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Calma con la Yellen, la strada è ancora (molto) lunga
Rialzo doveva essere, rialzo è stato. Il regalo di Natale della Federal Reserve è arrivato a destinazione. Gli investitori volevano l’avvio dell’exit strategy dopo otto anni di stimoli monetari e lo hanno ottenuto. E ora? E ora tutti pronti al prossimo trade, ovviamente. I mercati non stanno fermi. Mai.
Ci sono alcune note positive e altre meno nella decisione del Federal open market committee (Fomc). In primis, è positivo che si parli di dati finalmente soddisfacenti sul mercato del lavoro. Era noto, era previsto, ma come sempre comunicare la decisione nel modo corretto è fondamentale per la più importante banca centrale del mondo. Allo stesso modo, la scelta di ribadire che il processo di normalizzazione sarà graduale denota quanto la Fed tenga agli investitori.
Gli operatori infatti erano pronti a un atteggiamento del genere. Questo perché la stessa Fed, negli ultimi due meeting, ha dato indicazioni prospettiche ben definite. In pratica, ha usato la forward guidance, una delle armi più efficaci in dotazione ai banchieri centrali, nel modo corretto. Ha fornito un orizzonte temporale preciso agli investitori, li ha indirizzati. Ha prodotto aspettative, in altre parole. Un’azione che, come abbiamo visto, da un lato è stata utile per evitare shock sui mercati finanziari ma dall’altro ha reso la Fed schiava del volere dei mercati a cui lei stessa ha segnato il percorso.
Negativa è invece la parte relativa all’andamento dell’indice generale dei prezzi al consumo. L’inflazione non tornerà infatti al 2% prima del 2018, secondo la Fed. Ma soprattutto, resta da chiarire quali potranno essere le armi messe in campo dal Fomc se il trend dei prezzi delle commodity energetiche continuerà a essere al ribasso. Ci sarà un rallentamento nel processo di normalizzazione della politica monetaria? Ci saranno nuovi stimoli? Fa un po’ sorridere leggere alcuni dei primi titoli dei giornali, che scrivono “Fine dei tassi zero”. Questa è la nuova normalità. Difficilmente torneremo nel medio termine a tassi intorno al 5% come nel 2006. Inoltre, conviene non dimenticare un aspetto fondamentale di questa scelta del Fomc.
La realtà della decisione odierna è racchiusa tutta in due parole: markets driven. Aveva alternative la Yellen? No, proprio per la questione delle aspettative. Se non avesse alzato, buona parte della credibilità della Fed sarebbe andata in fumo. Ed essere credibili, l’esperienza di Mario Draghi alla Banca centrale europea lo insegna, è uno dei requisiti fondamentali per essere un bravo banchiere centrale. Ma ora la faccenda si complica, perché sono due le incognite.
Primo, gli shock esogeni. Cosa accadrà nel caso gli Emergenti – Cina e Brasile su tutti – continueranno a frenare (o collassare, come nel caso del Brasile)? La Fed continua a monitorare da vicino la situazione, e non è escluso che la “gradualità” dell’azione di normalizzazione possa essere rivista. Per ora è, come dire, poco aggressiva, ma presto potrebbe diventarlo di più o di meno, a seconda di come si presenterà il 2016. Per ora è legittimo attendersi tre rialzi dei tassi nel prossimo anno.
Secondo, i dati. La Yellen è nota per essere, come mi ricordano spesso alcuni suoi economisti, quasi ossessionata dai dati. Li vuole vedere, controllare, rivedere, ricontrollare. Ha una cura maniacale per questo aspetto. Che fare quindi in caso di peggioramento dell’espansione domestica? Ancora una volta, potrebbe esserci una deviazione dal sentiero indicato oggi. E una parola fuori posto significa farsi nemici gli investitori. Morale: calma e sangue freddo.
Oggi è un giorno storico, nessuno lo nega, ma è solo l’inizio di un cammino molto lungo e periglioso.