categoria: Draghi e gnomi
L’Europa e la moneta? Parlatene con Keynes e lasciate perdere Hayek
L’Unione Europea e la sua moneta sono prodotto del pensiero di Hayek? Per qualcuno sì. D’altra parte c’è chi si lamenta di vivere in un mondo ed ancor di più in una Italia prede del liberismo (o neoliberismo, perché allungare le parole ne incrementa la solennità), si può veramente dire di tutto.
Né Hayek né la sua nemesi Keynes hanno potuto esprimersi sull’argomento, quindi chiunque può lanciarsi in esegesi ed estrapolazioni per tirare il pensiero di questo o quello dalla parte che più gli conviene. Detto questo, resta comunque molto difficile imputare ad Hayek la paternità di questo mostro burocratico votato all’accentramento dei vari poteri statali.
Hayek ha consigliato un sistema di cambi fissi (in Nazionalismo monetario e stabilità internazionale). Siccome abbiamo fior di professori che riducono la questione “euro” a solo una forma radicale di cambi fissi, può sorgere la tentazione di estrapolarne un sillogismo. Inoltre una fissa di Hayek (non solo sua) era di togliere la moneta dal controllo politico; siccome la BCE è ufficialmente “indipendente” e con un mandato “tecnico”, è facile partire con un altro sillogismo.
In realtà la visione di Hayek si è espressa nella totale concorrenza tra monete (in La denazionalizzazione della moneta), soluzione opposta dall’euro di oggi, mentre la proposta dei cambi fissi era una “soluzione contingente” per impedire – in un certo contesto storico – derive inflazionistiche (svalutazionistiche si direbbe oggi), data anche l’esperienza di cambi fissi agganciati a monete “più forti”. Quest’ultima è cioè una risposta politica ad uno specifico problema politico, come è stato lo SME.
Il semplicismo dei sillogismi di cui sopra trascura vari punti, come la non esclusività del target inflazionistico, i poteri normativi sul sistema bancario, la destinazione degli utili dell’istituto, la nomina del Governatore e la dipendenza dal Consiglio Europeo per il target sul tasso di cambio, per finire con una struttura dei tassi poggiata sul tasso politico Refi oggi raso-terra e non certo “di mercato”. Insomma, dire che l’euro è una creatura hayekiana è come dire che la mia gattina è un muflone perché entrambi hanno una pelliccia.
Passando dalla moneta all’Unione, le cose non migliorano. La UE è una struttura sovranazionale partecipata da Stati, ben burocratizzata e produttrice accentrata di normativa. In questo non c’è nulla di hayekiano, ma veramente nulla! La UE va ben oltre una semplice fissazione di principi fondamentali che lasci ogni regione (o Stato) a produrre normative generali ed a competere fiscalmente e normativamente per attirare delle risorse.
La UE è una fonte copiosa di normative (senza le quali non sapremmo qual è la curvatura “legale” delle banane né ci sogneremmo di non poter gustare delle vongole di diametro inferiore a 25 millimetri) e un meccanismo centrale di redistribuzione di risorse in base a piani di investimento (e salvataggio) burocraticamente valutati, con aggiunta varia propaganda di una qualche cultura o orgoglio “europeo”.
Quel che si ha a livello di singolo Stato tende a riprodursi a livello europeo. Il trasferimento (o spartizione) di poteri ad un livello sovranazionale è solo una questione di scala geografica (e si associa alla creazione di ulteriori strutture politiche), un moto all’accentramento incoerente con le indicazioni austriache di restrizione dei poteri statali e massimo decentramento del residuo amministrativo. Oltretutto è stato Hayek a denunciare l’inevitabile ignoranza di un ente centrale sui temi socio-economici, pertanto sarebbe un po’ troppo strano pensare che proprio lui favorirebbe un accentramento decisionale ulteriore.
Le evoluzioni attese della UE sono ancora meno hayekiane. Si parla di ancora maggior accentramento politico, e addirittura di politiche fiscali centralizzate (coordinate, si dice oggi). Si parla di una BCE che debba strutturalmente acquistare titoli di Stato (soprattutto degli Stati peggiori), come se finora fosse stata a guardare. Torna ancora l’agenda Delors e i suoi bond comunitari.
