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Il figurone di Japan Post in Borsa e l’Ipo di Poste Italiane. Trovare le differenze
Il debutto di Japan Post Holdings (JPH) e delle sussidiarie Japan Post Bank (JPB) e Japan Post Insurance (JPI) alla Borsa di Tokyo si è concluso da poche ore. La quotazione dell’incumbent giapponese segue, di qualche giorno, quella del gemello italiano.
Seppure simili per caratteristiche del processo di quotazione, contesto di settore, e quadro macroeconomico, le due privatizzazioni parziali hanno suscitato reazioni assai diverse nei mercati. Tiepida quella degli investitori italiani, entusiastica quella degli omologhi giapponesi.
Un battesimo diverso, in parte già annunciato nelle fasi precedenti il collocamento. A cominciare dagli ordini. Cinque volte superiori rispetto ai volumi da collocare, quelli per i titoli nipponici. Tre volte maggiori, in media, quelli per le azioni di Poste Italiane. Anche il prezzo di collocamento suggerisce diverse aspettative sulle due privatizzazioni. Se le azioni di JPH e sussidiarie sono state tutte collocate al valore massimo del range di prezzo stimato, per Poste Italiane si è preferito un prezzo di collocamento meno aggressivo: 6,75€ rispetto a un prezzo massimo stimato di €7,5. Dalla quotazione del 34,7% del capitale sociale di Poste Italiane sono stati raccolti €3,4 mld (pari a circa $3,7 mld) da destinare a riduzione del debito pubblico.
L’esordio al Tokyo Stock Exchange ha riguardato la quotazione simultanea dell’11% del capitale sociale di JPH, del suo ramo assicurativo e di quello finanziario. Le attività nel settore postale, operate da Japan Post Postal Service, partecipata al 100% dalla holding, sono rimaste interamente in mano pubblica. Alla chiusura delle contrattazioni, il titolo della società madre ha segnato un +26% rispetto al prezzo di collocamento (¥1.400, ossia $11,68) realizzando una capitalizzazione di mercato pari a circa $65 miliardi. Japan Post Bank e Japan Post Insurance hanno chiuso, rispettivamente, a +15% e +26 (¥1.450, pari a $12,10 e ¥2.200, pari a $18,35).
Il miliardo e mezzo di yen (pari a circa $12 mld) raccolto con la quotazione del gruppo giapponese andrà prevalentemente a finanziare la ricostruzione della regione di Tohuko devastata dal terremoto del 2011. Solo con una seconda tranche di collocamento, il Governo raccoglierà risorse da destinare alla copertura del considerevole debito pubblico.
Nonostante l’utilizzo differito della privatizzazione per il risanamento del debito, una politica di dividendi più generosa nel caso di Poste Italiane (dividend yeld atteso pari a circa 4%-5% contro il 3% offerto dal gruppo nipponico), e simili difficoltà gestionali, organizzative, e di business da fronteggiare a valle di passaggio pubblico-privato, l’IPO giapponese ha riscontrato un grande successo. Coerentemente con le attese.
La possibilità di quotare separatamente le attività finanziarie e assicurative ha indubbiamente favorito una più facile valutazione da parte degli investitori giapponesi. La difficoltà nello stimare una conglomerata dalle attività eterogenee, non tutte allocate in capo a diverse sussidiarie, era, del resto, uno degli ostacoli annunciati al successo della IPO italiana. Ancora più importante, la presenza di una visione credibile rispetto all’utilizzo della privatizzazione come strumento di sviluppo delle attività da parte di JPH e figlie.
Stando al piano di sviluppo del Gruppo, il Governo giapponese intende fare della privatizzazione un’occasione di sviluppo e innovazione delle attività postali, bancarie e assicurative. Nel settore postale, rispondendo alle performance poco incoraggianti dei segmenti tradizionali, attraverso lo sviluppo dell’e-commerce, l’offerta di servizi IT, la condivisione delle infrastrutture di distribuzione per lettere e pacchi, la vendita di prodotti come libri e merchandise negli uffici postali, e la ristrutturazione della rete di raccolta e distribuzione. L’arrancare dei servizi postali tradizionali è un problema comune a diversi Paesi, tra cui l’Italia, dove l’avvento di email e sms ha soppiantato la corrispondenza cartacea.
Diversamente dal Bel Paese, a incidere sulla profittabilità dell’incumbent giapponese è anche la progressiva erosione delle quote di mercato dovuta al processo di liberalizzazione avvenuto nel 2003 e all’assenza di esclusive per il monopolista responsabile del servizio universale. Nei servizi finanziari la privatizzazione sarà colta come opportunità per ampliare la gamma di prodotti offerti estendendo il portafoglio prodotti a mutui, prestiti agli studenti, e a investimenti con maggiore profilo di rischio.
Nei servizi assicurativi, JPH andrà ulteriormente incontro alle esigenze di una popolazione soggetta a un progressivo invecchiamento aumentando l’offerta di assicurazioni sulla vita e di prodotti destinati alla copertura delle spese mediche. Secondo l’ultimo bilancio del Gruppo, dal 2012 al 2014, il numero di prodotti pensionistici venduti da JPI, è aumentato del 34,6%. La stessa fonte segnala inoltre un aumento del numero di polizze sulla vita del 4%, nello stesso periodo, e degli uffici postali abilitati alla vendita di polizze per le patologie oncologiche.
Con il passaggio in mani private, JPH intende inoltre espandersi in altri Paesi e rafforzarsi nel real estate attraverso l’affitto dei propri uffici e la realizzazione di immobili per uso residenziale e commerciale. La possibilità che la holding faccia da apripista nelle aree rurali e urbane del Paese potrebbe avere stimolato l’appetito degli investitori immobiliari. Tra i nuovi segmenti in cui JPH vuole svilupparsi anche l’offerta tramite catalogo, la fornitura di servizi alle pubbliche amministrazione con natura one stop shop, e la vendita di assicurazioni attraverso franchisee associati.
Difficile dire se le intenzioni si trasformeranno in fatti. Gli investitori sembrano però crederci.
Ciò che è certo è che nel caso di Poste Italiane una chiara visione del futuro della conglomerata e delle sinergie derivabili dalla privatizzazione manca. Soprattutto, difficile credere a un cambio di verso quando i segnali di Governo e Parlamento vanno nella direzione opposta a quella di sviluppo del business secondo logiche di mercato. Come ha ricordato il Presidente dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, nella recente audizione al Senato sul DDL Concorrenza, far slittare al 2017 l’eliminazione del regime di esclusiva di Poste Italiane per la notifica degli atti giudiziari non è solo freno alla concorrenza ma segnale contrario alle riforme auspicate.
E questo i mercati lo sanno.
Twitter @simobenedettini