categoria: Res Publica
Come investire in salute non solo dove tagliare la Sanità, questo è il problema
La sanità è tornata al centro dell’attenzione della politica e dei media. Da un lato l’approvazione, da parte del Senato, del decreto Enti Locali che contiene una serie di misure per ottenere risparmi nel settore, dall’altro le dichiarazioni del commissario alla spending review, Yoram Gutgeld, che dichiara di inserire nel “menù” della revisione della spesa anche quella sanitaria.
Gutgeld parla di “ospedali che hanno squilibri nella gestione economica di decine di milioni”, dell’annoso problema degli acquisti e del problema dell’eccesso di diagnostica. Problemi da affrontare, certo, ma io penso che il vero punto di partenza dovrebbe essere un altro.
In Italia si spendono circa 140 miliardi in Sanità. 30 privati (di cui circa 4 gestiti da assicurazioni e il resto out-of-pocket) e 110 pubblici. Quindi attorno al 6,9% di spesa sanitaria pubblica su Pil e circa il 2% di spesa privata, per un totale di circa il 9%. La Germania spende l’11,3%, la Francia l’11,6%, gli Stati Uniti il 17,7%: il raffronto con altri Paesi (che tra l’altro hanno PIL pro-capite più alto del nostro) dice che il nostro sistema sanitario è relativamente poco costoso.
Bisognerebbe quindi domandarsi innanzitutto come spendiamo quei soldi, come lo Stato orienta i suoi investimenti in termini di salute.
Partiamo dagli obiettivi. La letteratura è unanimemente concorde: in larga parte la salute dipende dagli stili di vita, dalla genetica e dall’inquinamento dell’ambiente e solo in parte minore dal sistema sanitario. Ogni euro investito nel miglioramento dei primi tre punti ha un ritorno in termini di salute molto più elevato di un euro investito in prestazioni sanitarie.
Spesso, per di più, la spesa per prestazioni sanitarie finisce nelle cosiddetta “inappropriatezza”. L’inappropriatezza, definita come una erogazione di prestazioni sanitarie non in linea con l’evidenza scientifica nota, è altissima. Producendo quindi il doppio effetto di una spesa sanitaria più alta (il governo la quantifica in 14 miliardi di euro) e danni ulteriori alle persone, sotto forma di falsi positivi e ansia generalizzata.
I pazienti fanno spesso richieste inappropriate e pretendono che i medici facciano quello che vogliono loro. Il paziente ha il diritto di “consumare” sanità come vuole, se se la paga, mentre non ha diritto a farlo sulle spalle di tutti i cittadini.
La spesa sanitaria – inoltre – è in larga parte sulle cronicità e i fine vita. Su queste aree ci sono miglioramenti possibili enormi, se cambiamo il modello di gestione dei pazienti. Miglioramenti sia in termini di diminuzione di spesa che di qualità della vita dei pazienti.
Le tecniche chirurgiche stanno abbassando i giorni di degenza e portando molte attività dall’ospedalizzazione al day-surgery, con vantaggi per tutti: il paziente e l’abbassamento dei costi. Il numero di giornate di degenza sta crollando in tutta Italia e con essa si chiudono piccoli ospedali (giustamente). Un fenomeno positivo viene però osteggiato politicamente per questioni di paure dei cittadini e campanilismo.
La diatriba pubblico-privato, infine, nel dibattito italiano è solitamente mal posta, con la classica divisione in tifoserie.
La questione, però, è più complessa. Gli ospedali privati convenzionati con le Regioni spendono, per erogare le stesse prestazioni, in quantità e qualità, il 40% in meno degli ospedali pubblici. Quindi se, come alcuni suggeriscono, si dovesse andare a tagliare tutte le convenzioni con gli ospedali privati , l’effetto netto per i cittadini Italiani sarebbe un aumento di spesa notevole, con aumento di liste di attesa e generale diminuzione di qualità.
Il vero tema, caso mai, è che nelle convenzioni con i privati analisi del sangue e diagnostica per immagini (risonanza magnetica, TAC soprattutto), sono pagate troppo dalle Regioni, permettendo ai privati convenzionati di fare profitti alti e sicuri ogni anno (nei fatti intorno al 20-25% per valori di budget di qualche milione, con prestazioni che privatamente vengono fatte pagare 60 euro e la Regione le paga da 150 a 260 euro).
Visite, fisioterapia, odontoiatria e psicoterapia sono invece pagati ridicolmente poco, portando i privati a non voler erogare queste prestazioni per il pubblico. Ad esempio in Lombardia una prima visita specialistica è pagata 23 euro, una seduta di psicoterapia individuale è pagata 19,5 euro, un’otturazione 19 euro.
Il problema non è quindi solo la spesa sanitaria. È come spendiamo quei soldi. Con quali obiettivi. Fino a quando il dibattito pubblico su questo tema andrà per iper-semplificazioni come i “tagli lineari”, “pubblico-privato”, “profit-non profit” non andremo da nessuna parte in termini di comprensione delle cose che stanno accadendo.
Cominciamo a discutere invece di tifare?
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