In tutto questo osserviamo che oggi più che mai una delle preoccupazioni principali, su cui converge buona parte di questi progetti, è rendere l’attuale Unione numericamente ed indiscutibilmente stabile: nessuno può o deve trovarsi nell’opportunità o necessità di uscire dal progetto comunitario (che sia la UE o il solo euro). Non importa quanto si infrangano i patti di ingresso o permanenza. E non importa se per perseguire questo obiettivo le soluzioni di volta in volta adottate sembrino seguire un approccio erratico ed incoerente, buttando all’aria parte del concetto di “certezza del diritto”. In altre parole, la UE è un grande Hotel California da cui – nei fatti – non puoi più fare check-out, non puoi scegliere.
Tutto ciò è antitetico al pensiero austriaco, ma è in realtà più consono alla prospettiva di Keynes. La filosofia keynesiana ruota sulla possibilità di un efficace interventismo che permette un livello di pianificazione della crescita e del contrasto a fenomeni ciclici. La prima necessità per una gestione “attiva” dell’economia è la presenza di un agente (Stato) con adeguate dimensioni e poteri per smuovere le importanti masse di risorse necessarie. La struttura burocratica di ogni Stato, ed ancora di più quella della UE, è coerente e funzionale a questa filosofia.
La BCE è indipendente nella scelta degli strumenti, ma dipendente a livello finanziario e politico; il mandato duale ne permette l’allineamento implicito ad istanze politiche; il compito di tutela del sistema dei pagamenti rende l’Istituto attivo anche contro i fallimenti sovrani, con conseguente sovrapposizione di questioni fiscali e monetarie. Tutto questo non sarà formalmente l’ottimo keynesiano, ma sostanzialmente gli somiglia parecchio.
Se qualcosa nella UE non è keynesiano è, probabilmente, solo la dimensione del suo bilancio (così come di solito il fallimento di uno stimolo keynesiano è attribuito alla sua dimensione costantemente insufficiente). D’altra parte i soldi dei contribuenti hanno un limite: se circa metà PIL finisce nelle casse statali per politiche fiscali nazionali, non avanza molto con cui contribuire direttamente alla UE.
Non può però bastare questa deficienza dimensionale per passare da Keynes ad Hayek in quanto, come si sarà capito, la differenza è ben più profonda. L’interventismo su larga scala di una UE keynesiana deriva, molto banalmente, dalla restrizione del potere fiscale dei singoli Paesi membri o meglio dal suo accentramento verso la sovrastruttura comunitaria.
Certamente da un occhio keynesiano la situazione attuale può sembrare fatta di un governo “centrale” europeo fiscalmente limitato sulle possibilità di redistribuzione e “coordinamento” contro poteri ancora decentrati in una pluralità di Stati sovrani e politiche contrastanti. Ma la presenza di fattori “scoordinati e concorrenti” non è un “traguardo” cui si giunge dopo un percorso hayekiano di frammentazione del potere verso il basso, bensì è il residuo di un processo che parte da più Stati indipendenti e concorrenti tra loro e che progressivamente cedono parte dei propri poteri verso un ente “superiore”.
L’accentramento della gestione della politica monetaria è stato solo più veloce, un po’ in quanto accelerato dalla presenza di più forti motivazioni presso i Paesi membri (l’opportunità, davanti ai creditori esteri, di delegare la politica monetaria a una Banca Centrale supposta più “dura” della propria) ed un po’ perché l’unione economica e finanziaria è stata supposta, anche un po’ marxianamente, come fattore trainante di quella politica (allo stesso modo l’attività della BCE e altre strutture come l’ESM sono il primo traino verso strutture debitorie comunitarie).
La UE nasce da un progetto originario di libero scambio, in coerenza con l’ottica di Hayek; quando il libero scambio diventa normativa sul diametro dei cetrioli e la potenza degli aspirapolveri, siamo già usciti dalla prospettiva austriaca. Una politica monetaria unica è una scelta politica che può servire (ed un poco è stato così) per impedire le derive inflazionistiche dei soliti noti; quando diventa uno strumento di arbitrio accentrato (tassi raso-terra ed espansione quantitativa del bilancio della BCE), si è di nuovo fuori dalla prospettiva austriaca.
Stato-Europa o Stati-Nazione, euro o lira? Ciò a cui stiamo assistendo è solo una questione di scala, dettata da opportunità contingenti e dall’opportunismo di una burocrazia autoreferenziale. Parlatene con Keynes e lasciate perdere Hayek.
Twitter @LBaggiani