Lezione cinese: il dirigismo non ferma i capitali a caccia di opportunità

scritto da il 09 Luglio 2015

La dipendenza della borsa cinese dalla politica centralista di Pechino sembra essere diventata un boomerang inarrestabile. I listini cinesi, nelle ultime settimane, hanno letteralmente collassato e diverse domande si affollano nella testa degli investitori: la principale è “arriveranno altre manovre-tampone e stimoli fiscali e monetari per frenare la discesa dei mercati finanziari, permettendo alle banche di rimettersi in sesto sui loro crediti sempre più problematici?” Le ricadute globali del crollo della borsa cinese non sono da poco: il prezzo delle materie prime sta rapidamente scendendo, non solo per la considerazione che l’economia cinese sia energivora in quanto “fabbrica del mondo” ma anche perché la Cina è sede delle maggiori speculazioni finanziarie sulle commodities.

Il comune buon senso, sui mercati, dice di non andare mai contro le banche centrali. In questo caso potremmo dire che non bisognerebbe andare contro il governo cinese, che esplicitamente desidera che i listini restino sostenuti. Tuttavia, per quanto Pechino si sforzi di contrastare le discese, il listino ha subito duri colpi:

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La velocità della discesa (e, prima, dell’ascesa) dipende da alcuni fattori: sul listino cinese sono stati travasati i soldi che via via sono usciti da un mercato immobiliare ormai da qualche tempo in difficoltà. I veloci profitti hanno indotto gli investitori (molti dei quali istituzionali esteri) ad operare in leva, aggiungendo ai propri capitali altre risorse prese a prestito; in queste settimane è quindi in corso un effetto “deleveraging”.

La finanza, che è gradita quando aiuta a gonfiare i valori, diventa poi “speculativa” ed il governo di Pechino tenta ora di demonizzarla con indagini sulle operazioni di vendita. Al “terrorismo” verso gli shortisti si è aggiunta stamane una disposizione di divieto all’operatività a ribasso per i prossimi sei mesi, riservata ai grandi investitori.

La vicenda vivrà insomma altre fasi di elevata volatilità nei giorni a venire, ma soprattutto mette in luce la vera vulnerabilità del sistema cinese: non c’è sufficiente attenzione per i consumi interni.

La Cina sta cercando di modificare la propria economia, ristrutturandola profondamente: da semplice produttore-esportatore (competitivo grazie alla manodopera a basso costo) a grande mercato di lavoratori-consumatori. Il processo, però, procede troppo lentamente, i lavoratori cinesi non hanno né un impianto di diritti/sicurezze né salari adeguati aperto svolgere un ruolo che nelle economie occidentali sviluppate è cruciale, quello di consumatori.

La situazione è aggravata dal fatto che Pechino impedisce alla valuta nazionale, lo yuan, di rivalutarsi, danneggiando così ulteriormente il salario reale del lavoratore cinese.

Senza creare le basi di una solida economia di mercato e consumi, le Borse finiscono per esprimere solo la speculazione su flussi monetari e decisioni governative, saltando da una scommessa all’altra e – come spesso accade in questi casi – generando una forte direzionalità dei listini con salite e discese quasi “verticali”.

Il vantaggio, in questo contesto, è che il mancato legame tra le Borse e i risparmi dei lavoratori riduce possibili effetti reali sull’economia: in Occidente l’andamento delle Borse sposta i consumi, in Cina questo tipo di ripercussione non dovrebbe esserci.

Viceversa i capitali esteri che sono fuggiti dai listini cinesi potrebbero aver contribuito a sostenere il debito dei paesi periferici europei. Il sospetto viene osservando cosa è successo negli ultimi giorni in Europa, nel pieno della tensione per la crescente possibilità di una Grexit: mentre le azioni delle banche esprimevano chiaramente il timore di un effetto contagio, i titoli di Stato, specie i più lunghi, hanno tenuto molto bene, facendo muovere lo spread di pochi punti base.

Il solo intervento della BCE, impegnata da qualche tempo in un QE miliardario, non basta a sciogliere l’enigma, e il contributo attivo di capitali in cerca di opportunità (stante nel prossimo futuro il suddetto QE) è molto più che un sospetto malizioso.

Per Pechino quanto è accaduto rappresenta l’opportunità di trarre una lezione molto importante sull’incompatibilità tra dirigismo estremo e apertura al mercato. A ben vedere la risposta “dirigista” costruita per costringere i listini a rimbalzare lascia intuire che la lezione non è stata ancora appresa, ma bisogna distinguere fra un intervento tampone utile a spegnere l’incendio in corso e la costruzione di efficaci strategie di lungo termine, mestiere che la Cina ha dimostrato di saper fare, spesso anche molto bene.

Twitter @AndreaBoda