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Le vere conseguenze del rallentamento cinese sull’economia italiana
Quest’estate i mercati finanziari hanno corretto pesantemente. L’indice STOXX50 rappresentativo dei mercati europei ha perso circa il 20% dai massimi, generando il timore che la ripresa europea, fragile e gracile, potesse essere bloccata sul nascere.
Il dato sulla crescita del Pil cinese poco sotto il 7% – 6,9% per l’esattezza – ha fugato i timori di un brusco rallentamento anche se molti osservatori nutrono dubbi sulla credibilità del dato: con import/export in forte calo, mercato immobiliare fermo, come fa la Cina a crescere del 7%, gestendo la transizione da economia export-led a economia matura trainata da consumi interni?
Il problema cinese si sostanzia nella creazione di un sistema di welfare funzionante e universale che riduca l’altissima propensione al risparmio. Solo con ospedali e sussidi alla disoccupazione, il cittadino cinese smetterà di risparmiare il 50% del suo reddito a fini precauzionali.
Quali sono le conseguenze del rallentamento cinese sull’economia italiana? I dati sulla bilancia commerciale usciti qualche giorno fa (fonte, Istat) sono un buon punto di osservazione.
Anche ad agosto è proseguita la tendenza positiva dei primi mesi dell’anno: il surplus commerciale mensile è stato di 1,9 miliardi (+2,1 miliardi ad agosto 2014). Al netto dell’energia, la bilancia è positiva per 4,4 miliardi. Nei primi otto mesi dell’anno l’attivo raggiunge i 28,4 miliardi (+32,6 miliardi negli ultimi 12 mesi, contro i +24,1 dell’anno prima), +51,3 miliardi al netto dell’energia (la bolletta petrolifera è in calo) .
Ad agosto i mercati più vivaci sono stati Spagna (+18,3%), Stati Uniti (+13,1%), Francia e Repubblica ceca (+9,2% per entrambi) e Paesi Bassi (+9,0%).
Ciò che rileva ai nostri fini è osservare il peso dell’area asiatica sulle nostre esportazioni. La Cina assorbe solo il 2,6% del nostro export (per la Svizzera, più vicina a noi, è quasi il doppio: il 4,8%). Le esportazioni italiane verso il Sud est asiatico, con in testa la Corea del Sud e la Thailandia, pesano solo il 3,6%. Ne deriva che il calo dell’export verso la Cina fatto segnare in agosto (-9,2%) ha un impatto limitato sulle nostre imprese.
Se prendiamo come riferimento l’area di Monza e Brianza, sesto distretto manifatturiero d’Europa, vediamo come il 70% dell’export manifatturiero sia diretto verso l’Europa e in particolare verso i Paesi limitrofi: Germania, Francia e Svizzera assorbono il 40% dell’export brianzolo.
Nei prossimi mesi l’Italia deve temere di più l’effetto indiretto della Cina, ossia l’impatto sulla Germania (il cui export in Cina pesa il 6,5% del totale, e nel mese di agosto è calato del 5,2%), nostro primo mercato all’esportazione. Per intenderci, se rallentano le vendite in Cina di BMW e Volkswagen vendiamo meno freni Brembo o meno batterie Fiamm.
La forza del sistema Italia è data dai beni strumentali, che nel periodo gennaio-agosto 2015 fanno segnare un surplus significativo pari a 33 miliardi di euro. La meccanica italiana è leader mondiale in molti settori. Nella meccanica non elettronica (macchine per l’industria, apparecchi meccanici per impieghi generali come valvole, pompe, ingranaggi…) siamo secondi per competitività solo alla Germania.
La strada da recuperare è comunque tanta. Fatta 100 la produzione industriale 2007, la Germania è risalita nel 2014 a 104,3, mentre l’Italia è a quota 70,6 (Fonte: Federmeccanica). “It’s a long way to Tipperary”, ma proprio per questo non bisogna mollare e continuare a coltivare i mercati esteri.
Twitter @beniapiccone