categoria: Res Publica
Tangentopoli, Maastricht, Mafia Capitale e lo Stato assistenziale (che welfare non è)
Gli scandali infiniti del sistema Italia, e gli ultimi in particolare – ribattezzati Mafia Capitale – che sono stati portati all’attenzione dell’opinione pubblica, consentono alcune considerazioni che partono dal denso libro di memorie, “Cinquant’anni di vita italiana” (Laterza, 1993), scritto dall’ex governatore della Banca d’Italia (1960-1975) e ministro del Tesoro (dal 1989 al 1992) Guido Carli con la collaborazione di Paolo Peluffo.
Carli è sempre stato convinto che solo il “vincolo esterno” europeo possa indurci a cambiare la nostra politica economica basata su svalutazione e spesa corrente pubblica a gogò. E’ per questo motivo che conduce con Mario Draghi – allora direttore generale del Tesoro – le trattative che porteranno alla firma del Trattato di Maastricht. Si deve alla mente fervida di Carli l’articolo 104C che prevede la possibilità di far parte dell’euro da parte di Paesi che hanno un debito/Pil sopra il 60%, purché intraprendano un percorso di convergenza. Nel febbraio 1992 si firma a Maastricht, sulla Mosa, in Olanda, il Trattato che sarà alla base del percorso verso la moneta unica.
Carli, a un anno di distanza da Maastricht, scrive: “Il Trattato sull’Unione Europea impone una progressiva bonifica dell’ordinamento giuridico italiano. La classe politica non si è resa conto che, approvando il Trattato, si è posta nella condizione di aver già accettato un cambiamento di una vastità tale che difficilmente essa vi sarebbe passata indenne. In fondo, Tangentopoli non è che un’imprevista opera di disinflazione di un’economia drogata, un completamento inconsapevole del Trattato di Maastricht” (p. 436).
Nel 2015 possiamo dire che se il Trattato di Maastricht è stata sì “un’imprevista opera di disinflazione di un’economia drogata” e che la legge Fornero è da considerarsi un’opera di correzione un’economia drogata di pensioni – calcolate con il metodo retributivo, un gigantesco masso al collo per la generazione successiva –che pesano oltre il 16 per cento del Pil, un dato che ci pone purtroppo tra i primi del mondo.
Le statistiche dell’OCSE sono impietose: fra i 34 Paesi membri l’Italia è quinta per livello di welfare su Pil (28,5%); quart’ultima su spesa per la povertà. Se si analizzano i dati, è dimostrato come l’Italia ha un sistema di tutele quasi esclusivamente basato sulle pensioni, che taglia fuori i veri poveri.
La povertà relativa – la percentuale della popolazione che vive con meno della metà del reddito medio – colpisce circa l’11% della popolazione OCSE, ma con grandi differenze all’interno. Si va dal 6% della Danimarca al 18% della Repubblica Ceca. L’Italia è terzultima prima di Grecia e Spagna.
Nel grafico 8 del paper OCSE dal titolo “Crisis squeezes and put pressure on inequality and poverty” (maggio, 2013) si evince – purtroppo – come gli indici di povertà peggiorano, in questi ultimi anni di crisi, per i bambini e i giovani e migliorano per gli anziani, i più grandi beneficiari del sistema pensionistico retributivo.
L’opinione pubblica – sindacati in primis che difendono a piè sospinto i pensionati – devono prendere atto che il nostro sistema di tutele NON aiuta chi ha veramente bisogno. Come ha scritto pochi giorni fa il presidente dell’Inps Tito Boeri “in Italia solo 3 euro su 100 di spesa sociale vanno al 10 per cento più povero della popolazione”. Se la spesa sociale va tutta in pensioni poche risorse rimangono per la creazione di un vero welfare, cosa ben diversa dallo Stato assistenziale di cui disponiamo.
La crisi degli ultimi anni non ha fatto che peggiorare la situazione. Come ha dimostrato Andrea Brandolini, che da anni per la Banca d’Italia studia la ricchezza delle famiglie italiane, “la recessione ha colpito i giovani assai più degli adulti e, soprattutto, degli anziani. Gli over 65 che vivono soli e le coppie senza figli in cui il capofamiglia ha almeno 65 anni sono le uniche due tipologie familiari a non aver registrato un incremento degli indici di povertà tra il 2007 e il 2012”.
Twitter @beniapiccone