Ok le Borse, ma attenti, qualcosa è cambiato

scritto da il 05 Ottobre 2015

Se ne parla poco – molto poco – forse perché serve un “occhio” più da tecnico che da giornalista, ma nelle ultime settimane i movimenti dei mercati suggeriscono un approccio diverso da parte degli operatori, un approccio di maggior distanza da ciò che può rivelarsi improvvisamente rischioso. Quando – durante l’estate, specie durante le tensioni legate al destino della Grecia – i mercati avevano giornate di storno il movimento sui cambi era perfettamente coordinato: nei giorni di discesa delle borse si rafforzava l’euro. Questo accadeva perché gli operatori avevano delle posizioni “corte” sull’euro che venivano prontamente chiuse nelle giornate in cui prevalevano le vendite.

Facciamo un esempio: la dinamica di fondo vedeva un dollaro in rafforzamento a causa della politica monetaria divergente con l’Europa e borse in crescita, alimentate dal continuo approvvigionamento di liquidità da parte delle banche centrali. Molti quindi si indebitavano in euro (a tassi risibili) per comprare dollari ed azioni, ed evidentemente facevano viceversa nei giorni in cui il giochino non funzionava.

Con lo scoppio della bolla cinese, e ancor di più con l’emergere dello scandalo Volkswagen e poi le perplessità emerse sui debiti di Glencore, la situazione è cambiata: nelle giornate di storno dei mercati azionari la moneta forte è divenuta il dollaro. Da una parte la preferenza per la moneta di riferimento mondiale nei momenti di tensione palesa un sentimento di ricerca di sicurezza, dall’altra – evidentemente – le posizioni a debito su euro sono molte meno, e quindi in un certo senso gira meno denaro sulle Borse. Il risultato è che gli automatismi di un mercato dominato dai “grandi predatori” (gli investitori “lunghi”) sono saltati, ed iniziano a prevalere le attenzioni di chi si alleggerisce per ripianificare la propria posizione strategica.

Lo si vede bene anche sui mercati obbligazionari: la forbice di prezzo fra acquirenti e venditori su quasi tutte le obbligazioni corporate si sta allargando sensibilmente, così come stanno salendo gli spread di queste emissioni rispetto ai titoli governativi investment grade.

spreadpereconopoly

Il mercato che tutti sappiamo essere zeppo di liquidità si comporta come se fosse molto poco liquido, una conferma di quanto dicevamo prima: gli operatori stanno alzando il piede dall’acceleratore (ancorché va ricordato che prima era premuto a tutta forza), un segnale da non trascurare.

Quello che probabilmente infastidisce di più i mercati è lo scoppio a macchia di leopardo di focolai di crisi, tutti diversi tra loro, e tutti con capacità di contagio. Dalle difficoltà crescenti del Brasile alle inquietudini sul destino dell’automobile, dal dubbio sui veri numeri della Cina alle perplessità sul destino di un gigante del settore materie prime come Glencore, fino alle novità stringenti per le banche, che ne ridurranno la capacità di fare profitto.

Tutto questo sembra allontanare il momento in cui la Federal Reserve alzerà i tassi, e anzi potrebbero arrivare ulteriori stimoli monetari da Giappone e dalla BCE, quando nulla sorge a turbare i mercati la speculazione su questi temi riprende, ma la sensazione di fondo rimane che i mercati siano alla ricerca di nuovi equilibri, e abbiano una fragilità maggiore rispetto a quanto siamo (ben) abituati da diverso tempo.

La volatilità elevata, che porta oscillazioni importanti e alternate in positivo ed in negativo invita a dedicarsi ad operatività stretta piuttosto che alla costruzione di strategie di medio termine sul portafoglio. Per queste ultime meglio aspettare uno scenario più disteso ed una volatilità meno intensa.

Twitter @AndreaBoda