ristrutturazione o insolvenza (e quindi nel bail-in).
Per quanto riguarda i depositi, sono rari i casi di crisi bancarie importanti, in passato, che abbiano causato una perdita per i correntisti. Anche in caso d’insolvenza totale della banca, bisogna esaurire prima tutte le altre fonti finanziarie della banca (azioni, capitale ibrido, obbligazioni e altre fonti finanziarie) per arrivare a toccare i depositi.
Inoltre, i conti correnti fino a 100 mila euro sono coperti dal fondo interbancario di garanzia dei depositi. Oltre i 100 mila euro, i depositi di persone fisiche e piccole e medie imprese sono esclusi dal bail-in, ma ovviamente non hanno il fondo di garanzia alle spalle che li protegge dall’insolvenza totale della banca.
Dopo la pessima esperienza di Cipro, però, c’è una forte determinazione a evitare con ogni mezzo che i depositi (anche quelli sopra i 100 mila euro) siano coinvolti, per gli effetti sulla tenuta dell’intero sistema finanziario. Qualora queste rassicurazioni non fossero sufficienti, i correntisti possono sempre dividere i loro risparmi in depositi sotto i 100 mila euro in banche diverse o cointestare il proprio conto per raddoppiare la garanzia a 200 mila euro. La garanzia del fondo si applica al valore aggregato dei depositi di ogni individuo per banca. In aggiunta, ci sono dubbi sulla tenuta del fondo interbancario in caso di crisi sistemica, poiché basato su garanzie e non su reali esborsi.
Tuttavia, è difficile che si arrivi a una crisi sistemica generalizzata senza che i compartimenti stagni discussi sopra (inclusi quelli della BCE) siano attivati. Infatti, qualora si arrivasse a una crisi sistemica, non c’è alcun fondo interbancario che tenga e quindi si utilizzeranno sempre strumenti alternativi, come i controlli sui prelievi e sui movimenti di capitale (come avvenuto in Grecia) per evitare fallimenti disordinati e perdite per i correntisti.
Sebbene improbabile, il fondo interbancario di garanzia dei depositi potrebbe essere attivato (in via temporanea) per eventi isolati, come il fallimento di alcune piccole banche. Qualora sia necessario attivare le garanzie firmate dalle altre banche, il fondo può recuperare le risorse necessarie per garantire tutti i depositi sotto i 100 mila euro.
Per quelli al di sopra, i meccanismi di salvaguardia, che entrano in gioco per evitare la destabilizzazione del sistema finanziario, riducono al minimo la possibilità di qualsiasi perdita su depositi. “Del doman non v’è certezza”, ma i correntisti possono dormire sonni tranquilli.
Twitter @diegovaliante